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Rapporto 2015 sulle scelte di investimento delle famiglie italiane
Le scelte di investimento delle famiglie italiane

 

RAPPORTO 2015

Ricchezza e risparmio delle famiglie nell'area euro
Nell'ultimo biennio, la ricchezza netta delle famiglie dell'Area euro ha registrato una crescita pari a circa tre punti percentuali (Figura 1.1); tale incremento è dovuto principalmente a un effetto valutazione, a fronte della sostanziale stabilità del tasso di risparmio attorno ai livelli pre-crisi (Figura 1.2). In Italia, nello stesso periodo, la ricchezza netta è aumentata del 3,4%, mentre il tasso di risparmio, pur registrando un'inversione di tendenza rispetto alla dinamica calante innescata dalla crisi finanziaria, continua ad attestarsi a fine 2014 su un livello inferiore ai valori raggiunti prima del 2008 (8,6%). Negli ultimi due anni il rapporto tra attività finanziarie e reddito disponibile ha sperimentato un rialzo sia nell'Area euro sia in Italia, anche per effetto del migliore andamento dei mercati finanziari, portandosi rispettivamente a 3,3 e a 3,6 a fine 2014 (Figura 1.3). Il rapporto tra passività finanziarie e reddito disponibile è rimasto sostanzialmente stabile, dopo essere cresciuto in maniera costante nell'ultimo decennio; il dato relativo all'Italia (0,8) continua a mantenersi su un valore più basso della media dell'Area euro (1,1). La composizione delle attività finanziarie ha visto crescere il peso del circolante e dei depositi (in Italia, in linea con il dato europeo, dal 28% nel 2007 al 32% nel 2014) e delle riserve assicurative e pensionistiche (in Italia, nello stesso periodo, dal 16% al 20%), a fronte di una contrazione delle quote riferibili a fondi comuni, titoli obbligazionari e azioni quotate; a fine 2014, tuttavia, l'incidenza delle quote di fondi comuni è tornata ai livelli pre-crisi (Figura 1.4). A partire dal 2008, i tassi di crescita di prestiti ipotecari e credito al consumo hanno sperimentato una contrazione e, in alcuni casi, valori negativi sia nell'Area euro sia in Italia, a fronte della debolezza del mercato immobiliare e della domanda interna (Figura 1.5).

Vulnerabilità finanziaria e capacità di risparmio delle famiglie
In Italia, la persistente debolezza dell'attività economica negli ultimi anni ha comportato un aumento della vulnerabilità finanziaria percepita dalle famiglie. A fronte di una valutazione molto positiva delle proprie capacità di evitare spese superflue, monitorare il budget familiare e risparmiare (oltre l'80% degli intervistati considera se stesso migliore della media; Figura 2.1 – Figura 2.3), il 47% degli individui (prevalentemente donne, lavoratori autonomi e residenti nelle regioni centro-meridionali) riferisce di una flessione del reddito annuo rispetto ai dodici mesi precedenti, temporanea (15%) o permanente (32%; Figura 2.4 e Figura 2.5). Inoltre, più della metà degli intervistati (soprattutto donne e residenti al Sud) ritiene che non sarebbe in grado di far fronte per almeno sei mesi alla riduzione di un terzo del reddito attuale (Figura 2.4 e Figura 2.6). Con riferimento a ulteriori profili di vulnerabilità finanziaria delle famiglie, appaiono significativi i dati relativi a indebitamento e capacità di risparmio. A fine 2014, risulta complessivamente pari al 41% la quota di nuclei familiari indebitati per l'acquisto di un'abitazione (25%) e/o per l'acquisto di beni durevoli o altre spese (21%; Figura 2.7). Solo il 30% delle famiglie afferma di essere in grado di risparmiare ‘qualcosa' o ‘a sufficienza', mentre il 45% dichiara che il reddito disponibile è appena sufficiente a coprire le spese, il 15% ha intaccato i risparmi e il restante 11% deve indebitarsi. Sono soprattutto gli individui con livello di istruzione più basso, i residenti al centro-sud, nonché (tra gli occupati) i lavoratori autonomi ad avere più frequentemente difficoltà a risparmiare (Figura 2.8).

Conoscenze finanziarie e tratti comportamentali
Nonostante la diffusa percezione positiva delle proprie competenze in materia di scelte economiche e di investimento, le conoscenze finanziarie e le capacità logico-matematiche degli italiani rimangono basse. Inflazione, diversificazione, relazione rischio-rendimento, interesse semplice e rendimento atteso di un investimento continuano a essere nozioni poco note e di difficile applicazione. In particolare, quasi la metà del campione dichiara di non conoscere o definisce in modo errato il concetto di inflazione; il 55% non è in grado di indicare correttamente cosa significhi diversificare gli investimenti e circa il 57% non sa spiegare la relazione rischio-rendimento (Figura 3.1). Inoltre, il 67% e il 72% degli individui non riesce a calcolare, rispettivamente, un montante in regime di interesse semplice e il rendimento atteso di un investimento. Genere, istruzione e area di residenza sembrano essere correlati con il livello di conoscenze finanziarie. In dettaglio, in termini di percentuale di soggetti che hanno risposto correttamente ad almeno quattro domande su cinque, il divario è pari a 13 punti percentuali tra uomini e donne, 18 punti tra laureati e individui con un livello di istruzione più basso, 18 punti tra residenti al Nord e residenti al Sud (Figura 3.2 – Figura 3.5). È significativo, inoltre, il divario tra abilità percepite e conoscenze dimostrate: ad esempio, tra i soggetti che si dichiarano nella media o superiori alla media per la capacità di comprendere le caratteristiche di prodotti finanziari di uso quotidiano, il 30% non è in grado di definire correttamente il concetto di inflazione e il 44% non sa calcolare il rendimento atteso di un investimento (Figure 3.6). Il 32% di coloro che si riconoscono buone capacità nel prendere decisioni di investimento non conosce né il significato di diversificazione di portafoglio né la relazione rischio-rendimento. Il 18% del campione non ha familiarità con alcun tipo di strumento finanziario (Figura 3.7); tra i prodotti noti si distinguono i titoli di Stato italiani (indicati dal 67% degli intervistati), seguiti da obbligazioni bancarie, azioni quotate, depositi e fondi comuni (indicati da una percentuale di individui compresa tra il 48% e il 40%). Le azioni quotate italiane sono considerate lo strumento finanziario più rischioso dal 19% degli intervistati, seguite dai fondi azionari (11%), titoli di Stato italiani e azioni straniere (7%); i prodotti derivati, che solo l'11% degli investitori dichiara di conoscere, sono considerati rischiosi solo dal 5% del campione.
La percezione del rischio può essere correlata non solo alle conoscenze finanziarie ma anche a tratti personali degli individui (quali l'ottimismo), al contesto di riferimento e ad attitudini comportamentali (bias) tali da incidere sia sull'atteggiamento verso il rischio sia sulle scelte adottate. A tal fine, è di interesse rilevare anzitutto quale significato venga attribuito al rischio finanziario. Il 51% degli intervistati associa al rischio l'idea di un evento avverso, da cui è necessario proteggersi, piuttosto che la possibilità di un guadagno; quanto alle dimensioni del rischio finanziario, la metà dei soggetti indica l'eventualità di subire perdite in conto capitale, mentre l'andamento dei mercati, la possibilità di ottenere guadagni inferiori a quelli attesi o la volatilità dei rendimenti sono importanti per una quota del campione oscillante tra il 25% e il 29% (Figura 3.8). L'importanza dei fattori di rischio varia al variare dei livelli di conoscenza finanziaria: per il sotto-gruppo di soggetti più ‘preparati' (ossia che hanno dimostrato di avere dimestichezza con tutte le nozioni di base menzionate prima), rilevano soprattutto le eventuali spese legali da sostenere per ottenere un risarcimento danni e la difficoltà di monitorare gli investimenti, oltre alle perdite di capitale; per i meno preparati (coloro che non hanno fornito nessuna risposta corretta) le criticità maggiori risiedono nel possibile conseguimento di un rendimento inferiore a quello atteso o di una perdita in conto capitale, oltre alla variabilità dei rendimenti (Figura 3.9). Appare poco diffusa l'attitudine all'ottimismo, rilevata con riferimento alle aspettative di guadagno da un investimento nei titoli del FTSE Mib: il 65% degli intervistati infatti dichiara di attendersi una perdita (Figura 3.10). La maggior parte dei soggetti, inoltre, mostra un atteggiamento verso il rischio invariante rispetto al contesto di riferimento: coloro che risultano avversi al rischio in ambito lavorativo, dichiarando di preferire una remunerazione fissa a una variabile, quasi sempre lo sono anche rispetto alle scelte di investimento (81% dei casi) e viceversa per coloro che si dichiarano propensi al rischio in ambito sia lavorativo sia finanziario (85% dei casi; Figura 3.11 e Figura 3.12). L'atteggiamento verso il rischio mostra, tuttavia, una maggiore variabilità se valutato rispetto al dominio dei risultati attesi (positivo versus negativo) ovvero rispetto a potenziali guadagni versus potenziali perdite. Il 31% degli intervistati dichiara preferenze per il rischio opposte a seconda che si trovi a scegliere tra opzioni che comportano solo guadagni ovvero solo perdite (cosiddetto effetto certezza; Figura 3.13). Il 37% dei soggetti, invece, mostra una propensione a vendere velocemente i titoli con rendimenti positivi, per poter monetizzare i guadagni, e a mantenere in portafoglio i titoli in perdita per rimandare la monetizzazione delle perdite (cosiddetto disposition effect), evidenziando una differente valutazione di guadagni e perdite (Figura 3.14). La ricorrenza di una o più tra le attitudini comportamentali che incidono sulla percezione del rischio, alimentando una instabilità/incoerenza delle preferenze, sembra variare a seconda del livello di istruzione e di conoscenze finanziarie: la quota di soggetti esposti ad almeno un bias è pari a circa l'83% per il sotto-campione degli individui con conoscenze finanziarie più elevate e al 66% dei soggetti con conoscenze più limitate (Figura 3.15). Inoltre, le dimensioni di rischio corrispondenti a perdite in conto capitale, rendimenti inferiori a quelli attesi e variabilità dei mercati sono più frequentemente citate dagli investitori inclini a più bias (Figura 3.16).

Scelte e abitudini di investimento
A fine 2014 il livello di partecipazione delle famiglie ai mercati finanziari si è attestato attorno al 48%, in crescita di sette punti percentuali rispetto all'anno precedente sebbene ancora inferiore ai valori registrati nel 2007 (55%; Figura 4.1). Tale incremento è imputabile soprattutto alla maggiore quota di investitori retail che detengono almeno un'attività rischiosa (azioni, obbligazioni, risparmio gestito e polizze vita), passata dal 26% nel 2013 al 32% nel 2014. In particolare, come si evince dai dati sulla composizione di portafoglio, è aumentata, tornando sui livelli pre-crisi, la quota di ricchezza finanziaria investita in prodotti del risparmio gestito (16%), mentre rimane più contenuto il peso delle azioni (5%, sostanzialmente dimezzato rispetto al 2007; Figura 4.2). La partecipazione ai mercati finanziari risulta più diffusa tra le famiglie residenti nelle regioni settentrionali, più abbienti, in cui il decisore finanziario è uomo, di età compresa tra i 45 e i 64 anni e con livello di istruzione elevato (Figura 4.3). Tra i fattori che incentivano l'investimento, il 56% degli intervistati indica la fiducia negli intermediari finanziari, mentre la possibilità di investire in prodotti a capitale garantito o a rendimento minimo è rilevante per il 52% del campione; seguono i costi connessi all'investimento (41%) e l'andamento dei mercati (24%; Figura 4.4 – Figura 4.8). L'attenzione prevalente verso la protezione del capitale e la garanzia di un rendimento minimo è coerente con il dato relativo all'avversione alle perdite, particolarmente marcata per il 72% del campione, e ricorre anche nella scelta tra diverse opzioni di investimento. In particolare, tra gli elementi da tenere in considerazione nella valutazione di uno strumento finanziario il 15% degli investitori indica la protezione del capitale, l'orizzonte temporale e la diversificazione del portafoglio; il rischio di liquidità, credito e mercato risultano importanti, rispettivamente, per il 10%, 6% e 5% dei soggetti, mentre solo l'8% ritiene che l'obiettivo di investimento sia un fattore rilevante (Figura 4.9). Con riferimento ai modelli decisionali, il 44% degli intervistati sceglie come investire dopo aver consultato familiari e conoscenti, il 22% si affida ai consigli di un esperto ovvero delega a questi la gestione dei propri investimenti (il dato si riferisce soprattutto a donne, lavoratori autonomi, soggetti di età compresa tra i 45 e i 64 anni o famiglie abbienti), mentre il 15% decide in autonomia (soprattutto ultra sessantacinquenni e meno abbienti; Figura 4.10 – Figura 4.11). Inoltre, coloro che decidono di investire in autonomia si connotano per un livello elevato di conoscenze finanziarie di base (circa il 65%), per una adeguata consapevolezza delle proprie competenze (34%), nonché per un basso livello di avversione alle perdite (Figura 4.12 – Figura 4.14).

La domanda di consulenza
Con particolare riferimento alla domanda di consulenza, è utile distinguere tra diverse tipologie di servizio erogate in funzione della frequenza dei contatti tra consulente e cliente e del grado di personalizzazione delle raccomandazioni. In particolare, la cosiddetta ‘consulenza MiFID' corrisponde al caso in cui le famiglie, contattate almeno una volta nell'arco di un anno dal consulente di fiducia, ricevono proposte di investimento personalizzate e riferite a uno specifico strumento finanziario; la ‘consulenza generica' e la ‘consulenza passiva' invece si caratterizzano, rispettivamente, per l'assenza di proposte di investimento relative a specifici strumenti finanziari e per la scarsa frequenza dei contatti. A fine 2014, la percentuale di famiglie che fruiscono della consulenza MiFID si attesta attorno al 9%, confermando la scarsa diffusione del servizio; la consulenza generica e quella passiva coinvolgono rispettivamente il 15% e il 36% delle famiglie, in calo rispetto agli anni precedenti, mentre aumenta la quota di famiglie che non ricevono alcuna consulenza (40% versus 26% nel 2009; Figura 5.1). Tra coloro che fruiscono del servizio di consulenza MiFID, il 60% dichiara di ricevere una proposta di investimento su iniziativa dell'intermediario (49% nel 2013), il 7% circa riceve una proposta a seguito di una sua specifica richiesta, mentre il restante 33% non è in grado di riconoscere la modalità con la quale accede al servizio. L'utilizzo di un servizio di consulenza personalizzato si associa a un maggior livello di istruzione e di ricchezza finanziaria (Figura 5.2). In particolare, la quota di famiglie che ricevono proposte di investimento personalizzate si attesta attorno all'8% quando il decisore finanziario ha un titolo di studio inferiore al diploma di laurea, mentre è pari al 18% circa tra gli investitori retail più istruiti (benché anche in questa categoria rimanga elevata e pari al 33% circa la quota di famiglie che non ricorre a consulenza MiFID). Con riferimento alla ricchezza, la quota di nuclei familiari che si avvale di raccomandazioni personalizzate oscilla tra il 4% e il 60% al crescere del patrimonio finanziario. Gli investitori retail che fruiscono di consulenza personalizzata detengono un portafoglio più diversificato (a fine 2014 il 74% possiede almeno uno strumento finanziario rischioso), mentre per le famiglie che dichiarano di non avere un consulente è marginale la quota di soggetti che investono in azioni, obbligazioni, risparmio gestito e polizze vita. Gli investitori, tuttavia, sembrano percepire poco i vantaggi connessi al servizio di consulenza rispetto a modelli decisionali differenti. La disponibilità a pagare per la consulenza, infatti, rimane bassa sia tra coloro che fruiscono del servizio MiFID (oltre il 60% non si esprime o dichiara di non essere disposto a sostenere alcun costo) sia tra coloro che ricevono consulenza passiva o generica (circa l'85%; Figura 5.3). Tale evidenza è coerente con un livello di soddisfazione per il servizio di consulenza mediamente contenuto: in particolare, solo il 14% degli individui che utilizzano consulenza passiva e poco più del 20% degli investitori che ricevono raccomandazioni personalizzate o generiche esprimono un giudizio molto positivo. Il giudizio sul consulente si fonda soprattutto sulla disponibilità e sull'attenzione verso il cliente (come indicato da quasi il 50% degli investitori che ricevono consulenza MiFID), mentre l'assenza di conflitto di interessi e il supporto all'adozione di scelte di investimento corrette risultano meno preponderanti (entrambi indicati dal 20% circa dei fruitori del servizio MiFID; Figura 5.4). I risparmiatori sottovalutano, inoltre, l'importanza dello scambio informativo che deve attivarsi tra consulente e cliente affinché il primo possa fornire un servizio nel miglior interesse del secondo (Figura 5.5). In particolare, il 14% degli intervistati dichiara di non sentirsi in dovere di fornire all'intermediario (tenuto alla valutazione di adeguatezza delle proposte di investimento al profilo del cliente) informazioni complete e veritiere in merito alle proprie esigenze e alla propria situazione finanziaria, mentre la percentuale di soggetti propensi a comunicare informazioni relative a uno dei molteplici profili necessari per la valutazione di adeguatezza (quali conoscenze ed esperienze, obiettivi, situazione finanziaria e orizzonte temporale) oscilla tra l'8% e il 30% circa. Il consulente viene comunque ritenuto il principale canale informativo da coloro che dichiarano di informarsi prima di investire (92% dei soggetti assistiti con consulenza MiFID e 70% dei soggetti che accedono alla consulenza generica o passiva), mentre rivestono un ruolo marginale internet e la stampa specializzata.

 

Il Report è stato curato da:
Nadia Linciano (coordinatrice) - CONSOB, Divisione Studi, Ufficio Studi Economici (n.linciano@consob.it)
Monica Gentile - CONSOB, Divisione Studi, Ufficio Studi Economici (m.gentile@consob.it)
Paola Soccorso - CONSOB, Divisione Studi, Ufficio Studi Economici (p.soccorso@consob.it)

Le opinioni espresse nel Report sono personali degli autori e non impegnano in alcun modo la Consob. Nel citare i contenuti del rapporto, non è pertanto corretto attribuirli alla Consob o ai suoi Vertici.

 

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ISSN 2465-1974 [online]