V Commissione Bilancio, Tesoro e Programmazione della Camera dei Deputati
" Indagine conoscitiva sulle politiche di privatizzazione"
Audizione del Presidente della Consob, Lamberto Cardia
5 maggio 2004
Desidero preliminarmente ringraziare il Presidente e la Commissione tutta per l'invito che è stato rivolto alla CONSOB a fornire il proprio contributo all'indagine conoscitiva sulle politiche di privatizzazione.
Prima di entrare nel merito di alcune questioni di più stretto rilievo istituzionale per la CONSOB, vorrei fare brevemente il punto sugli effetti delle privatizzazioni sul mercato finanziario, ripercorrendo le principali tappe del processo di dismissione delle partecipazioni pubbliche.
1.Breve panoramica sulle privatizzazioni in Italia e loro effetti sul mercato finanziario
Il contributo delle privatizzazioni allo sviluppo del mercato di borsa italiano è stato rilevante.
In termini generali si può affermare che il nostro mercato azionario, negli anni novanta, fa un vero e proprio salto di qualità. Si afferma una cultura finanziaria più orientata alla trasparenza e allo scrutinio incisivo delle decisioni imprenditoriali da parte degli operatori. Aumentano i possessori di azioni e si diffonde la cultura dell'investimento azionario fra le famiglie e gli investitori non professionali.
Le offerte pubbliche relative alle imprese privatizzate hanno coinvolto un numero elevatissimo di risparmiatori, oltre che di dipendenti delle società oggetto di collocamento.
Le privatizzazioni hanno contribuito ad aumentare notevolmente il flottante e quindi il volume degli scambi, portando allo sviluppo di un mercato più liquido. E' aumentata inoltre la dimensione e la rappresentatività del listino: alcuni grandi "colossi" pubblici, che erano sempre rimasti al di fuori della borsa, sono stati quotati in occasione della privatizzazione (in particolare, IMI, INA, ENI, ENEL). Il rapporto fra capitalizzazione e PIL è salito dall'11,4% nel 1992 fino ad un massimo del 67,8% nel 2000 (per ridiscendere al 36,6 nel 2003 per effetto della riduzione dei corsi azionari).
Fra i primi 30 titoli quotati per capitalizzazione e volume degli scambi (le cosiddette blue chips,cioè i titoli inclusi nell'indice MIB30), oltre la metà sono relativi a società parzialmente o integralmente privatizzate (in particolare, tenendo conto delle banche nelle quali le fondazioni hanno ceduto parte delle loro quote) (1). La capitalizzazione di tali titoli al 30 marzo 2004 era pari a oltre 300 miliardi di euro, pari al 61 per cento della capitalizzazione complessiva del mercato azionario.
I collocamenti effettuati nei periodi di maggiore euforia del mercato (in particolare fra il 1999 e la prima metà del 2000) hanno fatto registrare una domanda (sia da parte del pubblico che da parte degli investitori istituzionali) di gran lunga superiore all'offerta. Nei primi giorni di negoziazione si è osservato spesso un prezzo sensibilmente superiore a quello di collocamento. In una prospettiva di lungo periodo, invece, la performancedei titoli di società privatizzate appare più deludente; solo i titoli ENI, AEM e alcuni titoli bancari hanno fatto registrare (dal momento del collocamento a fine aprile 2004) rendimenti superiori a quelli dell'indice generale del mercato.
Le privatizzazioni hanno mostrato inoltre una elevata capacità di "assorbimento" da parte delle borsa italiana. I collocamenti in borsa di società privatizzate hanno raggiunto un massimo di 23 miliardi di euro nel 1997 e nel 1999 (2), valore storicamente molto alto rispetto alla media dei collocamenti in borsa negli anni antecedenti all'avvio delle privatizzazioni. Negli anni 1993-2003 le privatizzazioni di società quotate (effettuate tramite offerta pubblica e collocamento istituzionale) hanno rappresentato in media il 40% circa dei collocamenti complessivi di azioni di società quotate (3).
Nel periodo 1993-2003 gli incassi relativi ad operazioni di privatizzazione di società quotate partecipate dal Ministero dell'economia e delle finanze (4), dall'IRI (5) e dall'ENI (6) sono stati pari a 87,5 miliardi di euro, valore pari all'80% circa del totale degli incassi da privatizzazioni (escludendo le cessioni di debiti finanziari) (7). A questi si aggiungono cessioni di partecipazioni bancarie da parte delle fondazioni per 4,9 miliardi di euro e cessioni di quote di imprese municipalizzate per 1,4 miliardi di euro da parte di comuni e enti locali.
L'effetto delle privatizzazioni sul mercato finanziario si è dispiegato anche attraverso l'impatto che esso ha avuto sulla trasformazione della proprietà delle banche e degli intermediari finanziari.
Prima dell'avvio delle privatizzazioni, nel 1992, la quota delle banche pubbliche sul totale dell'attivo del sistema bancario italiano era pari al 74,5%; tale quota è scesa all'11% nel 1998, fino praticamente ad azzerarsi nel 2003.
La privatizzazione del settore creditizio ha contribuito ad una trasformazione e ad una modernizzazione dell'attività bancaria. Le banche, in particolare i grandi gruppi quotati, hanno concentrato maggiormente la loro attività sui servizi di investimento, sulla gestione del risparmio e sulla consulenza alle imprese, riducendo in parte l'orientamento all'attività bancaria tipica di erogazione del credito. Ciò ha aiutato le imprese industriali ad avvicinarsi alla borsa e ad affrontare meglio il processo di quotazione, contribuendo all'allargamento del listino.
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Come noto, le prime dismissioni di quote azionarie da parte dello Stato ebbero luogo fra il 1993 e il 1994, sulla base del quadro normativo contenuto nel decreto legge che poi sarebbe stato convertito nella legge 474/94.
Per le prime importanti operazioni di privatizzazione che hanno portato alla cessione del controllo di grandi banche pubbliche, quali la Banca Commerciale Italiana e il Credito Italiano, la tecnica utilizzata è stata esclusivamente quella dell'offerta pubblica. La scelta della tecnica dell'offerta pubblica rispondeva all'esigenza di contemperare l'obiettivo di massimizzare gli incassi per lo Stato con quello di incentivare la diffusione dell'azionariato delle imprese privatizzate, creando delle cosiddette public companies.
L'esperienza della privatizzazione del Credito Italiano e della Banca Commerciale Italiana mise in luce come la tecnica dell'offerta pubblica, pur dando garanzie di massima trasparenza nelle procedure di dismissione, potesse presentare alcuni profili di criticità. All'indomani della privatizzazione, infatti, nonostante l'obiettivo di dare vita a società ad azionariato diffuso, si vennero a creare situazioni di controllo di fatto esercitato da gruppi ristretti di azionisti, legati da accordi non formalizzati o esplicitati in patti di sindacato.
Fu chiaro che il modello della cosiddetta public companyin Italia non era all'epoca perseguibile fino in fondo: mancava ancora una solida base di investitori istituzionali (in particolare i fondi pensione) e le norme del diritto societario non tutelavano sufficientemente i piccoli azionisti e non garantivano una reale trasparenza e contendibilità degli assetti di controllo.
Per questo motivo, le operazioni successive furono impostate privilegiando la costituzione di nuclei stabili di azionisti di riferimento (cosiddetti "noccioli duri"), affiancando all'offerta pubblica la vendita tramite trattativa diretta. La preoccupazione fondamentale nel selezionare tale tecnica di privatizzazione sembrò quella di garantire la stabilità degli assetti proprietari, piuttosto che quella di massimizzare gli incassi derivanti dalle dismissioni.
Fu infatti questa la strada scelta per la privatizzazione di altre tre grandi banche pubbliche (Istituto Bancario San Paolo, Banca di Roma e Banca Nazionale del Lavoro) e in parte per la privatizzazione di Telecom Italia. In altri due casi (Banco di Napoli e Seat) fu invece seguito esclusivamente il metodo della trattativa diretta nella modalità dell'asta competitiva .
Con la quotazione e parziale privatizzazione di altre grandi imprese pubbliche (in particolare, ENI, ENEL e Finmeccanica), a partire dal 2000, si chiude quello che è stato il primo "ciclo" delle grandi privatizzazioni di società quotate, in larga misura per effetto di una congiuntura negativa del ciclo di borsa.
Ciò, naturalmente, non vuol dire che il processo di privatizzazioni nel nostro Paese debba ritenersi concluso. Alcune grandi imprese quotate sono state solo parzialmente privatizzate e lo Stato ne mantiene il controllo di diritto o di fatto. Inoltre, altre grandi imprese pubbliche sono rimaste fuori dalla borsa, ma sono potenzialmente quotabili e almeno parzialmente privatizzabili (ad esempio, Poste Italiane, Ferrovie, RAI (8)).
Nelle brevi considerazioni che svolgerò mi sembra opportuno soffermarmi su alcuni sviluppi recenti in tema di disciplina e procedure di privatizzazione, analizzando più da vicino gli aspetti che investono le competenze istituzionali della CONSOB.
Mi soffermerò in particolare sul tema dei poteri speciali dell'azionista pubblico nelle società quotate e sulle modalità di dismissione utilizzate in alcune recenti operazioni. Si tratta, come noto, di questioni sulle quali la legge finanziaria per il 2004 ha operato alcune modifiche di rilievo, intervento sulla disciplina generale contenuta nella legge 474 del 1994.
Formulerò anche alcune considerazioni sull'operazione relativa alla "privatizzazione" della Cassa Depositi e Prestiti.
2. I poteri speciali nelle società quotate privatizzate
La previsione di poteri particolari in favore di soggetti pubblici nelle società privatizzate ha portato spesso i giuristi a parlare di una "disciplina speciale" per le società in questione, ancorché queste siano organizzate secondo il modello della società per azioni regolato in via generale dal codice civile.
Le norme sui poteri speciali, così come specificate nella legge 474 del 1994 in tema di privatizzazioni, assegnano infatti ai soggetti pubblici (anche nel caso in cui abbiano ceduto per intero le loro quote azionarie) prerogative tali da alterare radicalmente la regole ordinarie di funzionamento delle società per azioni rispetto a quanto previsto dalla disciplina comune dettata dal codice civile.
Le norme sui poteri speciali hanno un particolare rilievo istituzionale per la CONSOB poiché, come si dirà fra breve, trovano applicazione nei confronti di alcune importanti società quotate (operanti nei settori della difesa e dei pubblici servizi) e per queste configurano una disciplina degli assetti proprietari e della corporate governanceche presenta diversi elementi di specificità rispetto alle norme generali del Testo unico della finanza.
Nella sua impostazione originaria, la legge 474/94 prevedeva che negli statuti della società da privatizzare fossero inserite, prima della cessione del controllo, determinate clausole che attribuivano all'allora Ministro del Tesoro speciali prerogative. Tali prerogative riguardavano: la facoltà di rilasciare il gradimento all'assunzione di partecipazioni o alla conclusione di patti parasociali rappresentanti un quota superiore al 5% del capitale con diritto di voto; il potere di veto su determinate operazioni societarie (scioglimento, trasferimento della sede, fusioni, scissioni, cambiamento dell'oggetto sociale); la nomina di almeno un amministratore e un sindaco. L'esercizio di tali poteri era, in linea teorica, del tutto discrezionale, poiché ricollegato agli " obiettivi nazionali di politica economica e industriale" (art. 2, comma 1, l. 474/94).
Già in sede di finanziaria per l'anno 2000 (legge 488 del 23 dicembre 1999) il legislatore era intervenuto per circoscrivere i margini di discrezionalità nell'esercizio dei poteri speciali, legandoli a " rilevanti e imprescindibili motivi di interesse generale"; inoltre, si era stabilito che i poteri autorizzatori dovessero fondarsi su " criteri obiettivi, stabiliti nel tempo e resi preventivamente pubblici".
Come noto, più recentemente, la legge finanziaria per il 2004 (350 del 24 dicembre 2003) è intervenuta nuovamente sulla questione dei poteri speciali, modificandone la portata e le modalità di esercizio.
In primo luogo, al potere di gradimento preventivo nei confronti di rilevanti modifiche degli assetti proprietari, si è sostituito un potere di opposizione. In secondo luogo, l'esercizio di tale potere, incluso quello di veto sulle operazioni societarie, potrà avvenire solo nei casi in cui " il Ministro (dell'economia e delle finanze) ritenga che l'operazione rechi pregiudizio agli interessi vitali dello Stato" e dovrà, inoltre, essere debitamente motivato. Infine, allo Stato è riservata la nomina di un solo amministratore che rimane privo del diritto di voto.
Nonostante la rilevanza sul piano giuridico del regime introdotto con la previsione dei poteri speciali, sul piano pratico, almeno con riferimento alle società quotate (parzialmente o totalmente) privatizzate, l'esercizio di tali poteri non ha trovato diffusa applicazione, se non con riferimento alla necessità di ottenere il "gradimento" del Ministro dell'economia e delle finanze da parte dei potenziali scalatori delle società privatizzate (ciò è avvenuto ad esempio, nel caso della scalata da parte di Olivetti-Tecnost su Telecom Italia poco dopo la privatizzazione).
Inoltre, l'importanza dei poteri speciali (in particolare quello di veto sulle operazioni societarie e di nomina di un amministratore) assumerebbe un rilievo concreto nei casi in cui l'azionista pubblico avesse effettivamente ceduto il controllo. Allo stato attuale, l'unico caso di specie risulta però esclusivamente quello di Telecom Italia.
Vi sono tuttavia altre grandi società quotate (in particolare, ENI, ENEL, Finmeccanica) che, sebbene ancora controllate dallo Stato, hanno inserito nei propri statuti clausole che introducono alcuni poteri speciali ai sensi della legge 474/94. Si tratta, in particolare, del potere di gradimento (ora opposizione) nei confronti di modifiche degli assetti proprietari (assunzione di partecipazioni o conclusione di patti di sindacato rappresentanti almeno il 5% del capitale). Tali disposizione statutarie configurano una disciplina degli assetti proprietari sostanzialmente diversa rispetto alle società quotate private.
Una situazione simile si riscontra per alcune società quotate cosiddette "municipalizzate", cioè operanti nei servizi di pubblica utilità e controllate da comuni o altri enti pubblici, nei confronti delle quali pure trova applicazione la disciplina sui poteri speciali (che spettano all'ente pubblico controllante). E' il caso, in particolare, dell'AEM (9) di Milano, dell' ACEA (10) di Roma e dell'A.E.M. Torino (11), i cui statuti assegnano ai comuni, che sono comunque gli azionisti di controllo, il potere di gradimento (ora opposizione) sulla formazione di patti parasociali che superano determinate soglie del capitale con diritto di voto. Per queste società non vi sono, invece, restrizioni all'assunzione di partecipazioni rilevanti.
Gli statuti delle altre imprese municipalizzate quotate (A.CE.GAS (12) facente capo ai comuni di Padova e Trieste, A.M.G.A. (13) del comune di Genova, ACSM (14) del comune di Como, ASM (15) del comune di Brescia, HERA (16) del comune di Bologna e META (17) del comune di Modena) non prevedono invece alcun tipo di potere speciale in tema di assetti proprietari.
La nuova disciplina dei poteri speciali introdotta dalla legge finanziaria, prevede, come già nella versione originaria della legge 474/94, che sia la CONSOB, per le società quotate controllate direttamente o indirettamente dallo Stato, a notificare al Ministero dell'economia e delle finanze i patti conclusi ai sensi del Testo unico della finanza, ai fini dell'esercizio del potere di opposizione. Il potere di opposizione può essere esercitato entro dieci giorni dalla data di comunicazione della CONSOB e, nelle more di decorrenza di tale termine, i diritti di voto dei soci aderenti al patto sono sospesi.
Per completare il discorso sul tema dei riflessi della disciplina dei poteri speciali sugli assetti proprietari, si sottolinea, che quasi tutte le società quotate (parzialmente) privatizzate hanno utilizzato la facoltà (prevista dalla legge 474/94) di inserire nei loro statuti clausole che impediscono ai soggetti privati l'acquisizione di quote azionarie superiori a determinate soglie (cosiddetti "tetti azionari"). Si tratta quindi di un divieto all'acquisizione di partecipazioni rilevanti (generalmente superiori al 5%) che viene meno esclusivamente in presenza di un'offerta pubblica di acquisto effettuata sulla totalità delle azioni con diritto di voto ai sensi dell'articolo 106 del Testo unico della finanza, ovvero avente ad oggetto almeno il 60 per cento delle azioni con diritto di voto qualora ricorrano le condizioni previste dall'articolo 107 del Testo unico della finanza(18).
Le società quotate a controllo pubblico nei cui statuti vi sono clausole relative ai tetti ai possessi azionari sono diverse: in pratica, tutte le cosiddette municipalizzate, oltre a ENI, ENEL e Finmeccanica. Per queste società (oltre che per Telecom Italia, nel cui statuto permane il gradimento/opposizione all'assunzione di partecipazioni superiori al 3%), il regime di circolazione dei blocchi azionari e il processo di formazione di accordi fra azionisti rimane fortemente condizionato dalle norme sulle privatizzazioni, che configurano sicuramente una disciplina speciale rispetto a quella dettata dal Testo Unico della finanza.
Se dunque le norme sulle privatizzazioni pongono oggettivi limiti al libero dispiegarsi delle forze di mercato nella definizione degli assetti proprietari, dall'altro introducono alcune norme di corporate governacea tutela degli azionisti di minoranza che non sono esplicitamente previste nella disciplina del Testo unico della finanza né nella nuova disciplina codicistica.
Ci si riferisce, in particolare, per le società in cui vi sono tetti ai possessi azionari, all'obbligo di prevedere clausole statutarie per l'elezione degli amministratori tramite voto di lista. L'art. 4 della legge 474/94 prevede che alle liste presentate dagli azionisti di minoranza (rappresentanti almeno l'1% del capitale sociale) debba essere riservato almeno 1/5 degli amministratori. Lo stesso meccanismo vale per la nomina dei sindaci, ma nel caso delle società quotate tale disciplina si sovrappone con quella del Testo unico della finanza. Infatti, l'articolo 148, secondo comma, del Testo unico della finanza prevede che gli statuti di tutte le società quotate (incluse quindi quelle privatizzate) contengano le clausole necessarie ad assicurare che un membro effettivo del collegio sindacale sia eletto dalla minoranza (se, invece, il collegio è formato da più di tre membri, il numero di membri eletti dalla minoranza non può essere inferiore a due).
Tutte le società in parte privatizzate e ancora a controllo pubblico in cui vigono i tetti al possesso azionario (oltre a Telecom Italia, Alitalia e Autostrade, nelle quali invece non vi sono tetti ai possessi azionari) hanno quindi inserito nei propri statuti clausole che prevedono il voto di lista per la nomina di amministratori da parte delle minoranze. Tali clausole hanno trovato concreta applicazione e nei consigli di amministrazione di tali società siedono effettivamente esponenti nominati sulla base di liste presentate dagli azionisti di minoranza (spesso investitori istituzionali). Per le società quotate private, invece, il meccanismo del voto di lista e della rappresentanza delle minoranze è lasciato all'autonomia statutaria e trova comunque scarsa applicazione.
Per concludere su questo tema, ricordo che l'importanza di questo meccanismo di governancequale strumento per la protezione degli azionisti è stata riconosciuta nel disegno di legge sulla tutela del risparmio. Infatti, proprio all'articolo 1, il disegno di legge estende a tutte le società quotate una procedura per l'elezione di rappresentanti delle minoranze nel consiglio di amministrazione, basata sul voto di lista, analoga a quella già vigente per le società privatizzate.
3. La tecniche di dismissione
La legge finanziaria per il 2004 è intervenuta sulla disciplina delle modalità di dismissione, modificando alcune previsioni della legge 474/94.
In particolare, si è stabilito un principio generale per cui le modalità di dismissione devono essere " trasparenti e non discriminatorie, finalizzate anche alla diffusione dell'azionariato tra il pubblico dei risparmiatori e degli investitori istituzionali". Nella precedente formulazione della legge 474/94, invece, si indicava una preferenza esplicita per la tecnica dell'offerta pubblica (naturalmente al fine di incentivare la diffusione dell'azionariato).
Nella nuova impostazione, dunque, l'offerta pubblica non è più necessariamente considerata lo strumento ordinario per la privatizzazione, mentre l'enfasi è spostata su metodi che, quali che siano, garantiscano trasparenza e parità di trattamento.
Quello della trasparenza è un profilo di particolare rilievo per la CONSOB nel caso di operazioni relative a società quotate, poiché quando si adottano tecniche di vendita diverse dall'offerta pubblica, e comunque complesse o innovative, possono porsi problemi specifici di gestione dell'informativa al mercato e agli operatori.
Si tratta tuttavia di problemi con i quali il mercato e la CONSOB si sono già confrontati negli anni più recenti. Infatti, dopo la "chiusura" della stagione delle grandi privatizzazioni tramite offerta pubblica (spesso affiancata dalla trattativa diretta), il Ministero dell'economia e delle finanze ha proceduto a dismettere alcune quote residue in grandi imprese parzialmente o totalmente privatizzate attraverso procedure in parte atipiche o comunque non utilizzate in precedenza.
In particolare, nel febbraio del 2001 è stata ceduta una quota del 5% dell'ENI (5 tranche) per un introito complessivo di circa 2,7 miliardi di euro, attraverso la procedura del cosiddetto accelarated bookbuilding. La stessa procedura è stata utilizzata per la vendita della quota residua in Telecom Italia (3,46% di azioni ordinarie e 0,66% delle azioni di risparmio) nel dicembre del 2002, che ha portato ad un incasso di 1,4 miliardi di euro.
La procedura dell' accelerated bookbuildingè nella sostanza un'offerta riservata ad investitori istituzionali che consiste nella raccolta di prenotazioni di acquisto in tempi brevissimi (in genere da 1 a 3 giorni lavorativi). La banca che cura l'operazione, dopo aver effettuato un rapido pre-marketingper verificare che esistano le condizioni per effettuare il collocamento, lancia l'operazione raccogliendo rapidamente gli ordini di acquisto e sulla base di questi propone un prezzo al venditore.
La principale criticità di questa procedura consiste nel potenziale impatto negativo sul prezzo del titolo al lancio dell'operazione. Sotto questo punto di vista, la CONSOB è chiamata a garantire la massima trasparenza e tempestività nella comunicazione al mercato dell'operazione (fatto che naturalmente rappresenta un'informazione price sensitive). Un altro aspetto critico è legato al fatto che il venditore rimane esposto al rischio di mercato per tutta la durata del bookbuilding.E' inoltre solitamente prevista un'opzione di greenshoeper cui la banca che cura il collocamento ha a disposizione un quantitativo addizionale di titoli per effettuare, nel periodo immediatamente successivo al collocamento, operazioni di vendita al fine di stabilizzare l'andamento del titolo, ovvero di acquisto al fine di sostenerne il corso (in tal caso i titoli riacquistati sul mercato vengono rivenduti all'emittente al prezzo di collocamento).
Si tratta in sostanza di una procedura di vendita che, sebbene non dia al venditore la certezza sul prezzo di cessione, è molto flessibile (non vi è prospetto informativo né campagne pubblicitarie) e consente di cogliere rapidamente particolari condizioni favorevoli di mercato.
Un'ulteriore innovazione nelle procedure di vendita da parte del Ministero dell'economia si è avuta in occasione della cessione del 6,6% dell'ENEL alla fine di ottobre 2003, per un incasso di circa 2,2 miliardi di euro. In questo caso il Ministero ha ceduto in blocco il pacchetto di azioni ENEL ad un singolo intermediario, individuato attraverso una procedura di asta competitiva fra le principali banche d'affari. Questa tecnica, che va sotto il nome di bought dealo marketed block trade, è sostanzialmente una cessione in blocco del pacchetto azionario ad un singolo intermediario con la certezza del prezzo di cessione per il venditore. L'acquirente del blocco provvede a ricollocare i titoli sul mercato o presso altri investitori istituzionali e si assume il rischio di un eventuale collocamento ad un prezzo inferiore a quello riconosciuto al venditore. A fronte di tale rischio, il prezzo di cessione per il venditore incorpora di norma uno certo sconto rispetto ai prezzi di borsa al momento di chiusura dell'operazione.
Rispetto alla tecnica dell' accelerated bookbuilding, la vendita in blocco presenta alcuni profili critici sotto il profilo della trasparenza. Sicuramente, l'acquirente del blocco ha tutto l'interesse a non rivelare tempestivamente al mercato il prezzo di acquisto dei titoli (e possibilmente neanche la propria identità), poiché in tal modo sarebbe fortemente penalizzato nelle operazioni successive di ricollocamento.
In proposito, si specifica che il Ministero dell'economia, nell'arco della giornata del 29 ottobre 2003, ha avviato la procedura di asta competitiva e ha chiuso l'operazione di vendita all'intermediario vincitore (in tarda serata a mercati chiusi). Il giorno successivo, il Ministero ha immediatamente diffuso (prima dell'apertura dei mercati) un comunicato stampa in cui ha dato notizia dell'operazione e dell'identità dell'intermediario, omettendo però l'indicazione del prezzo di cessione, per non penalizzare l'operatività di ricollocamento. Nella serata del 4 novembre, il Ministero ha poi diffuso un comunicato in cui si dava notizia del regolamento e del prezzo di cessione delle azioni; a quella data l'intermediario aveva provveduto a ricollocare interamente le azioni acquistate.
E' chiaro quindi come la tecnica del bought dealper operazioni di importo molto rilevante come quella relativa all'ENEL possono porre alcuni aspetti problematici sotto il profilo della "gestione" del conflitto di interessi fra l'esigenza dell'intermediario (ma anche del venditore) di non rivelare in pieno, almeno in un primo tempo, i dettagli dell'operazione e quella del mercato di avere un'informativa completa e tempestiva.
Si sottolinea infine che la normativa regolamentare CONSOB prevede l'immediata diffusione al mercato delle notizie sulle operazioni di ricollocamento dei titoli effettate fuori borsa (cosiddetti blocchi e fuori mercato) da parte di intermediari (anche esteri) che operano in contropartita con residenti italiani. Nel caso dell'operazione in questione, l'intermediario che ha acquistato il blocco di azioni ENEL era una banca estera e, avendo ricollocato i titoli prevalentemente presso investitori non residenti, non ha effettato, se non in minima parte, segnalazioni sulla sua operatività di rivendita dei titoli ENEL. In proposito, è da considerare che, qualora il Ministero dell'economia avesse selezionato un intermediario italiano, questo sarebbe stato soggetto ad obblighi di trasparenza più stringenti, dovendo segnalare tutte le successive operazioni di rivendita fuori mercato (anche se effettuate in contropartita con soggetti non residenti).
Per tale motivo, la CONSOB sta valutando l'opportunità di modificare la regolamentazione sulla trasparenza dei blocchi e delle operazioni fuori mercato al fine di ridurre lo svantaggio competitivo degli intermediari italiani. In proposito la CONSOB sta riflettendo circa il contemperamento di due esigenze di segno opposto: da un lato quella di riservatezza dell'intermediario e dall'altro quella di un'informazione comunque completa e tempestiva a disposizione del mercato.
4. L'operazione relativa alla trasformazione della Cassa Depositi e Prestiti
Vorrei chiudere il mio breve intervento con alcune riflessioni sulle recenti vicende che hanno riguardato la Cassa Depositi e Prestiti.
Come noto, in occasione della trasformazione in società per azioni della Cassa Depositi e Prestiti (legge 326 del 2003), il Ministero dell'Economia ha conferito ad essa, il 12 dicembre 2003, partecipazioni in ENI (10% del capitale) e ENEL (10,35% del capitale), oltre che in Poste Italiane Spa (35% del capitale), per un importo di 11 miliardi di euro. Il 30 dicembre 2003, il Ministero dell'Economia ha poi ceduto il 30% del capitale della Cassa ad un gruppo di 65 fondazioni bancarie, per un incasso di poco più di un miliardo di euro.
Questa operazione configura una modalità atipica e sui generisdi privatizzazione, poiché si sostanzia nel conferimento di partecipazioni in società quotate ad un soggetto, organizzato secondo il modello "privatistico" della società per azioni, che non è controllato al 100% dal Ministero dell'Economia. Di fatto, con l'entrata delle fondazioni nel capitale della Cassa, il ruolo di questi soggetti come detentori di partecipazioni rilevanti di società quotate, prima tradizionalmente confinato al settore bancario, si estende (sebbene indirettamente) al settore delle imprese di pubblica utilità (quali appunto ENI ed ENEL).
Nella prospettiva del completamento del processo di privatizzazione o quotazione delle imprese pubbliche, al quale ho accennato, la Cassa, a latere della sua attività tipica di finanziamento agli enti locali e al processo di infrastrutturazione, potrebbe rappresentare un veicolo nel quale far confluire altre partecipazioni in imprese pubbliche non quotate, per essere poi essa stessa eventualmente portata in borsa: è una scelta strategica.
Rilevo solo che potrebbe trattarsi di un'occasione per far proseguire il processo di crescita del nostro mercato azionario e favorire l'accesso al risparmio privato di imprese pubbliche con benefici anche per i servizi pubblici resi alla collettività.
La Cassa, inoltre, per finanziare la cosiddetta gestione ordinaria (cioè quella che non implica rapporti con soggetti di diritto pubblico) non potrà più beneficiare della garanzia dello Stato nelle operazioni di raccolta e dovrà reperire risorse sul mercato in piena competizione con altri soggetti privati. E' prevedibile dunque che la Cassa giocherà un ruolo importante sul mercato dei capitali di debito, e forse soprattutto su quello obbligazionario, in competizione con altri prenditori quali banche e imprese industriali.
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1. Si tratta di Autostrade, B.N.L., Banca Intesa, Banca Monte dei Paschi, Capitalia, ENEL, ENI, Finmeccanica, Generali (che ha incorporato l'INA), Saipem (controllata dall'ENI), San Paolo IMI (che ha incorporato, oltre all'IMI, il Banco di Napoli), Banca Fideuram (controllata dal San Paolo IMI), Seat Pagine Gialle, Snam Rete Gas (controllata dall'ENI), T.I.M., Telecom Italia e Unicredito.
2. Si veda il grafico 1 in Appendice.
3. Si veda il grafico 2 in Appendice.
4. Si tratta di IMI, INA, ENI, ENEL, BNL e Telecom Italia.
5. Si tratta di Credito Italiano, Banca Commerciale, Aeroporti di Roma, Banca di Roma, Alitalia, Autostrade e Finmeccanica.
6. Si tratta di Montefibre, Saipem e Snam Rete Gas.
7. Si veda la tavola 1 in Appendice.
8. Il disegno di legge sul riassetto del sistema radiotelevisivo (cosiddetta "legge Gasparri"), recentemente approvato in via definitiva dal Senato, prevede all'art.21 la cessione integrale della quota dello Stato nella RAI attraverso il meccanismo dell'offerta pubblica. Il disegno di legge prevede inoltre l'inserimento nello statuto della RAI di clausole di limitazione all'acquisizione di partecipazioni superiori all'uno per cento (cosiddetti "tetti azionari") e alla conclusione di patti di sindacato superiori al 2 per cento del capitale con diritto di voto.
9. Azienda Energetica Milanese.
10. Azienda Comunale Energia e Ambiente.
11. Azienda Energetica Metropolitana Torino.
12. A.CE.GA.S - Acqua Elettricità Gas e Servizi.
13. Azienda Mediterranea Gas e Acqua.
14. Azienda Comasca Servizi Municipali.
15. Azienda Servizi Municipalizzati.
16. Holding Energia Risorse Ambiente.
17. Modena Energia Territorio e Ambiente.
18. Si trattata delle seguenti condizioni: a) l'offerente non deve aver acquistato partecipazioni superiori all'uno per cento nei dodici mesi precedenti la comunicazione alla CONSOB dell'offerta; b) l'efficacia dell'offerta deve essere condizionata all'approvazione di tanti soci che possiedano la maggioranza delle azioni con diritto di voto (escludendo dal computo il socio di maggioranza, anche relativa, l'offerente e gli altri soci ad essi legati da rapporti che configurano operazioni di acquisto di concerto; c) la CONSOB deve accordare l'esenzione dall'offerta totalitaria, avendo verificato la sussistenza delle predette condizioni.