Camera dei Deputati
1a Commissione Affari Costituzionali
della Presidenza del Consiglio e Interni
PROBLEMATICHE CONNESSE ALLA RISOLUZIONE DEL CONFLITTO DI INTERESSI
Audizione del Presidente della CONSOB
Lamberto Cardia
2 maggio 2007
In relazione ai quesiti rivoltimi:
- Casi di obbligo di alienazione di partecipazioni azionarie;
- Blind Trust e tutela costituzionale del diritto di proprietà;
- Casi di responsabilità per la conduzione del blind trust da parte del trustee.
desidero premettere che il mio contributo avrà ad oggetto profili di regolamentazione appartenenti all’ordinamento settoriale cui la Consob è preposta.
Quanto alle ulteriori tematiche che i quesiti pongono, per quanto non riconducibili in modo evidente alla missione istituzionale svolta dalla Commissione che ho l’onore di presiedere, saranno da me considerate nei limiti delle mie personali conoscenze.
Prima ancora di affrontare la questione relativa all’obbligo di alienazione di partecipazioni azionarie, avuto riguardo alla tematica che forma oggetto del disegno di legge attualmente in corso di esame, ritengo utile premettere alcuni richiami al fenomeno del conflitto di interessi quale si configura all’interno dell’ordinamento più direttamente riconducibile alle
competenze istituzionali della CONSOB, ossia l’ordinamento societario.
Al fenomeno del conflitto di interessi - inteso come condizione nella quale versa il soggetto che abbia interessi personali o professionali contrastanti con l'imparzialità richiesta dalla posizione rivestita o dalla carica ricoperta all’interno dell’ordinamento societario - sono, quanto meno in senso lato, riconducibili numerose previsioni del diritto societario di
matrice codicistica.
Ulteriori previsioni in argomento sono contenute nella Parte Emittenti del Testo unico della finanza, laddove - con particolare riguardo alle società italiane con azioni quotate in un mercato regolamentato italiano o di un paese dell’U.E.- viene integrata o, in taluni casi, integralmente sostituita la disciplina recata dal codice civile.
Le ipotesi più rilevanti riguardano:
Conflitto di interessi del socio (Art. 2373 c.c.)
Immediatamente riconducibile, anche dal punto di vista nominalistico, al tema dei conflitti di interesse nel diritto societario risulta l’ipotesi del conflitto di interessi dell’azionista che in una determinata delibera abbia – per conto proprio o altrui – un interesse personale contrastante con l’interesse della società (Art. 2373 c.c.).
In presenza di tale situazione, contrariamente a quanto previsto dalla precedente disciplina societaria, al socio non è fatto divieto di votare. Tuttavia, nel caso in cui egli prenda parte alla votazione, la delibera approvata con il suo voto determinante risulta impugnabile a norma dell’articolo 2377 c.c., qualora possa recare danno alla società.
Due ipotesi tipiche di conflitto di interessi sono poi previste dallo stesso articolo 2373 c.c., laddove al comma 2, c.c. si vieta:
a) ai soci amministratori di votare nelle deliberazioni riguardanti la loro responsabilità;
b) ai componenti del consiglio di gestione, nel sistema dualistico, di votare nelle deliberazioni riguardanti la nomina, la revoca o la responsabilità dei consiglieri di sorveglianza.
A differenza dell’ipotesi generale contemplata dalla stessa disposizione, qui si tratta di casi particolari nei quali il conflitto ed il pericolo di danno sono evidenti e dunque giustificano la compressione del diritto di voto del socio.
La disciplina degli interessi degli amministratori (Art. 2391 c.c.)
Ulteriore ipotesi riconducibile lato sensu alla tematica dei conflitti di interesse è quella prevista dall’art. 2391 c.c., ("Interessi degli amministratori"), che prende in considerazione il caso in cui un amministratore abbia, per conto proprio o di terzi, un interesse in una determinata operazione della società; interesse che rileva ai fini
dell’applicazione della disciplina in questione anche qualora non si ponga in conflitto con quello della società.
Nella fattispecie, il codice prescrive che l’amministratore informi gli altri amministratori ed il collegio sindacale dell’interesse di cui è portatore, precisandone "la natura, i termini, l’origine e la portata". Qualora investito di deleghe, egli dovrà inoltre astenersi dal compiere l’operazione, investendo della stessa l’organo
collegiale.
In ogni caso, il consiglio di amministrazione, nel deliberare, dovrà adeguatamente motivare le ragioni e la convenienza per la società dell’operazione.
Qualora non siano rispettati i citati obblighi informativi, la delibera risulta impugnabile ove la stessa risulti potenzialmente dannosa per la società.
Ulteriore presidio, al di là dell’annullamento della delibera consiliare, è costituito dall’attribuzione esplicita alla società del potere di agire contro l’amministratore per il risarcimento dei danni derivanti dalla sua azione o omissione. L’amministratore risponde, altresì, dei danni che siano derivati alla società
dall’utilizzazione, a vantaggio proprio o di terzi, di dati, notizie o opportunità di affari appresi nell’esercizio del suo incarico.
La medesima disciplina si applica alle deliberazioni del consiglio di gestione nel sistema dualistico di amministrazione e controllo.
E’ utile precisare che tale fattispecie risulta assistita da sanzione penale. L’articolo 2629-bis c.c. ("Omessa comunicazione del conflitto d'interessi") prevede infatti la pena della reclusione da uno a tre anni per la violazione degli obblighi di "disclosure" previsti dall'articolo 2391 c.c., da parte di amministratori (o
componenti del consiglio di gestione) di specifiche categorie di emittenti (tra i quali rientrano le società con titoli quotati o diffusi tra il pubblico in misura rilevante), qualora da tale violazione siano derivati danni alla società o a terzi.
Operazioni con parti correlate (Art. 2391-bis c.c.)
Ulteriore fattispecie riconducibile al fenomeno del conflitto di interessi è quella delineata dall’art. 2391-bis c.c. in materia di operazioni con parti correlate, nel caso di società che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio (ossia, società italiane con azioni quotate in mercati regolamentati o diffuse tra il pubblico in misura rilevante, secondo la
definizione di cui all’art. 2325 bis c.c.).
Tali operazioni – la cui puntuale definizione si rinviene oggi nell’ambito del principio contabile internazionale IAS 24 ("International Accounting Standard 24 - Related Party Disclosures") – sono sostanzialmente quelle realizzate dall’emittente con soggetti in grado di incidere sulla sua autonomia decisionale, e che pertanto potrebbero essere
concluse a condizioni diverse da quelle alle quali sarebbero realizzate in mancanza di tale correlazione. Nelle società che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio, tali operazioni – particolarmente frequenti nel mercato italiano caratterizzato dalla presenza di gruppi piramidali, di rilevanti intrecci azionari nonché di incroci nella partecipazione a patti
parasociali – possono essere suscettibili di determinare significativi pregiudizi per gli investitori.
Nell’ambito di tali operazioni, infatti, la presenza di potenziali conflitti di interessi risulta "strutturale", e maggiori sono i rischi di comportamenti contrari all’interesse sociale e di danno per gli azionisti di minoranza.
Considerate tali criticità, la Consob fin dal 1993 ha adottato numerose Comunicazioni volte a garantire la massima trasparenza sulle operazioni con parti correlate compiute da società quotate e sui loro effetti e, infine, nel 2002, con Delibera n. 13616, la Consob ha inserito nel Regolamento n. 11971/1999 ("Regolamento Emittenti") una disciplina volta ad assicurare
un’immediata informativa al pubblico, attraverso la predisposizione di un apposito documento informativo, sulle più rilevanti operazioni con parti correlate realizzate da società quotate (cfr. art. 71–bis, del Regolamento Emittenti), ossia quelle che per oggetto, corrispettivo, modalità o tempi di realizzazione possono avere effetti sulla salvaguardia del
patrimonio aziendale o sulla completezza e correttezza delle informazioni, anche contabili, relative all'emittente.
L'inosservanza di tali adempimenti informativi (in quanto previsti da una norma regolamentare applicativa dell’articolo 114 del TUF) risulta sanzionata dall’articolo 193, comma 1, del TUF con l’applicazione della sanzione amministrativa pecuniaria da cinquemila a cinquecentomila euro.
Per effetto della nuova disciplina di cui all’art. 2391-bis c.c. è ora altresì previsto che gli organi di amministrazione delle società che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio adottino "regole che assicurano la trasparenza e la correttezza sostanziale e procedurale delle operazioni con parti correlate e li rendono noti nella relazione
sulla gestione".
La disciplina dell’attività di direzione e coordinamento (Art. 2497 e ss. c.c.)
Nell’ambito della disciplina dei conflitti di interesse è possibile altresì inquadrare le previsioni recentemente introdotte dalla Riforma del Diritto Societario in relazione al fenomeno dei gruppi, con particolare riguardo ai profili della trasparenza e della responsabilità della capogruppo in caso di operazioni intraprese da una controllata.
Ai fini dell’applicazione della disciplina in questione, l’ordinamento ricorre ad una presunzione: esso assume, infatti, che l’attività di direzione e coordinamento nei confronti di un determinato emittente sia esercitata dalla società o ente tenuto a consolidare il bilancio del primo o che comunque lo controlla.
Anche in questo caso, i rimedi che la legge appresta per situazioni "strutturali" di conflitto di interessi paiono prevalentemente incentrati sulla necessità di fare chiarezza in ordine alla sussistenza di tali situazioni.
La legge richiede altresì che sia fatta piena trasparenza sulle decisioni assunte dalla società soggetta ad attività di direzione e coordinamento, le quali - quando influenzate da tale attività - debbono essere analiticamente motivate e recare puntuale indicazione delle ragioni e degli interessi la cui valutazione ha inciso sulla decisione. Delle stesse decisioni
deve essere dato adeguato conto nella relazione sulla gestione (art. 2497-ter c.c.).
Tali previsioni sono accompagnate da sanzioni di tipo civilistico per il caso in cui la società che esercita direzione e coordinamento, in violazione dei principi di corretta gestione societaria e imprenditoriale, abbia arrecato danni ai soci e ai creditori delle società soggetta all’influenza della prima.
Ineleggibilità e decadenza dei componenti degli organi di controllo e degli amministratori indipendenti alla stregua del Codice Civile e del Testo Unico della Finanza
Ulteriori previsioni riconducibili, almeno in senso lato, alla tematica dei conflitti di interesse nell’ordinamento societario sono rinvenibili nelle norme che prevedono cause di ineleggibilità e di decadenza dei soggetti investiti di funzioni di controllo (componenti del collegio sindacale e, con disposizioni parzialmente coincidenti, componenti del consiglio di sorveglianza e
del comitato per il controllo sulla gestione, rispettivamente nel sistema dualistico e monistico di amministrazione e controllo).
In presenza di situazioni e di rapporti suscettibili di minare alla radice l’indipendenza dei soggetti preposti al controllo endosocietario, il codice civile ha previsto, per costoro, l’impossibilità di assumere il relativo incarico. Ciò vale, ad esempio, per il coniuge, i parenti e gli affini entro il quarto grado dell’amministratore, per
l’amministratore delle società controllate, controllanti e sottoposte a comune controllo, nonché per il coniuge, i parenti e gli affini di tali soggetti (art. 2399, c. 1, lett. b).
Disposizioni coincidenti si rinvengono nella disciplina specificamente applicabile agli emittenti quotati (articolo 148, comma 3, del TUF), sia pure con qualche opportuna diversità: rilevano ad esempio nel testo Unico, ove suscettibili di compromettere l’indipendenza, i rapporti di natura "professionale" instaurati dal componente dell’organo di controllo con la
società in questione, con le società appartenenti al gruppo della stessa (controllante, controllate e sottoposte a comune controllo), nonché con gli amministratori ed i relativi congiunti.
La sanzione atta ad operare qualora la situazione di incompatibilità sopravvenga o sia rilevata successivamente all’assunzione dell’incarico è quella della decadenza. Nelle società quotate, peraltro, in caso di inerzia degli organi interni a ciò deputati, la decadenza dalla carica è dichiarata dalla Consob, su richiesta di qualsiasi
soggetto interessato o qualora la stessa abbia avuto comunque notizia dell'esistenza della causa di decadenza.
I. L’ALIENAZIONE DI PARTECIPAZIONI AZIONARIE
Nei casi di conflitto di interesse brevemente esposti, non si rinvengono – tra i rimedi "tipicamente" preordinati alla risoluzione del conflitto - ipotesi in cui il soggetto che versi in tali situazioni sia obbligato alla cessione di beni o di attività allo stesso appartenenti.
Viceversa, nell’ordinamento del mercato mobiliare, alla tutela del quale è preposta la Consob, l’alienazione obbligatoria di partecipazioni è rimedio conosciuto sia nell’ambito della disciplina dei servizi di investimento, sia nell’ambito della disciplina applicabile agli emittenti con azioni quotate in un mercato regolamentato.
1) Con specifico riguardo alla disciplina dei servizi di investimento, due sono le ipotesi in cui è contemplato siffatto presidio.
A) La prima ipotesi ricorre allorquando partecipazioni azionarie al capitale di intermediari autorizzati all’esercizio di servizi di investimento (in particolare le Società di Intermediazione mobiliare, cd. "SIM", le società di gestione del risparmio, cd. "SGR" e le società di investimento a capitale variabile, cd. "SICAV") siano
acquisite, in misura superiore al limite stabilito dal Ministro dell’Economia e delle Finanze, da soggetti non in possesso di requisiti di onorabilità predeterminati dallo stesso Ministro sentite la Banca d’Italia e la Consob (fattispecie contemplata dall’Art. 14, TUF)
I requisiti cui fa riferimento la previsione appena citata sono stati stabiliti dal suddetto Ministro a mezzo del decreto n. 469 dell'11 novembre 1998. Con il medesimo regolamento sono state individuate, tenendo conto dell'influenza che la partecipazione consente di esercitare sulla società, le soglie partecipative rilevanti ai fini dell’applicazione di siffatta
previsione.
Il Testo Unico stabilisce inoltre, al fine di evitare facili elusioni della normativa, che per determinare la consistenza della partecipazione detenuta dal soggetto in questione debba tenersi conto anche delle partecipazioni possedute per il tramite di società controllate, di società fiduciarie o per interposta persona, nonché di tutti i casi in cui i diritti derivanti dalle
partecipazioni spettino o siano attribuiti ad un soggetto diverso dal titolare delle partecipazioni stesse o esistano accordi concernenti l'esercizio dei diritti di voto.
La prima conseguenza di un acquisto effettuato in assenza dei prescritti requisiti di onorabilità consiste nell’impossibilità di esercitare i diritti di voto e gli altri diritti che consentono di influire sulla società, inerenti alle partecipazioni acquisite oltrepassando la soglia rilevante. In caso di inottemperanza al divieto, peraltro, la deliberazione
od il diverso atto, adottati con il voto o, comunque, il contributo determinante delle partecipazioni in questione, può essere impugnata non soltanto dai soggetti a ciò titolati sulla base delle previsioni codicistiche, ma anche dalla Banca d'Italia o dalla Consob.
La conseguenza più significativa di un acquisto effettuato in violazione delle previsioni in argomento resta tuttavia l’obbligo di alienare le partecipazioni eccedenti le soglie previste; obbligo non presente all’epoca in cui il TUF fu emanato, e introdotto successivamente per effetto degli interventi operati sul TUF (e sul TUB) in occasione della riforma del
diritto societario. In proposito, la disposizione attribuisce alla Banca d'Italia e alla Consob, a seconda dei casi, il compito di stabilire il termine entro il quale l’alienazione debba effettuarsi, senza fare cenno alcuno, tuttavia, alle relative modalità.
Sono infine previste sanzioni amministrative pecuniarie da euro 25.825 ad euro 258.230 recentemente modificate dall’Art. 39, comma 3, Legge 28 dicembre 2005, n. 262, la cui irrogazione compete alla Consob, per l’inosservanza del divieto di esercizio del diritto di voto e dell’obbligo di alienazione delle partecipazioni in questione (Art. 189, TUF).
B) L’ulteriore fattispecie di alienazione di partecipazioni contemplata dalla Parte "Intermediari" del TUF si colloca nell’ambito della disciplina volta a garantire che l’acquisto di partecipazioni qualificate al capitale degli intermediari sia operato da soggetti idonei ad assicurare una sana e prudente gestione della società o a consentire
l'effettivo esercizio della vigilanza (Artt. 15, 16 e 17, TUF).
E’ in proposito prevista una procedura, da espletare preventivamente all’effettuazione degli acquisti di partecipazioni qualificate, che contempla l’iniziale comunicazione alla Banca d’Italia e la successiva (eventuale) pronuncia della stessa nel termine di novanta giorni dalla comunicazione; pronuncia che può avere ad oggetto anche la fissazione di termine
massimo entro il quale effettuare l’acquisto.
La comunicazione è dovuta anche qualora si intenda procedere ad acquisti o cessioni da cui derivino variazioni, in aumento o in diminuzione, della partecipazione rilevante ovvero l’acquisizione o la perdita del controllo.
Anche in questo caso, per evitare facili elusioni, rilevano gli acquisti e le cessioni effettuati indirettamente, ossia per il tramite di società controllate (secondo la nozione di cui all'articolo 23 del T.U. bancario) di società fiduciarie o per interposta persona.
La conseguenza primaria dell’acquisto effettuato in violazione dell’obbligo di comunicazione o senza attendere la scadenza del termine assegnato alla Banca d’Italia per pronunciarsi o allorquando sia scaduto il termine massimo eventualmente da essa fissato per il compimento della operazione, o nonostante il provvedimento di divieto adottato dalla stessa Banca, consiste
nell’impossibilità di esercitare i diritti di voto (e gli altri diritti che consentono di influire sulla società) inerenti alle partecipazioni eccedenti le soglie all’uopo stabilite. La sospensione dei medesimi diritti può rappresentare, peraltro, la conseguenza di un provvedimento adottato in qualsiasi momento dalla Banca d’Italia, anche su proposta
della Consob, nel caso in cui l'influenza esercitata dal titolare della partecipazione possa pregiudicare la sana e prudente gestione dell’intermediario o l'effettivo esercizio della vigilanza.
In entrambe le ipotesi di sospensione, qualora l’azionista non vi si conformi, la deliberazione od il diverso atto, adottati con il voto o, comunque, il contributo determinante delle partecipazioni in questione, può essere impugnata non soltanto dai soggetti a ciò titolati sulla base delle previsioni codicistiche, ma anche dalla Banca d'Italia o dalla Consob
L’acquisto effettuato in assenza di comunicazione preventiva o al di là del termine massimo stabilito dalla Banca d’Italia, ovvero allorquando è intervenuto il divieto della stessa, può determinare altresì la necessità di alienare le partecipazioni eccedenti i limiti in precedenza menzionati. Ciò accade, tuttavia, soltanto qualora la Banca
d’Italia decida in tal senso, fissando il relativo termine, non rappresentando l’alienazione delle partecipazioni suddette una conseguenza indefettibile della violazione della disciplina in argomento. La previsione, evidentemente, intende consentire all’Autorità di vigilanza una valutazione caso per caso in merito all’incidenza degli acquisti in questione
sull’esigenze di sana e prudente gestione dell’intermediario.
Anche in questa ipotesi non sono definite dalla legge le modalità attraverso le quali procedere alla dismissione delle partecipazioni azionarie.
Sono previste sanzioni amministrative pecuniarie da euro 25.825 ad euro 258.230 come recentemente maggiorate dall’Art. 39, comma 3, Legge, 28 dicembre 2005, n. 262, per l’omissione delle comunicazioni preventive e successive all’effettuazione degli acquisti nonché per l’inosservanza del divieto di esercizio del diritto di voto e
dell’obbligo di alienazione delle partecipazioni in questione (Art. 189, TUF).
E’infine punito con l’arresto da sei mesi a tre anni e con l’ammenda da euro 5.164 ad euro 51.645 chiunque, nell’effettuare le comunicazioni sopra indicate, fornisca informazioni false (Art. 169, TUF). Ai sensi dell’Art. 30, comma 1, Legge 28 dicembre 2005, n. 262, tali pene sono raddoppiate entro i limiti posti a ciascun tipo di pena dal
Libro I, Titolo II, Capo II del codice penale.
2) Con riguardo alla disciplina degli emittenti recata dal Testo Unico della Finanza, l’obbligo di alienazione di partecipazioni azionarie è previsto nell’ambito della disciplina in materia di Offerte pubbliche di acquisto e di quella relativa al fenomeno delle partecipazioni reciproche.
A) Con specifico riferimento alla prima fattispecie, il Testo Unico impone l’obbligo di promuovere un’offerta pubblica di acquisto totalitaria a carico di chiunque, a seguito di acquisti a titolo oneroso, venga a detenere da solo o in concerto con altri una partecipazione superiore alla soglie ivi stabilite in una società italiana con azioni ordinarie quotate
in un mercato regolamentato italiano.
In tale contesto, per il caso di violazione degli obblighi previsti dalla disciplina in materia di OPA obbligatoria, l’Art. 110 del Testo Unico prevede, un primo luogo, la sospensione del diritto di voto, che non interessa soltanto la partecipazione acquisita in eccesso rispetto alle soglie rilevanti, ma si estende al complesso delle azioni detenute nell’emittente
quotato dal soggetto (o dai soggetti) cui è riferibile l’inottemperanza. Nel caso in cui il diritto di voto venga comunque esercitato, la deliberazione adottata con il voto determinante della partecipazioni in questione può essere impugnata dalla Consob (oltre che, naturalmente, dai soggetti legittimati alla stregua delle previsioni codicistiche) e l’azionista risulta
esposto all’applicazione – da parte della Consob – di una sanzioni amministrativa pecuniaria da euro 25.825 a euro 516.455, ai sensi dell’Art. 192, TUF, importi – questi – recentemente modificati dall’Art. 39, comma 3, Legge 28 dicembre 2005, n. 262.
Accanto alla cd. "sterilizzazione" del diritto di voto, l’acquirente risulta poi tenuto ad alienare entro dodici mesi le azioni acquisite in eccesso rispetto alle soglie rilevanti. Anche in questo caso non sono previste le modalità attraverso le quali realizzare la richiesta dismissione.
Nel caso in cui il soggetto tenuto ad alienare le partecipazioni sia una società con azioni quotate ovvero una società con azioni non quotate che partecipi al capitale di una società con azioni quotate, ed il relativo obbligo resti inadempiuto, trova applicazione la sanzione penale prevista dall’Art. 173 del Testo Unico, alla stregua del quale "Gli
amministratori di società con azioni quotate, o di società che partecipano al capitale di società con azioni quotate, i quali violano gli obblighi di alienazione delle partecipazioni previsti dagli articoli 110 e 121 sono puniti con la reclusione fino ad un anno e con la multa da euro centotre a euro milletrentatre". Ai sensi dell’Art. 30, comma 1, Legge 28
dicembre 2005, n. 262, tali pene sono raddoppiate entro i limiti posti a ciascun tipo di pena dal Libro I, Titolo II, Capo II del codice penale.
B) Un’ulteriore ipotesi di alienazione obbligatoria di partecipazioni azionarie è prevista dall’Art. 121 del Testo Unico, il quale reca la Disciplina delle partecipazioni reciproche.
In caso di partecipazioni reciproche fra emittenti quotati eccedenti la soglia partecipativa del due per cento del capitale (o del 10 per cento, se la partecipazione è detenuta da un emittente quotato nel capitale di un emittente non quotato o di una società a responsabilità limitata) è infatti previsto che la società che abbia superato il limite successivamente
non possa esercitare il diritto di voto inerente alle azioni o quote eccedenti e debba alienarle entro dodici mesi dalla data in cui ha superato il limite.
Se non è possibile accertare quale delle due società ha superato il limite successivamente, la sospensione del diritto di voto e l'obbligo di alienazione si applicano a entrambe, salvo loro diverso accordo.
In caso di inosservanza del divieto di esercizio del voto, la deliberazione adottata con il voto determinante della partecipazione in questione risulta impugnabile sulla base di quanto prevede il codice civile. L’impugnazione può essere proposta anche dalla Consob.
Per l’ipotesi di mancata alienazione delle azioni o quote entro il termine di dodici mesi dalla data di superamento del limite è previsto che la sospensione del diritto di voto si estenda all'intera partecipazione detenuta dall’emittente in questione. Risulta inoltre applicabile la sanzione penale prevista dall’Art. 173, TUF, in precedenza
richiamata.
Lo stesso Art. 121, TUF, estende poi il concetto di partecipazione reciproca a livello di gruppo, stabilendo altresì che se un soggetto detiene una partecipazione superiore al due per cento del capitale in una società con azioni quotate, questa o il soggetto che la controlla non può acquisire una partecipazione superiore a tale limite in una società con azioni quotate
controllata dal primo. Per quanto riguarda le sanzioni applicabili a tale ultima fattispecie, queste appaiono limitate alla sospensione del diritto di voto, mentre non si applicano l’obbligo di alienazione e le connesse sanzioni, che consistono nell’estensione della sospensione del diritto di voto all’intera partecipazione e nella sanzione penale prevista
dall’Art. 173, TUF.
3) Soltanto un breve cenno meritano infine, per concludere l’illustrazione sulla tematica dell’alienazione di partecipazione azionarie, talune ipotesi previste dalla disciplina codicistica e dal Testo Unico bancario, che dunque si collocano al di fuori della disciplina strettamente riconducibile al mercato mobiliare.
A) Le prime riguardano gli acquisti di azioni proprie o di azioni della società controllante (Artt. 2357, 2359 bis e 2359 ter c.c.) effettuati da un emittente in violazione dei limiti quantitativi e dei presidi procedurali previsti dallo stesso codice civile, la cui conseguenza consiste appunto nell’obbligo di alienazione delle partecipazioni in questione secondo
modalità da determinarsi da parte dell’assemblea entro un anno dal loro acquisto. In mancanza, l’assemblea (o in caso di sua inerzia, il Tribunale, adito da amministratori o sindaci) dovrà procedere all’annullamento delle partecipazioni medesime e alla corrispondente riduzione del capitale.
B) Quanto alle previsioni del Testo Unico bancario in materia di alienazione di partecipazioni azionarie, le stesse appaiono sostanzialmente in linea con la disciplina del TUF, in precedenza esaminata, relativa agli intermediari autorizzati all’esercizio dei servizi di investimento. Esse rispondono alla necessità di garantire che acquisti di partecipazioni qualificate al
capitale di una banca siano operati da soggetti in grado di assicurare la sana e prudente gestione dell’emittente bancario, nonché all’ulteriore esigenza che i partecipanti al capitale del medesimo emittente (oltre che degli intermediari iscritti nell’elenco speciale previsto dall’Art. 107, TUB) si trovino in possesso di requisiti di onorabilità
stabiliti dal Ministro dell’Economia e delle Finanze, sentita la Banca d’Italia.
* * *
Come emerge dalle fattispecie normative esposte, il fenomeno dell’alienazione obbligatoria di partecipazioni azionarie è attestato sia nell’ambito dell’ordinamento generale, sia nell’ambito di alcuni ordinamenti settoriali (al di là della sfera normativa propria della Consob, il rimedio in questione è anche contemplato, come accennato,
dall’ordinamento bancario).
I presupposti di operatività dell’obbligo in discussione, tuttavia, non sembrano, prima facie, potersi ricondurre a situazioni nelle quali un soggetto risulti titolare di interessi personali o professionali contrastanti con l'imparzialità richiesta dalla posizione rivestita o dalla carica ricoperta. Piuttosto, si è visto come l’alienazione delle
partecipazioni azionarie rappresenti la conseguenza di esigenze connesse alla tutela della stabilità e della sana e prudente gestione di soggetti autorizzati all’esercizio dell’attività di intermediazione (mobiliare o creditizia), ovvero costituisca la reazione apprestata dall’ordinamento di settore con riguardo a specifiche condotte suscettibili di porsi in
contrasto con i principi ispiratori del medesimo (tipico è il caso della violazione della disciplina in materia di OPA obbligatoria).
Rilevante è quindi la differenza tra l’ipotesi – attualmente prevista dall’ordinamento – in cui l’alienazione rappresenta l’esito di una lesione, già prodottasi, di interessi ritenuti meritevoli di tutela, e quella – prefigurata dal disegno di legge in corso di esame – in cui l’alienazione costituisce lo strumento utilizzato in
chiave "preventiva" rispetto a situazioni solo in via potenziale suscettibili di nuocere a quegli stessi interessi.
II. BLIND TRUST E TUTELA COSTITUZIONALE DEL DIRITTO DI PROPRIETA’
Per quanto concerne il tema del blind trust in relazione ai principi costituzionali vigenti in materia di proprietà è da considerare che la Consob ha competenze specifiche nel campo della gestione di patrimoni per conto di terzi, attività che si caratterizzano per la gestione ad opera di soggetti appositamente autorizzati (SIM, Banche, SGR) di patrimoni composti di
strumenti finanziari (azioni, obbligazioni, titoli di Stato etc.) che vengono loro affidati dai risparmiatori allo scopo di aumentarne il valore mediante acquisti, vendite ed altre operazioni di investimento.
Oggetto del servizio è dunque la gestione di un patrimonio mobiliare inteso come "valore" e non già l’amministrazione di beni individuati.
Diversamente, l’ipotesi in esame concerne, nella sostanza, l’affidamento in gestione ad un trustee di beni specificatamente individuati, e segnatamente di imprese e partecipazioni in imprese, conferiti in un trust cieco.
Il regime del trust cieco implica che il trustee proceda, una volta costituito il trust, alla alienazione e/o alla trasformazione dei beni in esso conferiti inizialmente così da rendere ignota al costituente la composizione del patrimonio e da assicurare la completa cecità della gestione.
Prima ancora di esprimere qualche personale considerazione sulla compatibilità costituzionale di un tale meccanismo, ritengo di dover segnalare che, dal punto di vista tecnico, l’istituto del blind trust risulta strutturalmente adeguato alla gestione di patrimoni mobiliari, in quanto avendo essi ad oggetto beni fungibili ne consente, (anzi ne prevede) la continua
trasformazione mediante acquisti e vendite; il ricorso al blind trust appare invece problematico per la detenzione e la gestione di attività economiche di carattere imprenditoriale, anche quando esse siano costituite da partecipazioni azionarie, giacchè implica, come detto, che esse debbano essere vendute e/o trasformate.
Quanto al problema della costituzionalità dell’utilizzo dell’istituto del blind trust per la risoluzione dei problemi connessi ai potenziali conflitti di interesse di chi acceda a cariche di Governo, considerate le competenze della Consob che attengono propriamente ai profili tecnici della materia in discussione, mi limito a osservare che nessuna incompatibilità
con i principi costituzionali vigenti in tema di diritto di proprietà e di libertà di iniziativa economica privata sembrerebbe configurarsi laddove il ricorso al blind trust riguardasse beni fungibili. Ove, invece, il ricorso al blind trust concernesse beni individuati, e segnatamente imprese, potrebbero ipotizzarsi dubbi con riferimento ai principi desumibili dagli
articoli 42 (sulla tutela del diritto di
proprietà) e 43 (sul trasferimento coattivo di imprese) della Carta costituzionale giacchè il trasferimento dell’impresa che si verrebbe a realizzare potrebbe essere considerato non giustificato da motivi di interesse o utilità generale in quanto non ricollegabile alla destinazione del bene ma alla situazione soggettiva del suo titolare.
In tale ultimo caso si verrebbe a colpire la titolarità del diritto di proprietà privando il titolare della facoltà di disposizione reale dei beni.
E’ anche da considerare che l’obbligo di vendita affidato a terzi potrebbe non realizzare al meglio il valore o la trasformazione dei beni stessi e potrebbe quindi produrre effetti, pur se non voluti, di danno; né a ciò potrebbe adeguatamente sopperire un controllo successivo sulla attività svolta dal trustee.
Mentre l’obbligo di dismissione di beni non fungibili imposto al trustee potrebbe essere considerato confliggente con il diritto di proprietà, diversa valutazione potrebbe essere formulata ove l’affidamento di detti beni al trustee riguardasse solo la cieca gestione dei beni stessi senza obbligo di dismissione.
Anche nel caso di cieca gestione sarebbero peraltro da considerare con attenzione in via previsionale scelte gestionali atte a produrre conseguenze per il patrimonio, quali, tra esse il caso di partecipazione ad aumenti di capitale di società di cui il soggetto cedente sia socio rilevante.
III. CASI DI RESPONSABILITA’ NELLA CONDUZIONE DI UN BLIND TRUST
Quanto alla responsabilità per la conduzione del blind trust da parte del trustee, occorre considerare che attualmente, tale istituto non è puntualmente regolato dalla normativa nazionale.
La legge n. 364 del 1989 ha infatti recepito nell’ordinamento nazionale la Convenzione dell’Aja del 1° luglio 1985 sul trust, per effetto della quale è possibile costituire trust in Italia che abbiano determinate caratteristiche, ma non è stata prevista una disciplina con norme di diritto italiano.
La costituzione del trust, dunque, comporta necessariamente la scelta ad opera del costituente di una normativa estera che regoli i rapporti giuridici conseguenti, anche per quel che riguarda il regime della responsabilità del trustee, sotto il vincolo di compatibilità con l’ordinamento italiano.
Si tratta, dunque, di un istituto del tutto atipico, in quanto regolato da norme di diritto straniero di volta in volta individuate, dal variabile contenuto dell’atto di costituzione, nonché dalle norme italiane che ne disciplinino taluni aspetti (come è nel testo della Proposta di legge in esame).
Posto che ciò non consente di fare riferimento a norme puntuali del nostro ordinamento, è ragionevole ipotizzare che debbano comunque essere rispettate le regole generali derivanti dalla disciplina civilistica della gestione per conto altrui e del mandato. Si tratta, in estrema sintesi, del rispetto dei fondamentali canoni di tipo oggettivo di diligenza e di correttezza che
caratterizzano l’adempimento contrattuale.
Di ciò sembra essersi tenuto conto anche nella proposta di legge, in cui si fa riferimento, tra l’altro, al necessario rispetto delle regole deontologiche e di diligenza professionale da parte del trustee.
Occorre, in tale ottica, tenere presenti le specificità del blind trust, con la conseguente responsabilità in capo al trustee per la violazione dello specifico dovere aggiuntivo di riservatezza sulle informazioni relative al trust ed ai beni che ne formano oggetto (esso deve, infatti, "assicurare e mantenere la massima riservatezza con chiunque circa
la qualità dei beni del trust istituito dal titolare della carica di Governo e circa i beneficiari", ai sensi dell’art. 8, comma 6, lett. a) della Proposta di legge), nonché per le operazioni da esso stesso effettuate in conflitto di interessi.
Inoltre, come previsto dall’art. 8, comma 5, della Proposta di legge il trustee deve possedere precisi requisiti, tra i quali: la costituzione in forma di società di capitali; la non riconducibilità della società a persone fisiche o giuridiche legate al titolare della carica ovvero ai suoi prossimi congiunti; l’oggetto sociale comprendente lo svolgimento
dell’attività di trustee; una consolidata esperienza in materia di trust.
Ai sensi del successivo comma 6, lett. c), il trustee deve altresì astenersi "da qualsiasi operazione che possa risultare in conflitto di interessi con la sua attività di trustee del trust costituito dal titolare della carica di Governo, intendendosi con ciò qualsiasi operazione che coinvolga o interessi lo stesso trustee, o enti o società facenti parte
del gruppo societario cui il trustee appartiene, ovvero un soggetto di cui ha la rappresentanza o che ha costituito un trust di cui è trustee".
Infine, con riguardo al profilo della responsabilità penale, ferma restando la possibilità di fare riferimento alle norme sanzionatorie di generale applicazione attualmente previste dal codice penale, con riferimento alle ipotesi più gravi di fraudolenta gestione del trustee potrebbe essere valutata, in sede di redazione del disegno di legge, l’opportunità
di prevedere specifiche fattispecie normative, stante la difficoltà di applicare quelle in atto presenti negli ordinamenti settoriali - ad esempio la contravvenzione della gestione infedele contenuta nel TUF - posti i limiti in materia penale stabiliti in via costituzionale ad un’applicazione analogica di fattispecie di reato.