la VI Commissione Finanze della Camera dei Deputati

"Indagine conoscitiva sulle problematiche relative
alla diffusione di strumenti finanziari derivati"

Audizione del Funzionario Generale della CONSOB
dott. Antonio Rosati

12 gennaio 2005

Premessa

Desidero preliminarmente ringraziare il Presidente e la Commissione tutta per l'invito che è stato rivolto alla CONSOB a fornire il proprio contributo all'indagine conoscitiva sulle problematiche relative alla diffusione di strumenti finanziari derivati.

L'intervento, dopo alcune considerazioni generali sull'evoluzione del sistema finanziario italiano, sul quadro normativo di riferimento e sull'operatività in derivati del settore "famiglie", si concentrerà essenzialmente sul tema dell'utilizzo degli strumenti derivati da parte di imprese e di altri enti non finanziari.

In particolare, si farà riferimento alle evidenze qualitative e quantitative di un'indagine condotta dalla Consob, resa necessaria dalla mancanza di statistiche descrittive delle posizioni in derivati di intermediari e imprese non finanziarie. L'indagine ha visto il coinvolgimento dei principali intermediari del settore - pur non prendendo in esame le relazioni tra ciascun intermediario e i propri singoli clienti - nel perseguimento dell'obiettivo di un monitoraggio e di una ricostruzione generale del fenomeno, anche in vista delle modifiche normative che deriveranno, nei Paesi dell'Unione Europea, dal recepimento della direttiva 2004/39/CE (c.d. MiFID), destinata a innovare l'assetto regolamentare di settore.

Con riferimento a questi ultimi aspetti, nella relazione si farà cenno sia ai mutamenti del quadro normativo europeo in termini di "regole di condotta" degli intermediari nella prestazione dei servizi di investimento, sia alle modalità di rappresentazione in bilancio delle posizioni in strumenti derivati richieste dagli International Accounting Standards (IAS).

Prima di entrare nel merito delle questioni sopra delineate ritengo però necessaria una premessa di carattere generale. Nella prestazione dei servizi di investimento, e quindi pure nella trattazione di strumenti finanziari derivati, gli intermediari si rapportano con categorie non omogenee di clienti, i quali normalmente presentano un grado di consapevolezza differente, anche in rapporto alle caratteristiche professionali proprie di ciascuno. Sul piano normativo, si distingue tra operatori non qualificati (in prevalenza, le famiglie, la c.d. clientela retail) e operatori qualificati, nell'ambito dei quali un particolare ruolo rivestono gli operatori c.d. istituzionali (banche, società di intermediazione mobiliare, società di gestione del risparmio, ecc.), soggetti che, a vario titolo, operano nel settore finanziario e che, quindi, tipicamente possiedono elevati requisiti di esperienza e professionalità. Alla categoria degli operatori qualificati, inoltre, può appartenere qualsiasi società o persona giuridica in possesso di una specifica competenza ed esperienza in materia di operazioni in strumenti finanziari espressamente dichiarata per iscritto dal legale rappresentante(1).

Sia il diritto nazionale sia quello europeo di settore, come meglio si dirà nel seguito, enfatizzano infatti l'esistenza di esigenze differenziate di protezione degli investitori, in rapporto alla qualità e all'esperienza professionale dei medesimi. Tale rilievo risulta peraltro coerente con la disciplina, anch'essa nazionale e comunitaria, preposta alla tutela dei "consumatori", qualifica normativamente riconosciuta a soggetti che agiscano al di fuori dell'attività imprenditoriale o professionale eventualmente svolta.

Pertanto, l'attività istituzionale della CONSOB deve tenere conto di questo quadro normativo sia nell'esercizio degli specifici poteri di vigilanza (anche regolamentare) ad essa affidati dall'ordinamento sia nella individuazione e nella selezione delle aree di intervento sulle quali focalizzare maggiore impegno e risorse.

Appare ora opportuno passare all'illustrazione degli specifici temi trattati.

1. L'evoluzione del sistema finanziario italiano, la disciplina dei prodotti finanziari strutturati e cenni all'operatività in strumenti derivati del "settore famiglie".

1. Per quasi mezzo secolo il sistema finanziario italiano è rimasto sostanzialmente immobile. Esso è stato dominato dalle banche commerciali, in prevalenza a controllo pubblico, e le esigenze di finanziamento del debito statale hanno condizionato profondamente il funzionamento dei circuiti finanziari.

A partire dall'inizio degli anni novanta, ha preso avvio un processo di cambiamento graduale ma inesorabile che ha portato ad una metamorfosi profonda del mercato dei capitali. E' cambiata la finanza d'impresa ed è cambiato il ruolo degli intermediari finanziari. Il sistema è divenuto più orientato al mercato e la canalizzazione del risparmio verso gli investimenti produttivi avviene sempre più attraverso l'emissione di strumenti finanziari.

Le scelte di portafoglio delle famiglie italiane sono radicalmente cambiate in conseguenza della discesa dei tassi d'interesse reali e nominali e dello sviluppo dell'industria del risparmio gestito; la discesa dei tassi di interesse ha indotto le famiglie a ricercare forme di investimento più remunerative ma con profili di rischio più elevati e complessi da valutare.

Nel 1993, la quota della ricchezza finanziaria delle famiglie investita in titoli di Stato italiani era pari al 25,4 per cento; a fine 2003 era scesa al 6,7 per cento. Nello stesso periodo, la quota investita in obbligazioni private domestiche emesse da banche e imprese è passata dal 4,0 al 12,1 per cento, mentre il peso del risparmio gestito (fondi comuni di investimento, prodotti assicurativi e fondi pensione) è passato dal 13 al 28% circa (cfr. TAV.1).

L'aggiustamento di portafoglio delle famiglie italiane in soli 10 anni è stato dunque massiccio: la quota di circolante, depositi (bancari e postali) e titoli di stato domestici, si è ridotta complessivamente di quasi 25 punti percentuali, per lasciare spazio, prevalentemente, ad obbligazioni private e strumenti del risparmio gestito (fondi comuni e assicurazioni).

Il possesso diretto di strumenti derivati da parte delle famiglie e dei risparmiatori non professionali è invece un fenomeno assai limitato. Secondo alcune indagini campionarie svolte da Borsa Italiana(2), solo il 2% circa delle famiglie italiane ha operato in strumenti derivati nel triennio 2001-2003; inoltre, limitatamente ad un campione di investitori più sofisticati (in particolare, quelli che hanno investito in azioni), il peso dei derivati sulla ricchezza finanziaria a fine 2003 si aggira intorno allo 0,2%.

La ricerca condotta da Borsa Italiana mette in luce come l'operatività in derivati degli investitori non professali riguarda per oltre il 70% i cosiddetti covered warrant. Si tratta di strumenti derivati "cartolarizzati" emessi da banche, che appartengono alla famiglia delle opzioni(3). I covered warrant sono quasi sempre negoziati su di un mercato regolamentato, e dunque adatti ad essere liberamente scambiati. Il mercato dei covered warrant è nato nel 1998 e da allora è cresciuto in maniera intensa: attualmente vi sono circa 2.700 strumenti di questo tipo quotati sul mercato gestito da Borsa Italiana.

2. In realtà, l'esposizione degli investitori non professionali agli strumenti derivati si realizza prevalentemente attraverso la sottoscrizione di prodotti bancari e assicurativi complessi e sofisticati, mentre, come detto, l'operatività diretta su singoli strumenti derivati è un fenomeno molto limitato e circoscritto pressoché interamente al prodotto dei covered warrant. Infatti, negli ultimi anni si sono diffusi prodotti e strumenti finanziari sempre più sofisticati e complessi che hanno consentito agli investitori non professionali di replicare portafogli che includono strumenti derivati.

Sotto questo profilo, il caso più importante è rappresentato delle obbligazioni bancarie "strutturate", che ormai rappresentano gran parte delle obbligazioni bancarie in circolazione. Le obbligazioni strutturate prevedono clausole di indicizzazione complesse, per cui il rendimento o il capitale a scadenza sono agganciati all'andamento di altri strumenti o indici, analogamente a quanto avviene per gli strumenti derivati. L'acquisto di un'obbligazione strutturata replica quindi un portafoglio composto da una obbligazione standard e da uno o più strumenti derivati.

Un altro veicolo attraverso il quale le famiglie e gli investitori retail hanno indirettamente assunto posizioni in derivati è rappresentato dai prodotti assicurativi ad elevato contenuto finanziario.

Come noto, il settore delle assicurazioni sulla vita ha subito una trasformazione profondissima a partire dagli anni sessanta. Ormai, circa il 50% della raccolta dei premi del settore vita è ascrivibile al collocamento di prodotti a prevalente o esclusivo contenuto finanziario. Le riserve tecniche delle compagnie di assicurazione a copertura di tali tipologie di polizze sono cresciute da 18 a 107 miliardi di euro fra il 1998 e il 2003 (implicando un tasso di crescita annuo composto di oltre il 40%).

A partire dalle assicurazioni rivalutabili, le polizze vita hanno assunto e progressivamente sviluppato una sempre maggiore connotazione finanziaria, ponendosi in aperta concorrenza con le forme tradizionali di raccolta e gestione del risparmio.

Oggi, nelle loro forme più innovative, le assicurazioni sulla vita presentano sempre più le caratteristiche dell'investimento finanziario, attraverso il collegamento delle prestazioni rese al cliente all'andamento di parametri finanziari e valori mobiliari, con la partecipazione (totale o parziale) dell'assicurato ai rischi finanziari dell'operazione (c.d. polizze index linked).

In particolare, le polizze linked, usualmente definite "ad elevato contenuto finanziario", costituiscono forme assicurative caratterizzate dalla diretta dipendenza delle prestazioni erogate dalle compagnie assicurative dal valore di un'entità di riferimento; tra queste, le index sono caratterizzate da prestazioni determinate in funzione del valore di un indice azionario o altro valore di riferimento, mentre le unit sono collegate al valore di un fondo (quasi sempre interno all'impresa di assicurazione), gestito sul modello di un fondo comune di investimento.

Le polizze assicurative index linked si sostanziano in forme di investimento del tutto omogenee sotto il profilo economico alle obbligazioni strutturate bancarie, poiché offrono rendimenti parametrati a indici (spesso azionari) o panieri di strumenti finanziari, spesso secondo clausole o schemi complessi, mentre le polizze unit linked si pongono in diretta competizione con i fondi comuni d'investimento.

3. I prodotti bancari e assicurativi godono tuttavia di un regime normativo speciale e di particolare favore. Infatti, le disposizioni del Testo unico della finanza consentono che, nella fase di vendita e collocamento, gli intermediari e gli emittenti siano esentati da una serie di obblighi informativi e di regole di condotta, stabiliti in via generale per l'attività di raccolta del risparmio presso il pubblico e di prestazione dei servizi di investimento.

In primo luogo, i prodotti bancari e assicurativi sono esentati dalla disciplina sulla sollecitazione all'investimento.

Per chiarire i contorni e la genesi di tale esenzione, è utile richiamare sinteticamente la disciplina della sollecitazione all'investimento e le relative ipotesi di esecuzione.

Per "sollecitazione all'investimento" si intende, 'come indicato dall'art. 1, comma 1, lett. t), del TUF, "ogni offerta, invito a offrire o messaggio promozionale, in qualsiasi forma rivolta al pubblico, finalizzati alla vendita o alla sottoscrizione di prodotti finanziari …".

Lo svolgimento di una sollecitazione comporta l'applicabilità della disciplina di cui agli artt. 94 e seguenti del TUF che prevedono, in primo luogo, l'obbligo di redazione e pubblicazione di un apposito prospetto informativo, sottoposto al controllo della Consob e contenente tutte le "informazioni che, a seconda delle caratteristiche dei prodotti finanziari e degli emittenti, sono necessarie affinché gli investitori possano pervenire a un fondato giudizio sulla situazione patrimoniale, economica e finanziaria e sull'evoluzione dell'attività dell'emittente nonché sui prodotti finanziari e sui relativi diritti".

In estrema sintesi, gli elementi costitutivi della sollecitazione possono delinearsi come segue:

- svolgimento di un'attività qualificabile come "offerta", "invito ad offrire" o "messaggio promozionale";

- la circostanza che la suddetta attività sia rivolta al pubblico, con modalità uniformi e standardizzate, indipendentemente dalla forma utilizzata per sollecitare l'investimento;

- la circostanza che l'attività medesima sia finalizzata alla vendita o sottoscrizione di un "prodotto finanziario", categoria che comprende sia le figure "tipizzate" degli "strumenti finanziari" che "ogni altra forma di investimento di natura finanziaria".

Il regime di esenzione dalla disciplina sulla sollecitazione è previsto dall'art. 100, comma 1, lett. f), del Tuf, che fa specifico riferimento ai "prodotti finanziari emessi da banche, diversi dalle azioni o dagli strumenti finanziari che permettono di acquisire o sottoscrivere azioni" e ai "prodotti assicurativi emessi da imprese di assicurazione". In base a detta disposizione, per l'offerta al pubblico dei prodotti in questione non è obbligatoria la pubblicazione del prospetto informativo.

L'esenzione in esame deriva da una previsione simile contenuta nel previgente art. 12, comma 3, lett. c), della legge n. 77/83, che escludeva l'applicabilità della disciplina della sollecitazione del pubblico risparmio alle offerte di "titoli, diversi dalle azioni e dagli altri valori mobiliari ad esse assimilabili, o che diano diritto all'acquisto di azioni o valori assimilabili, emessi da aziende di credito e istituti di credito nell'attività di raccolta del risparmio per l'esercizio del credito.....", richiedendo in tal modo, ai fini dell'esenzione stessa, l'esistenza di un esplicito collegamento funzionale tra l'offerta di titoli da parte delle banche e l'esercizio della loro attività "tipica". Tale disposizione era stata già oggetto di critiche da parte degli interpreti e della stessa Consob che, in sede di lavori preparatori per il Testo Unico, ne aveva auspicato l'abrogazione e l'assoggettamento dei suddetti titoli al regime del prospetto informativo, ancorché semplificato.

Rispetto alla citata proposta, la scelta operata nel Testo Unico è stata quella di includere espressamente nell'ambito dell'esenzione i prodotti assicurativi emessi da imprese di assicurazione, nonché di confermare l'esenzione medesima per i prodotti bancari adottando, peraltro, una diversa formulazione del testo della norma: tale modifica ha comportato un notevole ampliamento dell'ambito applicativo della disposizione, sotto un duplice punto di vista.

Da un lato, venuta meno la precedente nozione di valore mobiliare, l'art. 100, comma 1, lett. f), del Tuf, fa riferimento al diverso concetto di "prodotto finanziario" emesso da banche, definizione che comprende gli strumenti finanziari (tra i quali rientrano, ad esempio, le obbligazioni ed alcune categorie di derivati) ed "ogni altra forma di investimento di natura finanziaria", categoria estremamente ampia e generica tale da ricomprendere anche tipologie di investimento "atipiche" e non cartolarizzate; dall'altra, non viene più richiesta la necessità di un collegamento funzionale tra l'offerta dei richiamati prodotti da parte delle banche medesime e l'attività di raccolta del risparmio per l'esercizio del credito.

Il testo attuale della norma così come modificato, pertanto, consente di offrire al pubblico in assenza di prospetto informativo prodotti finanziari anche complessi e caratterizzati dalla presenza di componenti derivative e da profili di notevole rischiosità, purché si tratti di prodotti di emanazione assicurativa o bancaria e - per quanto riguarda i prodotti bancari - l'offerta non riguardi azioni o titoli che consentano di acquistare o sottoscrivere azioni.

Questo è il caso, ad esempio, delle citate obbligazioni "strutturate" e dei covered warrant emessi dalle banche che rientrano nell'ambito di applicazione del citato art. 100 e che, pertanto, possono essere oggetto di sollecitazione all'investimento senza la previa pubblicazione di un prospetto informativo.

Peraltro, per entrambe le categorie di strumenti sopra indicati e principalmente per i covered warrant, la maggior parte dei quali è quotata sul mercato regolamentato gestito da Borsa Italiana Spa denominato "SEDEX", la pubblicazione di un prospetto viene comunque richiesta in sede di ammissione a quotazione del titolo, ai sensi di quanto previsto dall'art. 113 del Testo unico della finanza. Tuttavia, mentre nel caso delle obbligazioni bancarie la pubblicazione del prospetto di quotazione interviene spesso in una fase in cui i titoli sono stati già collocati ed ha quindi uno scarso rilievo sotto il profilo dell'informativa ai risparmiatori, per i covered warrant la pubblicazione del prospetto è invece contestuale alla fase di collocamento iniziale del prodotto.

Come prescritto dalla stessa legge, la Consob verifica il contenuto del prospetto e, più specificamente, verifica che lo stesso contenga tutte le informazioni necessarie per una compiuta valutazione delle caratteristiche dell'emittente e dei prodotti oggetto della domanda di ammissione, con particolare attenzione ai rischi, nonché alle condizioni contrattuali e di quotazione. In particolare, i prospetti relativi ai covered warrant forniscono, tra l'altro, esempi circa il possibile rendimento dell'investimento al mutare degli scenari (variazione dei prezzi, della volatilità del sottostante e della vita residua).

In secondo luogo, un regime normativo per molti versi peculiare è inoltre riservato ai prodotti bancari e assicurativi dalla disciplina dei servizi di investimento.

La nozione di servizio di investimento include, infatti, diverse attività prestate dagli intermediari alla clientela (negoziazione, collocamento, gestione, ricezione e trasmissione di ordini), quando tali attività abbiano ad oggetto "strumenti finanziari". Restano, tuttavia, al di fuori della riferita nozione le attività aventi ad oggetto i "prodotti finanziari" quali, ad esempio, i prodotti assicurativi, in quanto non appartenenti alla categoria degli "strumenti finanziari".

L'applicazione della disciplina, legislativa e regolamentare, dei servizi di investimento è inoltre fortemente limitata in ipotesi in cui l'attività degli intermediari abbia ad oggetto alcune categorie di strumenti finanziari, quali, ad esempio, le obbligazioni, anche strutturate, di emissione bancaria. Il classamento al pubblico, in sede di emissione, di tali strumenti da parte della banca emittente costituisce infatti "raccolta di risparmio tra il pubblico" e, in quanto tale, è ricompresa nella nozione di attività bancaria, riservata alle banche ai sensi del Testo unico bancario: ad essa si applica, pertanto, la relativa disciplina di settore.

Altre disposizioni contribuiscono infine ad ampliare il regime di favore riservato ai prodotti finanziari emessi da banche e a quelli assicurativi emessi da assicurazioni. Ad essi non si applicano, infatti, le norme sull'offerta fuori sede e sulla promozione tramite tecniche di comunicazione a distanza (artt. 30 e 32 del Tuf), mentre, con specifico riferimento alle obbligazioni e agli altri strumenti finanziari diversi dalle azioni, le banche sono esonerate dal rispetto della disciplina sui titoli diffusi (art. 118 del Tuf)

2. Il mercato dei derivati: caratteristiche, dimensioni e attori del mercato

4. Per quanto appena esposto, si può dunque affermare che l'esposizione delle famiglie italiane e degli investitori retail al mercato dei derivati è avvenuta in modo "mediato", tramite l'acquisto di prodotti o strumenti di matrice bancaria e assicurativa complessi o strutturati, e nell'ambito di una cornice normativa che prevede regole di trasparenza e di correttezza assai meno stringenti rispetto a quelle applicabili in via generale.

Altri soggetti, quali ad esempio le banche, gli investitori istituzionali e le imprese non finanziarie, partecipano invece al mercato dei derivati in maniera diretta, sia negoziando strumenti quotati in mercati regolamentati sia attraverso la conclusione di contratti bilaterali.

Nell'ambito della gestione aziendale il ricorso agli strumenti derivati assume l'importante funzione di consentire il trasferimento di rischi, non direttamente connessi con la gestione caratteristica, dagli operatori che non desiderano sopportarli a operatori che invece sono in grado di assumerli e gestirli professionalmente.

In via generale si può distinguere fra i contratti derivati negoziati in borsa - cosiddetti derivati exchange traded - e i derivati negoziati invece al di fuori dei mercati regolamentati, cosiddetti derivati over the counter (o OTC).

I primi sono contratti standardizzati e negoziati in un mercato regolamentato. L'acquisto di un derivato di questo tipo avviene tipicamente attraverso un intermediario che ha accesso al mercato; fra acquirente e venditore si interpone normalmente la cosiddetta Controparte Centrale, (in Italia la Cassa di Compensazione e Garanzia S.p.A.), che ha la doppia funzione di minimizzare il rischio di controparte e conseguentemente consentire l'anonimato delle transazioni nei mercati regolamentati. Una posizione in uno strumento derivato può essere immediatamente chiusa o liquidata concludendo un'operazione di segno opposto. L'operatività su derivati exchange traded comporta poi il versamento di un margine iniziale, a garanzia degli impegni assunti, e di margini periodici legati alle perdite registrate giornalmente sulla posizione. I margini sono versati alla Controparte Centrale che li utilizza a copertura delle eventuali perdite derivanti da inadempienze contrattuali dei negoziatori.

I derivati OTC hanno invece caratteristiche opposte rispetto a quelli exchange traded. In primo luogo, essi possono essere strutturati in funzione delle specifiche esigenze delle controparti quanto, ad esempio, a scadenza, tipologia dello strumento sottostante, modalità di liquidazione dei profitti o perdite, etc. In secondo luogo, i derivati OTC comportano un rischio di controparte, che è funzione del valore del contratto e del merito di credito e della solvibilità dei soggetti coinvolti. Tale rischio può essere amplificato dal fatto che possono non essere previste garanzie e/o margini iniziali o periodici, come avviene invece nel caso dei derivati exchange traded. Tali caratteristiche fanno sì che un contratto OTC non sia facilmente negoziabile o cedibile ad altri soggetti; la chiusura della posizione prima della scadenza naturale del contratto (cosiddetto unwinding) avviene dunque, normalmente, tramite un accordo specifico fra le parti, liquidando il valore di mercato della posizione alla controparte per la quale il contratto ha un valore positivo.

La distinzione fra derivati exchange traded e OTC, sebbene assai rilevante sotto il profilo operativo, non è esplicitamente codificata nelle norme del Testo unico della finanza, che invece distinguono le tipologie di "strumenti finanziari derivati" essenzialmente in ragione della loro struttura economica di base.

Il Tuf individua infatti tre tipologie "base" di strumenti derivati(4):

1) i contratti "futures" e i contratti a termine su strumenti finanziari, su tassi di interesse, su valute, su merci e sui relativi indici, anche quando l'esecuzione avvenga tramite il pagamento di differenziali in contanti (art. 1, comma 2, lett. f) e h));

2) i contratti "swap" (cioè i contratti di scambio a pronti e a termine) su tassi di interesse, su valute, su merci nonché su indici azionari (equity swaps), anche quando l'esecuzione avvenga tramite il pagamento di differenziali in contanti (art. 1, comma 2, lett. g));

3) i contratti di opzione su qualsiasi strumento finanziario o sui precedenti strumenti derivati, su valute, su tassi di interesse, su merci e sui relativi indici, anche quando l'esecuzione avvenga tramite il pagamento di differenziali in contanti (art. 1, comma 2, lett. i)).

Il Tuf prevede poi una categoria residuale o di "secondo livello" data dai derivati che risultano da qualsiasi combinazione di derivati "elementari" o di altri strumenti finanziari (art. 1, comma 2, lett. j);.

I contratti a termine, gli swaps e le opzioni sono dunque le tre tipologie base di contratti derivati. Nella prassi operativa, tuttavia, i contratti a termine e le opzioni possono essere sia OTC che exchange traded, mentre i contratti swap assumono tipicamente la forma di contratti bilaterali OTC.

5. Il mercato dei derivati, OTC e exchange traded, ha conosciuto tassi di crescita notevolissimi negli ultimi anni sia a livello mondiale che in Italia.

I dati pubblicati dalla Banca dei Regolamenti Internazionali (BRI) danno un'indicazione, con riferimento ai paesi del G-10, della dimensione e del tasso di crescita del mercato(5).

A fine dicembre 2003, la BRI ha rilevato posizioni in derivati OTC per un valore nozionale pari a circa 197.000 miliardi di dollari e derivati exchange traded per un valore nozionale pari a circa 37.000 miliardi di dollari (TAV.2). Il valore nozionale misura, a seconda delle tipologie di contratti derivati, il controvalore nominale degli strumenti finanziari sottostanti gli strumenti derivati o il capitale convenzionale di riferimento in base al quale sono calcolate le obbligazioni delle controparti.

A livello mondiale, i derivati OTC hanno dunque un peso preponderante sul mercato complessivo dei derivati (pari a circa l'84%). All'interno dei derivati OTC, la componente principale è data dai derivati sui tassi di interesse (con un valore nozionale pari a circa 142.000 miliardi di dollari, equivalente al 72% dell'intero mercato dei derivati OTC), mentre i derivati sui tassi di cambio pesano per il 12% del mercato dei derivati OTC, i derivati su azioni e indici azionari pesano per il 2% circa e il rimanente 14% è rappresentato da derivati su merci e altre tipologie di strumenti.

Anche fra i derivati exchange traded si rileva una forte preponderanza dei derivati (opzioni e futures) sui tassi di interesse, e in particolare sui titoli di stato, che a fine 2003 pesavano per circa il 92% dell'intero mercato.

In termini dinamici, i dati della BRI mettono in evidenza un fortissimo tasso di crescita del mercato nel triennio 2001/2003. I derivati OTC sono passati da circa 111.000 miliardi di dollari a fine 2001 ai 197.000 miliardi di dollari del 2003 (equivalente ad un tasso di crescita annuo composto del 33% circa), mentre i derivati exchange traded sono passati da circa 24.000 miliardi di dollari a fine 2001 a oltre 36.000 miliardi di dollari a fine 2003 (equivalente ad un tasso di crescita annuo composto del 24% circa).

Per ciò che riguarda l'Italia, alcune indicazioni circa la dimensione e la crescita del mercato dei derivati sono fornite dalla rilevazione semestrale effettuata dalla Banca d'Italia, presso un campione di banche italiane, con particolare riferimento agli strumenti OTC.

L'ultima rilevazione pubblicata dalla Banca d'Italia indica che il controvalore nozionale delle posizioni in derivati OTC in essere a fine 2003 è pari a quasi 4.600 miliardi di dollari, equivalente a circa il 2% del mercato mondiale dei derivati OTC. Così come a livello globale, anche per il mercato italiano si rileva un peso preponderante dei derivati su tassi interesse (pari, in valore nozionale, al 92% circa dell'intero mercato). Il valore delle posizioni in derivati OTC alla fine del 2001 era pari a circa 2.000 miliardi di dollari, implicando un tasso di crescita annuo composto del 51%, valore nettamente superiore al tasso di crescita del mercato mondiale (33% circa).

La Banca d'Italia sottolinea nella sua indagine come a fronte di un controvalore nozionale di circa 4.600 miliardi di dollari, il valore di mercato delle posizioni in derivati - cioè il controvalore monetario che sarebbe necessario pagare o che si incasserebbe per liquidare le posizioni - è pari a soli 54 miliardi di dollari per le posizioni in attivo (cioè con un valore di mercato positivo per le banche) e a circa 47 miliardi di dollari per le posizioni in perdita (cioè con valore di mercato negativo per le banche). Quindi, a livello consolidato, le posizioni in derivati, qualora chiuse a fine 2003, genererebbero per le banche oggetto di rilevazione un profitto netto di 7 miliardi di dollari, pari (al cambio euro/dollaro di fine 2003) a circa l' 8% del margine di intermediazione realizzato nel 2003 dall'intero sistema bancario.

Le controparti dell'operatività in derivati OTC delle banche italiane sono per il 93% altre istituzioni finanziarie e per il rimanente 7% istituzioni non finanziarie (prevalentemente imprese industriali e di servizi ed enti pubblici).

A fine 2003 le banche italiane avevano quindi posizioni in strumenti derivati OTC nei confronti di imprese, soggetti pubblici, e altri enti non finanziari, in termini nozionali, per 328 miliardi di dollari, di cui l'80% circa aventi come sottostante tassi di interesse e il rimanente 20% circa aventi come sottostante tassi di cambio.

Altre indicazioni circa l'esposizione delle istituzioni non finanziarie italiane al mercato dei derivati emergono dai dati sui conti finanziari pubblicati sempre dalla Banca d'Italia. Tali statistiche, se da un lato sono basate su di una articolazione più precisa dei settori istituzionali, distinguendo in particolare fra imprese non finanziarie, enti pubblici e famiglie, dall'altro, riportano solo i dati sui valori di mercato (che come detto sono inadatti a dare indicazioni dimensionali). Si tratta inoltre, come avverte la stessa Banca d'Italia, di dati in larga misura stimati e che quindi danno solo un ordine di grandezza del fenomeno.

Nonostante queste limitazioni, il confronto fra il 1999 e il 2003 (cfr. TAV.3) mostra come il valore di mercato dei derivati detenuti da imprese industriali e di servizi sia fortemente cresciuto: a fine 1999 le posizioni in attivo avevano un valore di mercato di circa 1,3 miliardi di euro, pari approssimativamente a quello delle posizioni in passivo; a fine 2003, invece, il valore di mercato delle posizioni in attivo era pari a circa 4,6 miliardi di euro, contro i 6,6 miliardi di euro delle posizioni in passivo. Se dunque a fine 2003 le imprese non finanziarie italiane avessero liquidato le loro posizioni in derivati avrebbero registrato una perdita netta di circa 2 miliardi di euro.

3. Le evidenze dell'indagine svolta dalla CONSOB in merito all'utilizzo degli strumenti derivati da parte delle imprese non finanziarie(6).

6. La Consob ha seguito con attenzione il fenomeno della crescente diffusione degli strumenti derivati fra gli operatori non professionali e i soggetti diversi dagli intermediari finanziari, in particolare le imprese e gli Enti pubblici.

L'attenzione è stata in particolare richiamata da alcuni esposti trasmessi da imprese industriali a partire dal 2002(7).

Con essi le imprese hanno lamentato, oltre alle perdite che avrebbero subito a seguito della stipula di tale tipologia di contratti, una scarsa o mancata informativa preventiva circa le caratteristiche dello strumento finanziario derivato proposto e l'inadeguatezza dell'operazione rispetto alle esigenze effettive di copertura dei suoi rischi. Le imprese, inoltre, sostengono che l'operatività in derivati sarebbe stata svolta dalle banche in stretta connessione con quella creditizia e la stipula del contratto derivato veniva talvolta da queste presentata come necessaria per il buon fine del finanziamento.

La Consob ha quindi avviato una indagine sull'operatività in derivati OTC svolta dagli intermediari in contropartita con soggetti non finanziari, operatività che, come messo in evidenza dalle rilevazioni della Banca d'Italia, rappresenta circa il 7% dell'intero mercato dei derivati OTC(8) e che è disciplinata dalle regole in materia di servizi di investimento. Ciò allo scopo di addivenire ad una più compiuta comprensione del fenomeno, anche al fine di valutare l'adeguatezza del quadro regolamentare, alla luce della mancanza di informazioni statistiche sistematiche sul mercato dei derivati OTC.

Infatti, il mercato degli strumenti derivati, in particolare quello OTC, è strutturalmente caratterizzato, a livello mondiale e non solo nazionale, da una intrinseca e oggettiva difficoltà per ciò che riguarda la raccolta sistematica di dati precisi e significativamente rappresentativi del fenomeno in tutte i suoi molteplici aspetti. L'assoluta assenza di standardizzazione dei prodotti OTC, la possibilità di montare e smontare le operazioni attraverso catene di transazioni successive (che implica il problema, in sede di misurazione del fenomeno, delle duplicazioni), l'impossibilità di individuare attraverso dati quantitativi le finalità (speculative, di copertura o di arbitraggio) delle operazioni sono alcuni degli aspetti che, tra gli altri, rendono la raccolta sistematica di dati, anche a fini di vigilanza, estremamente problematica..

L'indagine ha riguardato i primi 10 gruppi bancari italiani attraverso specifiche richieste di informazioni di natura qualitativa e quantitativa (9).

3.1  Le caratteristiche osservate dell'operatività.

7. L'attività degli intermediari avente ad oggetto strumenti derivati OTC è principalmente riconducibile alla prestazione del servizio di negoziazione per conto proprio, con assunzione diretta di posizioni nei confronti della clientela.

Generalmente il rischio di mercato insito nelle posizioni così acquisite viene contestualmente trasferito dagli intermediari che intrattengono i rapporti con la clientela al soggetto del gruppo specializzato nel trattamento dei derivati, nell'ambito della politica di gestione del rischio di portafoglio a livello consolidato definita dal gruppo. Tale politica di gestione può prevedere l'utilizzo di posizioni preesistenti nella tesoreria dell'intermediario ovvero la loro costituzione attraverso specifiche operazioni sul mercato.

Alcuni intermediari operano pure nell'ambito dei servizi di negoziazione per conto terzi e ricezione e trasmissione di ordini. In tali casi l'ordine viene di regola eseguito all'interno del gruppo mediante conferimento all'operatore captive specializzato.

Marginale risulta l'operatività posta in essere dalle banche nell'ambito della prestazione del servizio di gestione patrimoniale: in questi casi lo strumento derivato è utilizzato in massima parte per assicurare la copertura alle gestioni c.d. garantite.

L'operatività in discorso ha avuto ad oggetto, in via assolutamente prevalente, i derivati su tassi di interesse. Diffusa è pure l'attività sui tassi di cambio. Di natura assolutamente marginale appare invece la trattazione di strumenti derivati OTC aventi come sottostante azioni e merci.

Gli strumenti maggiormente utilizzati sono gli swap(10), e, secondariamente, le opzioni, sia per l'operatività su tassi di interesse che per quella su cambi.

Nell'ambito delle tipologie di strumenti in parola, assumono rilievo in termini dimensionali le strutture non elementari (non plain vanilla(11)); in particolare, nella categoria degli swap risultano diffusi quelli contenenti opzioni implicite, mentre tra le opzioni, notevole è la presenza di quelle cosiddette esotiche(12). Secondo quanto riferito dagli intermediari nel corso dell'indagine, la necessità di ricorrere a strutture complesse deriva dalla possibilità di ridurre i costi della copertura gravanti sulla clientela. Tale costo, infatti, può essere contenuto se si limita la copertura alla sola fascia di eventi di più probabile realizzazione (ad esempio, si copre il rischio di rialzo del tasso di cambio solo nel limite del 10% e non per percentuali di rivalutazione superiori). Di contro, la maggiore complessità della struttura si riflette su una maggiore opacità dello strumento e in una maggiore difficoltà di valutazione.

Gli intermediari generalmente attribuiscono il compito del "pricing" dello strumento negoziato al soggetto del gruppo specializzato nell'attività in derivati, che utilizza unità organizzative appositamente costituite, fornite delle competenze di ingegneria finanziaria necessarie per trattare questi strumenti.

In genere è poi previsto che al prezzo così determinato in via teorica, venga aggiunto da parte del soggetto che ha il contatto con il cliente uno spread quale commissione per la remunerazione del servizio prestato, fissato dalle procedure aziendali.

La politica commerciale adottata nella vendita di derivati OTC risulta differente all'interno dei vari gruppi bancari coinvolti nell'indagine, tuttavia è possibile delineare talune caratteristiche comuni.

La rete distributiva utilizzata è generalmente costituita dalle filiali specializzate nell'operatività corporate, nonché da strutture della sede centrale dedicate ad attività volte a costruire strumenti "tagliati" sulle specifiche esigenze del cliente (cosiddetta attività tailor made). I dipendenti in contatto con la clientela vengono addestrati in maniera specifica nella materia e, comunque, si avvalgono del supporto delle unità specializzate presenti all'interno del gruppo.

Ad oggi, le politiche di incentivazione specifiche sulla commercializzazione di derivati OTC sono rare: in genere la distribuzione di tali strumenti concorre al raggiungimento del budget generale, peraltro con un peso relativamente ridotto. Soprattutto nel passato sono state tuttavia svolte da parte di taluni intermediari specifiche campagne presso i dipendenti, al fine di incrementare l'operatività nel settore.

La maggior parte dell'operatività è svolta sia con controparti istituzionali, come detto non oggetto di indagine, che con altri operatori qualificati. Tra questi, le imprese non finanziarie sono il target primario.

Gli operatori non qualificati (essenzialmente clientela retail) assumono invece un peso marginale; taluni intermediari rifiuterebbero esplicitamente, in base a regole interne di politica commerciale, di compiere operazioni con tale tipologia di soggetti.

In merito all'attività posta in essere con operatori qualificati, è emerso che gli intermediari sarebbero dotati di procedure di classificazione della clientela aderenti a quanto stabilito dall'attuale formulazione dell'art. 31 del Regolamento CONSOB n.11522(13).

Diffusa sarebbe altresì l'adozione di ulteriori classificazioni da parte degli intermediari; in particolare taluni soggetti hanno rappresentato l'utilizzo di limiti quantitativi per le imprese da classificare in questa categoria, espressi in termini di fatturato e/o di patrimonio minimo.

Infine, da quanto dichiarato, sarebbe diffusa presso gli intermediari la prassi di verificare in via autonoma, mediante colloqui con i clienti, analisi dei dati di bilancio e acquisizione di ulteriori informazioni anche presso la Centrale dei rischi, l'effettiva capacità di comprensione da parte del cliente degli strumenti derivati proposti e la concreta necessità di porre in essere le medesime.

Quanto alle finalità delle operazioni, secondo quanto dichiarato dalle banche, larga parte dell'operatività è svolta a fini di copertura dei rischi della clientela (sia qualificata che non qualificata). Tuttavia il fenomeno è di difficile quantificazione in quanto gli intermediari non sono sempre in grado di conoscere le reali motivazioni sottostanti l'operatività da questi posta in essere (di copertura o speculative), anche per via della prassi del fenomeno del multiaffidamento esistente nel nostro sistema finanziario (le imprese prenditrici si fanno assistere da un numero di banche elevato).

Come verrà meglio illustrato fra breve, la maggior parte dell'operatività complessiva in derivati è riferibile ad imprese ed ha avuto ad oggetto strumenti legati all'andamento dei tassi di interesse.

In generale si può osservare che si è trattato di un'operatività posta in essere in un periodo caratterizzato da diffuse aspettative di rialzo dei tassi di interesse. Tali aspettative erano, all'epoca in cui sono state aperte le posizioni, parzialmente e approssimativamente misurabili sulla base della pendenza positiva della curva per scadenza dei tassi di interesse - cioè tassi a breve più bassi dei tassi a lungo termine - e riflesse in un livello dei tassi a termine derivabile dai rendimenti dei futures più alto dei tassi correnti (o tassi spot). Invece, la dinamica effettiva della congiuntura economica in Europa e negli USA ha fatto sì che, almeno sino ad oggi, le aspettative di rialzo dei tassi fossero largamente disattese.

Sembra dunque verosimile ricollegare l'operatività in derivati delle imprese (ma anche di altri soggetti) a finalità prevalentemente di copertura dal rischio di rialzo dei tassi di interesse, in una situazione di aspettative fortemente condizionate da attese di ripresa dell'attività economica che non si sono materializzate.

L'indagine condotta ha anche specificamente approfondito il tema delle rinegoziazioni(14) di contratti derivati.

Al riguardo, in via preliminare si rappresenta che, dai dati acquisiti, il fenomeno ha interessato in maniera più intensa solo alcuni degli intermediari sentiti.

In presenza di andamenti delle grandezze economiche difformi rispetto alle ipotesi di base delle strategie di copertura, le banche avrebbero consigliato i clienti di rimodulare le proprie posizioni. In particolare, a fronte di posizioni che evidenziavano un mark to market negativo, si suggeriva lo "smontaggio" dell'operazione già in essere e l'apertura di una nuova posizione. Per consentire l'effettuazione di una tale operazione con un effetto finanziario nullo per il cliente risultava necessario che la nuova operazione fosse ingegnerizzata in modo da produrre una somma di denaro (c.d. commissione di upfront(15)) che il cliente girava immediatamente all'intermediario a chiusura della vecchia posizione. In particolare tale risultato viene ottenuto alterando la struttura dei flussi finanziari dello strumento oggetto della rinegoziazione. Anche in occasione delle rinegoziazioni la complessità dello strumento, per quanto detto, tende ad aumentare comportando quindi una maggiore opacità del prodotto e una maggiore difficoltà di determinazione del prezzo.

3.2  La dimensione e le determinanti del fenomeno

8. Passando all'esame delle informazioni quantitative, dall'analisi condotta emerge in primo luogo che l'operatività svolta dai 10 gruppi bancari esaminati avrebbe interessato circa 50.000 clienti non istituzionali (imprese non finanziarie, enti pubblici e clientela retail), cui sono riconducibili circa 78.000 contratti. Il controvalore nozionale complessivo delle posizioni in essere al 30 giungo 2004 è pari a circa 146 miliardi di euro.

I clienti con una valorizzazione negativa della posizione (cosiddetto mark to market negativo) sono oltre l'80% ed al 30 giugno 2004 il valore di mercato, vale a dire il debito totale dei clienti nei confronti delle banche, in ipotesi di chiusura immediata di tutte le posizioni, è pari ad oltre 4 miliardi di euro.

Tale situazione deve essere letta evidentemente in relazione all'evoluzione dello scenario macro economico prima delineata. In particolare, se è vero - come è stato dichiarato - che gran parte dei contratti stipulati avevano una finalità di copertura ed erano volti a immunizzare l'acquirente dal rischio di variazioni dei tassi di interesse o dei tassi di cambio, il fatto che oggi tali contratti abbiano un valore di mercato negativo può non rappresentare di per sé un'evidenza di una situazione patologica, ma può indicare semplicemente il fatto che è stato coperto un rischio che non si è realizzato.

In termini di numero di soggetti, circa il 75% delle posizioni in derivati è riconducibile a clienti classificati dagli intermediari come operatori qualificati (o investitori professionali) e a tali clienti è riconducibile, in termini di controvalore nozionale, oltre il 96% delle posizioni rilevate.

Infatti, il taglio medio, sempre in termini di nozionale, delle operazioni poste in essere con operatori qualificati è pari a circa 3,6 milioni di euro per i derivati su tassi di interesse e a 2,6 milioni di euro per i derivati su tassi di cambio; per gli operatori non qualificati invece la dimensione media dei contratti è pari a circa 390.000 euro per quelli su tassi di interesse e a circa un milione di euro per i derivati su tassi di cambio. Anche il numero medio di operazioni in essere in capo alla clientela qualificata è superiore rispetto a quella non qualificata (in media oltre 1,5 contratti contro circa 1).

Alla data del 30 giugno 2004, valorizzate al mercato, le posizioni detenute dalla clientela qualificata rappresentano circa il 98% del complessivo mark to market, con una valore medio per contratto negativo per circa 98.000 euro per i derivati su tassi di interesse e a circa 120.000 euro per i derivati su tassi di cambio. Marginale risulta invece la posizione negativa dei soggetti non qualificati per quanto riguarda i derivati su tassi di interesse(16) mentre per ciò che riguarda i derivati su tasso di cambio la perdita media supera i 25.000 euro.

9. Come prima accennato, la parte nettamente preponderante della clientela non istituzionale è costituita da imprese non finanziarie (oltre 40.000 soggetti), alle quali è riconducibile circa l'82% delle posizioni in derivati rilevate in termini di valore nozionale(17). Il 92% circa di tali posizioni ha ad oggetto derivati sui tassi di interesse (cfr. TAV. 4).

Con riferimento specifico a questa tipologia di derivati, la dimensione media dei contratti stipulati dalle imprese è pari a circa 2,6 milioni di euro con una perdita media per contratto pari a 76.000 euro. Il valore di mercato complessivo di tali posizioni è negativo per 3,2 miliardi di euro e la percentuale di imprese con posizioni in perdita è pari a circa il 90%.

La presenza di una percentuale molto elevata di soggetti con mark to market negativo è indice di una concordanza di direzione delle posizioni assunte dalle imprese. Tale "unidirezionalità" delle posizioni - ma anche l'intensità dell'esposizione al rischio di tasso e la "domanda" di copertura - è coerente con le ben note caratteristiche della struttura finanziaria delle imprese italiane che, come messo ampiamente in luce nella testimonianza della Banca d'Italia, è caratterizzata da una elevata incidenza dei debiti (bancari) a breve termine o indicizzati.

Per ciò che riguarda la distribuzione delle imprese per fasce dimensionali, si rileva come circa il 50% delle imprese è di piccole dimensioni (circa 19.000 soggetti, con fatturato massimo variabile da 1,5 a 5 milioni di euro); tuttavia, in termini di valore nozionale, a tali imprese è riferibile poco più del 20% delle posizioni in derivati.

Le medie imprese (fatturato non superiore a 40/50 milioni di euro) e le grandi imprese (fatturato superiore a 50 milioni di euro) si ripartiscono pressoché equamente il restante 80% del mercato.

La minore incidenza dell'operatività riferibile alle piccole imprese, in termini di valore nozionale, dipende dalla ridotta dimensione media dei contratti da esse stipulati (circa un milione di euro), rispetto alla dimensione media dei contratti delle medie imprese (circa 3 milioni di euro) e dalle grandi imprese (circa 9 milioni di euro).

Sulla base di stime campionarie(18), il mark to market negativo medio per le piccole imprese sarebbe di poco superiore ai 30.000 euro, mentre per le medie imprese sarebbe pari a circa 100.000 euro e per le grandi imprese a circa 260.000 euro.

Anche il numero medio di contratti in essere risulta diverso: in media di poco superiore all'unità per le piccole imprese, a fronte di circa 2 operazioni per le medie e grandi imprese.

10. I dati dell'indagine condotta dalla Consob hanno messo in luce anche il coinvolgimento degli Enti pubblici nel mercato dei derivati OTC.

Tali soggetti (circa 900) costituiscono circa il 2% del numero totale di clienti non finanziari che hanno operato in derivati con i gruppi bancari italiani oggetto di indagine. L'operatività degli enti pubblici ha avuto ad oggetto esclusivamente derivati sui tassi di interesse e il controvalore nozionale delle posizioni detenute al 30 giugno 2004 risulta pari a circa 12 miliardi di euro.

Rispetto al settore delle imprese, si osserva una dimensione media dei contratti molto più elevata (circa 12 milioni di euro, contro i 2,6 milioni di euro delle imprese) e una perdita media pure più consistente (circa 430.000 euro, contro i 76.000 euro circa delle imprese). Anche tra gli enti pubblici si rileva inoltre una percentuale molto elevata di soggetti con posizioni di perdita (circa il 78%).

All'interno della categoria Enti pubblici, la parte preponderante è rappresentata dagli Enti Locali(19).

Le determinanti dell'operatività in strumenti derivati da parte di tali soggetti dipendono in larga misura dal mutato contesto normativo e operativo che caratterizza la finanza pubblica. Fino ai primi anni novanta l'indebitamento degli Enti Locali avveniva essenzialmente attraverso mutui, prevalentemente a tasso fisso, e i contributi statali coprivano pressoché interamente gli oneri finanziari. Negli anni successivi si è assistito ad una riduzione progressiva dei trasferimenti statali e all'introduzione di vincoli di spesa posti dalla necessità di rispettare il Patto di stabilità. Questi fattori, insieme alla discesa dei tassi di interesse, hanno indotto gli Enti Locali ad adottare forme di gestione più attenta e sofisticata delle passività, utilizzando strumenti derivati e di copertura del rischio di tasso di interesse.

A partire dal 1996 (con la legge n. 539 del 1995 e il DM 490/1996) agli Enti viene consentito di effettuare operazioni di swap su tassi di cambio (obbligatori per i debiti in valuta), mentre viene esclusa la facoltà d porre in essere operazioni in derivati che modificano la struttura del debito. La ratio di tali disposizioni rispondeva fondamentalmente alla preoccupazione di evitare che gli strumenti derivati fossero utilizzati per rinviare agli esercizi futuri degli oneri relativi al servizio del debito.

Alla luce del nuovo scenario e dei nuovi vincoli che caratterizzano la finanzia pubblica, la legge finanziaria per il 2002 (legge n. 448/2001) ha quindi introdotto la possibilità per gli Enti Locali di porre in essere operazioni in strumenti derivati, rinviando la disciplina di dettaglio ad un apposito regolamento ministeriale. La legge 488/2001 consente inoltre agli Enti Locali di emettere titoli di debito cosiddetti bullet, che prevedono cioè il rimborso del capitale in un'unica soluzione alla scadenza. Fino a tutto il 2001 questa possibilità era preclusa e ciò limitava fortemente la possibilità di ricorso al mercato obbligazionario da parte degli Enti Locali. I titoli bullet sono infatti lo standard del mercato obbligazionario e la loro emissione consente di raccogliere risorse presso una vasta platea di investitori. La legge 488/2001 prevede comunque l'obbligo per gli Enti di costituire un fondo ammortamento o di effettuare uno swap per trasformare il titolo obbligazionario bullet in un titolo con ammortamento.

Per ciò che riguarda la disciplina di dettaglio, rappresentata dal D.M. 389/2003 e dalla relativa circolare interpretativa del 27/5/2004, i principali vincoli all'operatività in derivati per gli Enti Locali (oltre alla conferma dell'obbligo di effettuare swap a copertura del rischio di cambio per le passività in valute diverse dall'euro) sono così sintetizzabili:

- è possibile l'utilizzo dei derivati solo in relazione alla gestione delle effettive passività, e quindi per finalità esclusivamente di copertura dei rischi (è dunque esclusa qualsiasi finalità speculativa). Ciò implica che l'ammontare nozionale del contratto derivato deve corrispondere al valore delle passività gestite.

- è possibile effettuare operazioni a copertura del rischio di tasso di interesse solo di tipo cosiddetto plain vanilla, cioè secondo figure contrattuali standard esplicitamente individuate (swap di tasso di interesse, forward rate agreement, acquisto di "cap" e di "collar"). Non è ammesso inoltre l'utilizzo di leve o moltiplicatori nel calcolo dei parametri per lo scambio di flussi finanziari (ad esempio lo scambio di 2 volte il tasso variabile contro due volte il tasso fisso, etc.);

- è possibile utilizzare derivati per effettuare operazioni di ristrutturazione del debito - cioè operazioni volte a cambiare il piano di ammortamento del debito - solo qualora non prevedano una scadenza posteriore a quella della sottostante passività. Come detto, questo tipo di operazioni sono necessarie qualora un ente emetta un obbligazione cosiddetta bullet, poiché come detto la legge impone all'ente di distribuire l'onere del rimborso del capitale su tutta la vita del prestito(20). Tali operazioni in derivati non devono però prevedere un flusso crescente di valori attuali, cioè un profilo di rimborso della passività in cui l'onere della restituzione del capitale (e eventualmente anche degli interessi) è concentrato verso la scadenza della passività. Inoltre, in relazione a tali operazioni, non è possibile per l'ente incassare o versare premi iniziali (cosiddetti upfront) per un importo superiore all'1% della passività sottostante (sempre al fine di evitare un'alterazione sostanziale della distribuzione nel tempo degli oneri per il servizio del debito).

- le operazioni in strumenti derivati sono consentite solo in contropartita con intermediari aventi un rating pari almeno alla soglia dell'investment grade e, qualora l'operatività in derivati arrivi a superare i 100 milioni di euro, l'esposizione verso ogni intermediario non può superare il 25% dell'esposizione complessiva.

Le regole di dettaglio fissate dal Ministero dell'economia e delle finanze (D.M. 389 del 1 Dicembre 2003 e la successiva circolare interpretativa) impongono agli Enti di utilizzare i derivati esclusivamente per la gestione delle passività - sia per coprire i rischi di tasso di interesse e di cambio e sia per modificare il piano di ammortamento del debito - e si ispirano a regole di prudenza e di accortezza. Tali regole non impediscono però agli Enti di cogliere condizioni di mercato favorevoli, ma allo stesso tempo limitano l'assunzione di eccessivi rischi di mercato e di controparte. Tale disciplina è intervenuta a rendere più ordinato l'accesso al mercato dei derivati da parte degli Enti Locali successivamente alla "liberalizzazione" operata con la citata legge n. 448/2001.

4. Le regole di condotta degli intermediari e la definizione di investitore qualificato: la normativa nazionale e l'evoluzione della disciplina comunitaria

11. Sembra ora utile ricostruire brevemente il quadro normativo con specifico riferimento all'aspetto delle regole di condotta che gli intermediari devono rispettare quando prestano i servizi di investimento, anche in rapporto alla natura di investitore professionale dei propri clienti.

La vendita alla clientela degli strumenti finanziari derivati da parte degli intermediari si inserisce infatti nel più ampio contesto della prestazione dei servizi di investimento nei confronti del pubblico disciplinata in via generale dalle norme del Testo unico della finanza (TUF). Il TUF stabilisce che, indipendentemente dalla natura dell'investitore, gli intermediari autorizzati devono comportarsi con diligenza, correttezza e trasparenza, nell'interesse dei clienti e per l'integrità dei mercati; essi devono acquisire le informazioni necessarie e operare in modo che i clienti siano sempre adeguatamente informati e devono disporre di risorse e procedure idonee ad assicurare l'efficiente svolgimento dei servizi.

L'art. 6 del TUF, nel fissare i poteri di vigilanza regolamentare della Consob, evidenzia che tali poteri devono tenere conto delle differenti esigenze di tutela degli investitori connesse con la qualità e l'esperienza professionale dei medesimi(21).

Nell'emanare i regolamenti di attuazione del TUF, la Consob ha quindi provveduto a definire la nozione di "operatore qualificato" (o investitore professionale), nella quale possono essere individuate due diverse categorie di soggetti: da un lato, vi sono le imprese operanti a vario titolo nel settore finanziario (banche, Sim, società di gestione del risparmio, fondi pensione, compagnie di assicurazione, società ed enti emittenti strumenti finanziari negoziati in mercati regolamentati) che si presume abbiano una elevata esperienza e professionalità nel settore, e, dall'altro lato, vi sono le persone fisiche che documentino il possesso di determinati requisiti di professionalità ed esperienza e ogni società o persona giuridica in possesso di una specifica competenza ed esperienza in materia di operazioni in strumenti finanziari espressamente dichiarata per iscritto dal legale rappresentante.

Nel caso in cui il cliente sia un investire non professionale, il regolamento Consob delinea una disciplina di dettaglio orientata a fornire una serie articolata di presidi a tutela degli investitori, in particolare per ciò che riguarda l'operatività in situazioni di conflitto di interesse, gli obblighi informativi, i contratti e la necessaria valutazione di adeguatezza delle operazioni poste in essere.

Con particolare riferimento all'aspetto informativo, l'art. 28 del regolamento stabilisce pertanto che gli intermediari debbano assumere dagli investitori le informazioni concernenti la loro esperienza in materia di investimenti in strumenti finanziari, la loro situazione finanziaria, i loro obiettivi di investimento, la loro propensione al rischio. Gli intermediari devono inoltre consegnare ai clienti il "documento sui rischi generali degli investimenti in strumenti finanziari".

Da altro punto di vista, gli intermediari autorizzati non possono effettuare o consigliare operazioni o prestare il servizio di gestione se non dopo aver fornito all'investitore informazioni adeguate sulla natura, sui rischi e sulle implicazioni della specifica operazione o del servizio, la cui conoscenza sia necessaria per effettuare consapevoli scelte di investimento o disinvestimento.

Particolare rilievo assume, tra gli altri, l'obbligo dell'intermediario di astenersi dall'effettuare con o per conto degli investitori operazioni che, sulla base delle informazioni comunque disponibili, appaiono non adeguate per tipologia, oggetto, frequenza o dimensione. Anche qualora il cliente trasmetta disposizioni relative ad una operazione non adeguata gli intermediari devono informarlo di tale circostanza e delle ragioni per cui non è opportuno procedere alla sua esecuzione. Qualora l'investitore intenda comunque dare corso all'operazione, gli intermediari possono eseguire l'operazione stessa solo sulla base di un ordine impartito per iscritto (ovvero, nel caso di ordini telefonici, registrato su nastro), in cui sia fatto esplicito riferimento alle avvertenze ricevute.

Nel caso, invece, il cliente sia un investitore qualificato tale disciplina, salvo diverso accordo fra le parti, non trova applicazione. Tuttavia, l'intermediario che presta i servizi di investimento ad un operatore qualificato non può ritenersi esonerato dal rispetto dei "criteri generali" stabiliti nell'art. 21 del TUF, tra cui l'obbligo di adottare comunque comportamenti ispirati a diligenza, correttezza e trasparenza, e di alcune "regole generali di comportamento" fissate nel regolamento Consob (tra cui l'obbligo di acquisire una conoscenza degli strumenti e dei prodotti offerti, adeguata al tipo di prestazione da fornire).

La graduazione degli obblighi posti in capo agli intermediari in funzione della tipologia e dell'esperienza dell'investitore è coerente con la direttiva sui servizi di investimento (93/22/CEE) tuttora vigente (ma destinata ad essere abrogata all'atto dell'entrata in vigore della direttiva 2004/39/CE, approvata definitivamente nel passato mese di aprile 2004), là dove, al 32 considerando, stabilisce che "è opportuno tener conto delle varie esigenze di tutela delle diverse categorie di investitori e del loro livello di esperienza professionale" e, all'art. 11, stabilisce che le norme di comportamento per la prestazione dei servizi devono essere applicate in modo da tenere conto della natura professionale della persona a cui è fornito il servizio.

Questa impostazione regolamentare è anche in linea con l'evoluzione della disciplina nazionale in materia di tutela dei consumatori, la quale, in accordo con le disposizioni comunitarie, chiarisce che la figura del consumatore - caratterizzata da particolari esigenze di tutela - deve essere individuata nella "persona fisica che agisce per scopi estranei all'attività imprenditoriale o professionale eventualmente svolta" (art. 1469-bis cod. civ.).

12. Tale quadro normativo è destinato a essere modificato allorché si dovrà recepire nel nostro paese la direttiva 2004/39/CE (cosiddetta MiFID - approvata nell'aprile 2004 e destinata ad abrogare la direttiva tutt'ora vigente 93/22/CEE sui servizi di investimento) che ridisegna, con innovazioni anche rilevanti, la disciplina degli intermediari e della prestazione dei servizi di investimento.

Con particolare riferimento al differente trattamento degli investitori, in relazione alla loro professionalità, la nuova direttiva opera una distinzione tra clienti al dettaglio, clienti professionali e "controparti". L'appartenenza all'una o all'altra categoria determinerà una diversa ampiezza delle tutele previste nell'ambito della prestazione di tutti o alcuni servizi di investimento. Sarà però sempre possibile per ogni cliente richiedere un trattamento di maggior tutela rispetto a quello della categoria di appartenenza.

Una particolare menzione merita, in questo quadro, il dettagliato profilo disegnato dalla direttiva in relazione alla categoria dei "clienti professionali", individuati come quei clienti che possiedono l'esperienza, le conoscenze e la competenza necessarie per prendere le proprie decisioni in materia di investimenti e valutare correttamente i rischi che assumono.

A tale fine, la direttiva individua due categorie: da un lato quei soggetti che, per loro natura, si ritengono professionali, dall'altro i clienti che possono richiedere tale trattamento.

Appartengono alla prima categoria gli enti creditizi, le imprese di investimento, le imprese di assicurazione, i fondi pensione, alcuni soggetti pubblici, altri investitori istituzionali. Rientrano pure nella categoria le imprese che superano determinate soglie dimensionali (totale di bilancio: venti milioni di Euro; fatturato netto: quaranta milioni di Euro; fondi propri: due milioni di Euro).

Appartengono invece alla seconda categoria tutti i soggetti diversi da quelli appena indicati, che richiedano specificamente di essere trattati come professionali. La classificazione come professionali è tuttavia subordinata ad una effettiva valutazione, da parte dell'intermediario che presta il servizio, della competenza, dell'esperienza e delle conoscenze del cliente. A tale fine, la direttiva prevede l'effettuazione di uno specifico test di competenza, all'esito del quale dovrebbero essere soddisfatti almeno due dei seguenti criteri: significativa operatività, per frequenza e dimensione, del cliente (almeno 10 operazioni al trimestre nell'ultimo anno); valore degli strumenti finanziari e della liquidità detenuti non inferiore a 500.000 Euro; qualificata esperienza nel settore, per almeno un anno, del cliente interessato.

La rinuncia alle tutele spettanti ai "clienti al dettaglio", insita nella richiesta di essere classificati quali "clienti professionali", è inoltre subordinata all'espletamento di una procedura formale piuttosto rigorosa.

Una categoria alla quale la direttiva riserva tutele minori rispetto ai clienti professionali è poi quella delle "controparti qualificate", per la cui compiuta definizione ed attuazione è tuttavia prevista l'adozione, da parte della Commissione, di specifiche misure di esecuzione. Le previste misure di esecuzione riguardano anche la determinazione di requisiti, comprese soglie quantitative, che le imprese non finanziarie debbono possedere affinché gli Stati membri possano riconoscerle quali "controparti qualificate".

Il quadro normativo complessivamente ricostruito consente in sostanza di affermare che, con specifico riferimento alla disciplina degli operatori professionali, il recepimento della direttiva 2004/39/CE determinerà l'introduzione di una più ampia e più puntuale diversificazione tra le imprese che potranno chiedere di ricevere un trattamento di minor tutela rispetto ai principi previsti per la clientela "retail".

In definitiva, la direttiva diversifica il trattamento delle imprese, stabilendo che, al di sotto di determinate soglie, esse debbano essere normalmente considerate investitori non professionali, e che, anche qualora richiedano di essere trattate come investitori professionali, gli intermediari non possono basarsi su una semplice "autocertificazione", ma devono effettivamente accertarsi della loro competenza ed esperienza in materia di investimenti finanziari.

E' necessario tenere presente che, anche qualora il legislatore nazionale volesse fissare norme o soglie che garantissero maggiori tutele per le imprese, avrebbe ben pochi margini di discrezionalità. La disciplina europea di livello primario (direttiva) e della normativa di attuazione (secondo livello) presenta infatti un grado di dettaglio ben più ampio di quanto non avvenisse in passato, nel perseguimento dell'obiettivo di un elevato livello di armonizzazione.

La direttiva, inoltre, si ispira al principio secondo cui le imprese di investimento nazionali saranno in larga misura chiamate a prestare i servizi in base alla disciplina del paese di origine. Pertanto, anche là dove fosse ipotizzabile l'introduzione di regole generali più restrittive rispetto a quelle europee, occorrerà in ogni caso tenere conto della necessità di non porre gli intermediari italiani in una posizione di svantaggio competitivo rispetto a quelli operanti altri paesi comunitari.

5. L'impatto dei principi contabili internazionali in materia di strumenti finanziari nei bilanci delle imprese.

Alla evoluzione del mercato e alla maggiore sofisticazione nella gestione finanziaria delle imprese, si contrappone però un sistema di contabilizzazione e di disclosure dell'operatività in derivati che risulta per molti versi lacunoso e insoddisfacente.

Per ciò che riguarda la rappresentazione contabile delle operazioni in derivati, e più in generale degli strumenti finanziari, è opportuno sottolineare preliminarmente che gli attuali principi generali dettati dal legislatore per la redazione del bilancio richiedono di rappresentare le operazioni sulla base della natura giuridica delle stesse. Natura giuridica che, soprattutto con riferimento agli strumenti finanziari derivati, non sempre riflette pienamente la sostanza economica dell'operazione posta in essa.

Sulla base di tale orientamento la registrazione della gran parte delle operazioni in strumenti finanziari derivati (in particolare quelle di copertura) è attualmente effettuata solo nel sistema dei conti d'ordine. Le attuali disposizioni in materia di redazione del bilancio non richiedono inoltre di fornire specifiche informazioni in merito a tali operazioni.

Tale situazione è stata confermata da una breve indagine condotta sui bilanci d'esercizio e consolidati al 31.12.2003 delle maggiori imprese non finanziare quotate in Borsa.

Gli strumenti finanziari derivati utilizzati per finalità di copertura vengono infatti iscritti nei conti d'ordine, alla voce impegni, al momento della loro stipula, per l'importo nominale del contratto. Proventi ed oneri relativi a tali contratti sono poi imputati al conto economico per competenza lungo la durata del contratto. Gli strumenti finanziari derivati acquistati per essere negoziati, o che non possono essere classificati come di copertura, sono valutati alla data di chiusura dell'esercizio al minore tra il costo ed il valore di mercato e le variazioni di valore sono rilevate tra gli oneri finanziari.

L'informativa fornita nella documentazione di bilancio è correlata al grado di operatività in strumenti finanziari posta in essere per l'attività di gestione dei rischi. In particolare sono fornite indicazioni in merito all'utilizzo dei derivati (copertura dei rischi o negoziazione), e sono riportati, generalmente in forma tabellare, i principali dati caratterizzanti le diverse tipologie dei contratti derivati in essere alla data di chiusura del bilancio (quali ad esempio: valore nozionale degli impegni assunti, la scadenza delle operazioni, ammontare suddiviso tra acquisti e vendite).

Solo alcune delle società esaminate indicano nella nota integrativa, oltre agli importi nominali dei contratti derivati, il confronto tra il valore degli strumenti finanziari iscritto in bilancio e la valutazione al mercato (mark to market), evidenziando nella maggioranza dei casi delle differenze molto rilevanti(22).

L'unico intervento normativo in materia di contabilizzazione degli strumenti finanziari, e quindi anche di derivati, si è avuto con il Decreto Legislativo n.394 del 30 dicembre 2003, che ha recepito la Direttiva CE 65/2001. Tale direttiva, che ha modificato la quarta e la settima direttiva in materia di redazione del bilancio d'esercizio e consolidato, prevede, tra l'altro, che gli Stati membri possono autorizzare oppure imporre la valutazione al "fair value" (o valore equo) gli strumenti finanziari, compresi gli strumenti finanziari derivati.

Il Decreto Legislativo di recepimento si è limitato a prevedere, a partire dall'esercizio 2005, l'inserimento nella nota integrativa alcune informazioni sul "fair value" (che in sostanza coincide con il mark to market per gli strumenti derivati) mantenendo inalterati i criteri di valutazione da utilizzare per la redazione del bilancio. Ciò ha comportato l'inserimento nel codice civile di un nuovo articolo rubricato "Informazioni relative al valore equo "fair value" degli strumenti finanziari". Tale articolo prevede, tra l'altro, che, a partire dal bilancio 2005, per ciascuna categoria di strumenti finanziari derivati venga illustrato, nella nota integrativa, il loro fair value (cioè il valore di mercato) e vengano fornite informazioni sulla loro entità e natura.

Nella relazione al bilancio gli amministratori devono inoltre fornire informazioni in merito all'uso degli strumenti finanziari, agli obiettivi e alle politiche di gestione del rischio finanziario, nonché all'esposizione della società al rischio di fluttuazioni dei cambi, tassi di interesse, prezzi delle merci.

Il legislatore nazionale ha dunque ritenuto di implementare per tutte le società di capitali unicamente l'informativa da inserire in nota integrativa e di non modificare la modalità di contabilizzazione degli strumenti finanziari - inclusi quindi i derivati - anche in considerazione dell'imminente introduzione dei principi contabili internazionali ("International Accounting Standards" IAS). Il Regolamento CE 1606/2002 adottato dal Parlamento e dal Consiglio dell'Unione Europea prevede infatti l'obbligo di utilizzo dei principi contabili internazionali emanati dallo IASB (International Accounting Standard Board), ed omologati dalla Commissione Europea, nella redazione dei bilanci consolidati delle società quotate a partire dal 2005 ed attribuisce agli Stati membri la facoltà di richiedere o consentire l'utilizzo di tali principi anche ad altre categorie di società e/o ai bilanci d'esercizio.

E' opportuno dunque sottolineare che l'introduzione dei nuovi principi contabili internazionali per la redazione del bilancio consolidato troverà applicazione, a partire dal 2005, obbligatoriamente per le società quotate, banche, assicurazioni, intermediari finanziari e società con titoli diffusi; rappresenterà, inoltre, una facoltà per un ampia categoria di soggetti, quali le società controllate e collegate delle predette società e per tutte le società che sono tenute alla redazione del bilancio consolidato(23). Per le altre societàle norme sulla contabilizzazione degli strumenti derivati rimarranno quelle attualmente previste dal Codice Civile. Si deve ritenere, tuttavia, che nel medio periodo anche le imprese non tenute obbligatoriamente all'adozione degli IAS, fra cui larga parte delle imprese con posizioni in derivati, saranno incentivate ad adottare volontariamente i nuovi standard contabili.

Al riguardo si ritiene utile tratteggiare brevemente le principali innovazioni degli IAS rispetto alla vigente disciplina.

Le disposizioni previste dai principi contabili internazionali, ed in particolare dallo IAS 32 e dallo IAS 39 che disciplinano le modalità di rilevazione e misurazione degli strumenti finanziari, si discostano notevolmente dalle disposizioni attualmente vigenti.

In considerazione dei rilevanti cambiamenti che verranno introdotti con l'applicazione dei nuovi principi il CESR (Committee of European Securities Regulators), organizzazione di cui fanno parte le autorità di controllo dei Paesi membri dell'Unione Europea ed alla quale la Consob partecipa attivamente, ha emanato nel 2002 una Raccomandazione, avente ad oggetto le informazioni che le società quotate devono fornire per la transizione agli IAS nei bilanci 2003 e 2004.

Per quanto attiene in particolare agli strumenti finanziari la maggioranza delle società esaminate ha sinteticamente riportato nel bilancio 2003, così come richiesto dalla citata Raccomandazione, le principali modalità di rilevazione, misurazione e valutazione che saranno introdotte con i nuovi principi contabili evidenziando, inoltre, che questi si differenziano in alcuni casi in modo sostanziale da quelli attualmente seguiti.

Solo alcune società hanno riportato gli effetti che si sarebbero determinati sulla situazione patrimoniale e sul risultato dell'esercizio 2003 qualora fossero stati utilizzati i nuovi principi internazionali(24).

I principi contabili internazionali modificheranno profondamente sia l'attuale classificazione e valutazione degli strumenti derivati (e più in generale degli strumenti finanziari) sia la disclosure che dovrà essere fornita per le operazioni su tali strumenti.

Per ciò che riguarda la classificazione, i principi contabili internazionali distinguono gli strumenti finanziari in funzione della destinazione dell'investimento, secondo le seguenti categorie: (i) investimenti da detenersi fino alla scadenza; (ii) finanziamenti e crediti dell'impresa, rappresentati da attività finanziarie; (iii) attività finanziarie possedute per essere negoziate; (iv) attività finanziarie disponibili per la vendita.

Dal punto di vista dalla valutazione, i principi contabili internazionali prevedono quale criterio valutativo quello del fair value, in sostituzione di quello del costo. I profili di rischio che caratterizzano tipicamente le operazioni in strumenti finanziari, ed in particolare il rischio di mercato, hanno infatti messo in discussione l'applicazione del criterio del costo storico nella valutazione di tali strumenti.

Gli IAS prevedono quindi che le attività finanziarie detenute per essere negoziate e quelle disponibili per la vendita vadano sempre valute al fair value (le prime con imputazione a conto economico, mentre le seconde con imputazione al patrimonio netto). Invece, gli investimenti da detenersi fino alla scadenza, i finanziamenti ed i crediti saranno valutati al costo, tenuto conto dei rimborsi, dell'ammortamento della differenza tra il valore iniziale e quello di rimborso, nonché di eventuali svalutazioni per perdite durevoli di valore.

Il fair value è definito dai principi contabili internazionali come il corrispettivo al quale un'attività può essere scambiata o una passività estinta, in una libera transazione fra parti consapevoli e disponibili.

L'utilizzo del fair value presuppone che la società sia pienamente operativa e non esistano né l'intenzione né la necessità di liquidare o ridurre sensibilmente l'attività. Il fair value deve tuttavia considerare anche la qualità creditizia dello strumento.

Alla data di rilevazione iniziale il fair value di uno strumento finanziario è normalmente determinabile con riferimento al corrispettivo versato in denaro. Successivamente alla rilevazione iniziale le società devono determinare il prezzo al quale lo strumento derivato sarebbe scambiato alla data di redazione del bilancio.

Tornando al tema della valutazione, per ciò che riguarda in particolare gli strumenti derivati, essi saranno sempre rilevati al fair value e le loro variazioni imputate a conto economico, ad eccezione di alcune operazioni di copertura che richiedono l'imputazione a patrimonio netto (copertura dei flussi di cassa).

I principi contabili internazionali individuano infatti due tipi di operazioni di copertura mediante strumenti finanziari (derivati) - la copertura del fair value e la copertura dei flussi di cassa - con effetti diversi sul risultato d'esercizio.

Nelle coperture di fair value - cioè le coperture destinate a bilanciare o le variazioni di valore di un determinato asset o di una determinata passività - le variazioni di valore dell'attività (o della passività) coperta devono essere iscritte a conto economico simmetricamente alle variazioni di valore dello strumento di copertura. Tale meccanismo si applica anche nel caso di copertura di attività o passività valutate al costo, in tal caso l'elemento coperto registrerà delle variazioni che saranno imputate a conto economico in contropartita alle variazioni di valore dello strumento di copertura. Tale metodologia modificherà pertanto profondamente l'impostazione attualmente seguita, capovolgendo la relazione esistente tra elemento coperto e strumento di copertura (sarà lo strumento di copertura che determinerà la valutazione della posta coperta, e non viceversa come oggi accade);

Nelle coperture di flussi di cassa l'obiettivo è quello di coprire l'esposizione alla variabilità dei flussi di cassa futuri attribuibili a particolari rischi associati ad una attività o passività (quale ad esempio un finanziamento passivo a tasso variabile coperto dalle fluttuazioni del tasso d'interesse attraverso uno swap sui tassi di interesse). In questo caso le variazioni di fair value dello strumento di copertura vengono contabilizzate a patrimonio netto, e sono rilevate a conto economico solo quando si manifesta la variazione dei flussi di cassa da compensare.

Per poter essere classificate come copertura le operazioni devono inoltre rispettate delle condizioni molto stringenti. Qualora la società non sia in grado di rispettare tali criteri i derivati vengono classificati come speculativi e le variazioni del fair value dello strumento derivato dovranno essere sempre imputate a conto economico, mentre la posta coperta dovrebbe seguire i relativi criteri di valutazione (es. costo).

Le condizioni molto stringenti richieste dai principi contabili affinché determinate operazioni possano essere qualificate come di copertura potrebbero comportare, soprattutto nella fase di prima applicazione, effetti rilevanti sul conto economico delle società .

Tale fenomeno è stato fortemente criticato da molti sistemi bancari europei, i quali hanno affermato che l'applicazione di tali principi non consentirebbe un'appropriata gestione dell'asset and liability management delle banche e determinerebbe una "volatilità" del conto economico fittizia e fuorviante per il lettore. Il settore bancario ha inoltre fortemente criticato anche le modalità di copertura dei flussi di cassa in quanto determinerebbe una volatilità del patrimonio netto anch'essa fittizia perché ad essa corrisponde una variazione del fair value di attività o passività finanziarie che invece non trova evidenza nei dati di bilancio (in particolare le banche contestano il divieto stabilito dai principi contabili internazionali di considerare tra i valori oggetto della copertura anche i depositi a vista).

Questi aspetti non condivisi dal settore bancario europeo sono stati ritenuti rilevanti dalla Commissione Europea che in sede di omologazione dello IAS 39 (avvenuta il 1 ottobre 2004) ha consentito di non applicare i punti controversi, in attesa di una loro definizione e condivisione.

Relativamente alla disclosure da inserire nelle note al bilancio, i principi contabili internazionali richiedono di fornire informazioni che consentano di comprendere la rilevanza degli strumenti finanziari sulla posizione finanziaria, sulla performance e sui flussi di cassa della società, ed i rischi futuri associati a tali strumenti.

In particolare, tra le altre, dovranno essere fornite le seguenti informazioni:

In conclusione, l'adozione dei principi contabili internazionali porterà ad un vero e proprio salto di qualità nella trasparenza dei bilanci delle società quotate e di tutte le altre imprese che saranno obbligate o sceglieranno di utilizzare tali principi. Da un lato, infatti, l'operatività in strumenti finanziari, e in particolare in derivati, indipendentemente dal settore di appartenenza dell'impresa, avrà un impatto assai maggiore nella determinazione del risultato d'esercizio e/o del patrimonio netto. Infatti, gli strumenti finanziari dovranno essere valutati al fair value con imputazione a conto economico o a patrimonio netto. Dall'altro, l'informativa richiesta evidenzierà la modalità di gestione del rischio posta in essere dal management e gli effetti della stessa sulla posizione economica e finanziaria attuale e futura della società.

6. Conclusioni

I dati statistici disponibili mostrano che il mercato degli strumenti derivati ha conosciuto negli ultimi anni tassi di crescita molto elevati sia a livello internazionale che nel nostro paese.

Le famiglie e gli investitori retail non sono direttamente coinvolti nel mercato dei derivati, se non in misura del tutto marginale, ma sempre più frequentemente acquistano o negoziano strumenti strutturati, emessi da banche e assicurazioni, che implicano l'assunzione di posizioni in derivati. Questa esposizione mediata al mercato dei derivati avviene oggi in una cornice normativa che presenta insufficienti presidi dal punto di vista della trasparenza sulle caratteristiche dei prodotti e delle regole di condotta alle quali si devono attenere gli intermediari che li collocano.

Si è invece assistito ad una forte crescita della domanda di derivati da parte delle imprese non finanziarie e di altri soggetti, quali gli Enti locali e altri enti pubblici. Questa domanda, probabilmente alimentata da diffuse attese di un aumento dei tassi di interesse e quindi dalla necessità di porre in essere operazioni di copertura, ha dato luogo ad un più intenso coinvolgimento di imprese e Enti locali nel mercato dei derivati cosiddetti OTC.

L'indagine svolta dalla CONSOB ha messo in luce diversi aspetti di rilievo circa l'esposizione di questi soggetti e il comportamento delle banche italiane nell'offerta di strumenti derivati.

Con riferimento all'operatività delle imprese l'indagine ha evidenziato:

* Il crescente ricorso all'utilizzo degli strumenti derivati sembrerebbe riconducibile ad un'operatività volta alla copertura dei rischi piuttosto che di tipo speculativo. L'indagine ha evidenziato la presenza di una percentuale molto elevata di soggetti con mark to market negativo, indice di una concordanza di direzione delle posizioni assunte dalle imprese. Tale "unidirezionalità" delle posizioni è coerente con le caratteristiche della struttura finanziaria delle imprese italiane che è caratterizzata da una elevata incidenza dei debiti (bancari) a breve termine o indicizzati.

* L'operatività in derivati assume connotati differenti a seconda della qualificazione della controparte dell'intermediario; a ciò concorre sia il dettato normativo (che richiede un diverso grado di tutela a seconda che la controparte sia un investitore qualificato o meno) sia le policy interne adottate dalle banche (utilizzo anche di limiti quantitativi). Ne deriva che gli operatori qualificati presentano un numero più elevato di posizioni aperte con un controvalore nozionale medio nettamente superiore rispetto agli operatori non qualificati.

* All'interno della categoria degli operatori qualificati, l'analisi evidenzia, a livello aggregato, che le perdite riconducibili a posizioni detenute dalle imprese non finanziarie risultano di ammontare crescente in relazione alle dimensioni delle medesime espresse in termini di fatturato.

* Va comunque rappresentato che le considerazioni sopra riportate si riferiscono a dati aggregati a livello di sistema; resta fermo che non possono essere esclusi casi di irregolarità riguardanti i singoli rapporti intrattenuti con la clientela, soprattutto sul fronte informativo e nelle fasi di avvio del mercato in esame, nonché con particolare riguardo alla fase di rinegoziazione eventualmente intervenuta su posizioni aperte. In proposito si fa presente che taluni intermediari, sulla base dei reclami ricevuti, stanno ponendo in essere, ove possibile, transazioni con la clientela.

La crescita dimensionale è dunque testimonianza di una generale e riconosciuta utilità di strumenti che consentano il trasferimento dei rischi da chi intende liberarsene a chi è in grado di gestirli professionalmente. Tuttavia, perché tali strumenti producano gli effetti desiderati è necessaria una piena consapevolezza delle loro caratteristiche e dei rischi potenziali impliciti nel loro utilizzo sia da parte degli intermediari che li offrono sia da parte degli investitori.

Tale consapevolezza è frutto sia delle regole generali adottate dal sistema (regolamentazione) sia della libera disciplina contrattuale stabilita tra le parti. Il problema è quindi trovare il giusto bilanciamento tra norme che siano in grado di tutelare efficacemente chi effettivamente ha bisogno di protezione e allo stesso tempo non vincolare troppo chi è in grado di tutelarsi autonomamente. Ove tale bilanciamento non fosse raggiunto il rischio sarebbe quello, da un lato di ingessare il mercato finanziario con norme troppo rigide, dall'altro di tollerare comportamenti scorretti con norme troppo "lasche".

L'attuale sistema normativo riconosce questi principi e a tal fine differenzia, come prima ricordato, tra operatori qualificati e operatori non qualificati, riconoscendo ai primi la possibilità di una negoziazione coperta da regole più "snelle" a fronte della loro maggior capacità di auto-tutela. Peraltro, anche meccanismi di autodisciplina sono all'opera. Come ricordato, l'indagine ha dimostrato che spesso le banche adottano anche criteri quantitativi, basati su classi dimensionali, nella decisione di offrire determinati prodotti alle imprese.

La nuova disciplina introdotta dalla direttiva MiFID, non si discosta da questi principi già presenti nell'attuale ordinamento comunitario e nazionale. Essa tuttavia introduce una più rigorosa verifica effettuata dall'intermediario del possesso da parte del cliente dei requisiti di esperienza e conoscenza degli strumenti finanziari che consentono di includerlo nella categoria degli operatori qualificati. La nuova direttiva rinvia anche alla regolamentazione di "livello due" la definizione di eventuali limiti quantitativi. Il nuovo modello di produzione di normativa comunitaria, come introdotto dalla procedura Lamfalussy comporta un livello di dettaglio ben più ampio di quanto non avvenisse in passato; al legislatore nazionale, quindi, rimangono ridotti margini di manovra laddove volesse adottare un regime più rigoroso.

È in ogni caso da rammentare che sia nella disciplina attualmente in vigore, sia nella nuova, resta ferma la possibilità del cliente dell'intermediario di richiedere l'applicazione nei suoi confronti del massimo livello di protezione assicurato dall'ordinamento a prescindere dal fatto che egli ricada per definizione nella categoria degli operatori qualificati.

Dal lato delle imprese, poi, una maggiore consapevolezza dei rischi degli strumenti derivati sarà indotta dall'introduzione dei nuovi standard contabili internazionali. Questi, infatti, costringeranno le imprese ad una valutazione mark to market delle posizioni aperte e, quindi, a una più tempestiva rilevazione degli effetti economico-finanziari dell'operazione e a una esplicitazione degli obiettivi e delle procedure di gestione dei rischi finanziari.

Peraltro, l'introduzione degli IAS nei bilanci delle imprese europee potrebbe contribuire a formare una base conoscitiva rilevante per la raccolta statistica dei dati funzionale ad una migliore conoscenza del fenomeno.

TAVOLE DI RIFERIMENTO

Tav. 1 - Attività finanziarie delle famiglie italiane 

     (tav. D37)
1993 (mld di lire)
%
(a)
(tav. D4)
2003 (mln di euro)
%
(b)
Var ass.
(b-a)
Circolante 81,292 2.6% 57,324 2.0% -0.7%
Depositi 952,366 31.0% 722,423 24.8% -6.2%
Titoli di stato domestici a breve 317,744 10.3% 6,516 0.2% -10.1%
Titoli di stato domestici a m/l 465,570 15.1% 190,081 6.5% -8.6%
Obbligazioni private domestiche 122,140 4.0% 351,803 12.1% 8.1%
Quote di fondi comuni 110,093 3.6% 325,836 11.2% 7.6%
Azioni e partecipazioni 658,986 21.4% 567,491 19.5% -1.9%
Attività sull'estero 88,372 2.9% 203,814 7.0% 4.1%
Assicurazioni e fondi pensione 278,936 9.1% 486,323 16.7% 7.6%
TOTALE 3,075,499 100% 2,911,611 100% 0%


Fonte: Relazione Annuale Banca d'Italia 1993 e 2003

Tav. 2 - Valore nozionale degli strumenti derivati nei paesi del G-10
(Dati di fine periodo; valori in miliardi di dollari USA) 

               2001 % 2003 %
DERIVATI OTC            
su tassi di interesse 77.568 69,8% 141.991 72,0%
su tassi di cambio 16.748 15,1% 24.475 12,4%
su azioni 1.881 1,7% 3.787 1,9%
su altri strumenti 14.981 13,5% 26.914 13,7%
TOTALE OTC (A) 111.178 100,0% 197.167 100,0%
di cui in contropartita con enti non finanziari 10.704    23.714  
                     
DERIVATI EXCHANGE TRADED                       
Futures                     
su tassi di interesse 9.269 39,0% 13.123 35,7%
su tassi di cambio 66 0,3% 80 0,2%
su azioni 334 1,4% 502 1,4%
Opzioni                    
su tassi di interesse 12.493 52,6% 20.793 56,6%
su tassi di cambio 27 0,1% 38 0,1%
su azioni 1.575 6,6% 2.197 6,0%
TOTALE EXCHANGE TRADED (B) 23.764 100,0% 36.733 100,0%
TOTALE DERIVATI (A + B) 134.942      233.900       


Fonte: BRI - Quarterly Review, settembre 2004

Tav. 3 - Posizioni in strumenti derivati dei soggetti residenti in Italia per settore istituzionale (valutazione al valore di mercato - dati in milioni di euro)

  1999 2003
  attività passività attività passività
Società non finanziarie 1,362 1,357 4,602 6,565
Banche 29,093 28,568 78,459 67,934
Altri intermediari 3,049 3,100 4,603 5,399
Amministrazioni pubbliche - 5,957 - 6,585
Famiglie - - - -
TOTALE RESIDENTI 33,504 38,982 87,664 86,483
Resto del mondo 25,062 19,585 43,302 44,484
TOTALE 58,566 58,567 130,966 130,967


Fonte: Banca d'Italia (per il 1999, "I conti finanziari dell'Italia", luglio 2003, e per il 2003, Relazione Annuale 2003, Tav. aD40 )

Tav. 4 - Imprese non finanziarie italiane con posizioni in strumenti derivati al 30.6.2004

   N° imprese

valore 
nozionale 
complessivo 
dei derivati in essere 
al 30.6.2004
(mld €)

 valore di 
mercato 
complessivo 
dei derivati 
in essere 
al 30.6.2004
(mld
)

 

di cui IMPRESE CON DERIVATI
CON VALORE DI MERCATO NEGATIVO

N° imprese

valore nozionale 
complessivo dei 
derivati in essere 
al 30.6.2004
(mld
)

valore di mercato
 complessivo dei 
derivati in essere 
al 30.6.2004
(mld
)

DERIVATI SU TASSI DI INTERESSE              
- imprese considerate operatori 34.279 106,6 -3,1 31.156 96,9 -3,2
- imprese considerate operatori non 7.901 4,4 -0,1 7.152 4,0 -0,1
TOTALE 42.180 111,0 -3,2 38.308 100,9 -3,3
              
DERIVATI SU TASSI DI CAMBIO            
- imprese considerate operatori 3.697 9,6 -0,5 2.724 7,1 -0,5
- imprese considerate operatori non 117 0,3 0,0 57 0,1 0,0
TOTALE 3.814 9,9 -0,5 2.781 7,3 -0,5


Fonte: CONSOB

ALLEGATO TECNICO

_________________________
Note:

1. Il comma 2 dell'articolo 31 del Regolamento Consob n. 11522/98 così recita: "Per operatori qualificati si intendono gli intermediari autorizzati, le società di gestione del risparmio, le SICAV, i fondi pensione, le compagnie di assicurazione, i soggetti esteri che svolgono in forza della normativa in vigore nel proprio Stato d'origine le attività svolte dai soggetti di cui sopra, le società e gli enti emittenti strumenti finanziari negoziati in mercati regolamentati, le società iscritte negli elenchi di cui agli articoli 106, 107 e 113 del decreto legislativo 1 settembre 1993, n. 385, i promotori finanziari, le persone fisiche che documentino il possesso dei requisiti di professionalità stabiliti dal Testo Unico per i soggetti che svolgono funzioni di amministrazione, direzione e controllo presso società di intermediazione mobiliare, le fondazioni bancarie, nonché ogni società o persona giuridica in possesso di una specifica competenza ed esperienza in materia di operazioni in strumenti finanziari espressamente dichiarata per iscritto dal legale rappresentante".

2. Cfr. "L'investitore retail e la borsa. Secondo rapporto sullo shareholding in Italia", Bit Notes n.12, Borsa Italiana, novembre 2004.

3. Si veda l'allegato tecnico al presente documento per una descrizione dettagliata delle caratteristiche tecniche e operative delle opzioni e delle altre tipologie di strumenti derivati.

4. L'allegato tecnico al presente documento fornisce un'indicazione dettagliata delle diverse tipologie di strumenti derivati e illustra, anche attraverso alcuni esempi, le loro caratteristiche in termini di funzionamento e finalità di utilizzo.

5. I dati sono contenuti nella pubblicazione BIS Quarterly Review, settembre 2004.

6. Cfr. nota 1.

7. I primi esposti sono pervenuti nel corso del 2002, il flusso è via via cresciuto nel corso del 2003 e del 2004. In proposito si rappresenta peraltro che nel corso del periodo 2002-2004 ne risultano pervenuti complessivamente in CONSOB circa 30 relativi alla materia in esame, su circa 9.000 trasmessi dai risparmiatori in merito alla prestazione di servizi di investimento da parte di soggetti abilitati.

8. Il complemento a 100 di tale quota è rappresentato dalle transazioni che intervengono tra operatori istituzionali.

9. Il confronto dei dati aggregati esaminati dalla Consob con quelli contenuti nell'indagine condotta dalla Banca d'Italia sullo stesso ambito, consente di affermare che il campione utilizzato copre circa il 65% del totale delle posizioni in essere presso gli intermediari in contropartita con soggetti non finanziari. Si soggiunge inoltre che i derivati di credito non sono stati inclusi nella rilevazione di cui si discute; tuttavia si fa presente per opportuna informativa che, da una diversa specifica indagine condotta nel corso del primo semestre del 2004 sul tema del trasferimento del rischio di credito, era emersa un'operatività sostanzialmente riferibile ad investitori istituzionali (banche, assicurazioni ed imprese di investimento estere), con presenze marginali di altre categorie di soggetti.

10. Si veda l'allegato tecnico per una descrizione dettagliata di tale strumento derivato.

11. Si veda l'allegato tecnico per maggiori approfondimenti.

12. Cfr. allegato tecnico.

13. Cfr. nota 1

14. Le rinegoziazioni sono operazioni a mezzo delle quali le controparti di un contratto derivato chiudono un posizione in essere mediante saldo per cassa del valore di mercato corrente e ne riaprono una nuova a condizioni differenti.

15. In gergo tecnico l'upfront è la somma di danaro prevista nel caso di contratti di swap che al momento della stipula determinino per una controparte l'assunzione di una posizione con un valore di mercato negativo. Nel caso degli asset swap tale somma è anche detta par-adjustment.

16. Si precisa che si tratta di perdita inferiore ai 500 euro.

17. Si noti che imprese ed enti pubblici possono essere classificati sia come clientela qualificata che non qualificata.

18. Le analisi sulle classi di fatturato delle imprese sono state condotte su un campione ristretto di n. 6 gruppi bancari.

19. Per Enti Locali si intendono, sulla base della normativa di riferimento, Regioni, Province, Città Metropolitane, Comuni e Unioni di Comuni, Comunità montane e isolane e i consorzi fra enti territoriali (cfr. Testo Unico sugli enti Locali D.Lgs 18.8.2000 n.267).

20. Si tratta tuttavia di un'opzione assai poco usta dagli Enti Pubblici, che fino ad ora hanno preferito usare l'alternativa di costituire un fondo ammortamento i cui accantonamenti sono destinati periodicamente al riacquisto di parte dei titoli emessi (cosiddetto sinking fund).

21. Il riferimento alla natura professionale dei contraenti si ritrova pure in altre disposizioni del testo unico, quali, ad esempio, l'art. 23 in materia di contratti o l'art. 30 in tema di offerta fuori sede.

22. Di seguito si riportano alcune delle informazioni fornite nelle note integrative dei bilanci di alcune delle società oggetto di esame (indicate per semplicità società A e B) (dati espressi in milioni di euro)

Tipologia derivati Società Valore in bilancio Valore di mercato Differenza
Gestione delle
 fluttuazioni dei tassi 
di interesse
A attività 138 319 181
B attività 12 101 89
B passività (18) (129) (111)
Gestione dei rischi 
di tasso di cambio
A passività (3) 59 62
B attività 333 244 (89)
B passività (298) (74) 224
Equity Swap A passività (1) 439 440

Sulla base dell'attuale normativa le variazioni del valore degli strumenti derivati di copertura sono imputati a conto economico secondo il criterio della competenza, simmetricamente a quelle della posta coperta; inoltre, sulla base del principio della prudenza, viene contabilizzato a conto economico il solo differenziale negativo tra valore di bilancio e valore di mercato. In caso di transazioni di copertura di operazioni future, gli strumenti derivati non vengono contabilizzati in bilancio fino al momento della conclusione dell'operazione.

23. Lo schema di decreto legislativo n. 436, approvato dal Consiglio dei Ministri il 26.11.2004, prevede (i) l'obbligo a partire dal 2005 di utilizzare gli IAS per la redazione dei bilanci consolidati delle società, di tutte le banche e degli altri istituti finanziari, delle imprese di assicurazioni e delle società con titoli diffusi (ii) facoltà per il 2005 e obbligo a partire dal 2006 nella redazione del bilancio d'esercizio delle società del punto precedente; (iii) facoltà a partire dal 2005 per la redazione dei bilanci d'esercizio e consolidati delle società controllate di cui al punto (i); (iv) facoltà a partire dal 2005 nella redazione dei bilanci d'esercizio e consolidati delle società non assicurative diverse di quelle di cui ai punti precedenti a condizione che esse siano tenute alla redazione del bilancio consolidato; (v) obbligo a partire dal 2006 nella redazione del bilancio d'esercizio delle società assicurative quotate non tenute alla redazione del bilancio consolidato; (vi) per le imprese diverse da quelle indicate nei punti precedenti, escluse quelle che possono redigere il bilancio in forma abbreviata, potranno utilizzare tali principi a partire dalla data che verrà stabilita successivamente dal Ministero dell'Economia e delle Finanze.

24. Ad esempio una società ha indicato nella nota integrativa del bilancio 2003 gli effetti che l'adozione integrale dello IAS 39 avrebbe comportato sulla situazione patrimoniale. In particolare viene riportato che, da un lato, l'adeguamento a valori correnti del valore di carico degli strumenti finanziari derivati avrebbe comportato un effetto positivo per 685 milioni di euro (positivo di 287 milioni al 31.12.2002), dall'altro l'adeguamento delle poste patrimoniale coperte (principalmente debiti) avrebbe determinato un effetto negativo (riferibile all'andamento dei tassi di interesse) di 262 milioni di euro (405 milioni di euro al 31.12.2002) e, per la parte relativa alle operazioni di copertura di flussi futuri, un minor valore cumulato delle riserve di patrimonio netto di 22 milioni di euro (188 milioni di euro al 31.12.2002), al netto dello stanziamento di imposte differite. L'adozione integrale dello IAS 39 avrebbe inoltre comportato effetti positivi sul risultato netto dell'esercizio per circa 272 milioni di euro (il risultato del gruppo è stato negativo per circa 1.900).