Assiom - Assemblea Ordinaria

"L'EVOLUZIONE DELLE REGOLE E DELLA VIGILANZA
NEL CONTESTO INTERNAZIONALE"

Enrico Cervone

CONSOB - Commissione Nazionale per le Società e la Borsa

Desenzano del Garda, 23 ottobre 2004

INDICE

Premessa

1. Il cambiamento del sistema finanziario italiano 

2. Evoluzione del quadro regolamentare e della vigilanza nel contesto internazionale

3. Le crisi societarie e il sistema dei controlli 

4 a. Evoluzione delle regole per gli emittenti 

4 b. Evoluzione delle regole per gli intermediari e i mercati

5. Conclusioni


Premessa

Le crisi societarie degli anni Duemila, per la dimensione delle attività coinvolte e per la complessità e la profondità delle criticità emerse, non possono essere considerate né congiunturali né fisiologiche. Il caso Enron e i successivi scandali americani, quali Worldcom, e europei, quali Vivendi, Cirio e Parmalat, hanno avviato in tutto il mondo una profonda riflessione circa l'adeguatezza delle regole esistenti e dei sistemi di controllo.

Queste crisi rimarranno, nella storia economica e finanziaria internazionale, tra i grandi eventi di riferimento e rappresenteranno sicuramente, per la politica del diritto societario e del diritto dei mercati, un punto di svolta.

E' apparso chiaro, già a partire dal caso Enron, che tali crisi costituivano una manifestazione di inadeguatezza dei sistemi di controllo, interni ed esterni alle società, in quanto operavano in base a regole non più idonee ad allineare gli interessi del management con quelli degli azionisti.

E' apparso poi chiaro, dopo il caso Parmalat, l'insufficienza delle regole nazionali a gestire un sistema finanziario sempre più complesso, globale e integrato e l'inadeguatezza degli strumenti degli organi di vigilanza, non dotati di autorità "internazionale", per gestire tali fenomeni.

In un contesto europeo molto dinamico, proiettato a completare il Piano di integrazione dei mercati finanziari, questi eventi straordinari, anche se talvolta frutto di situazioni sistematiche di falso, hanno indotto a valutare con attenzione i comportamenti devianti per adattare le regole e gli strumenti di vigilanza alle nuove realtà, così come si sono presentate.

E' su questi temi che intendo sviluppare il mio intervento, tratteggiando, anzitutto, le linee di cambiamento del sistema finanziario italiano, con riferimento alle scelte di investimento delle famiglie e alle scelte di finanziamento delle imprese sempre più orientate verso il mercato. Intendo quindi soffermarmi brevemente sull'evoluzione del quadro regolamentare e della vigilanza nel contesto internazionale; richiamerò, poi, in quale cornice di "governance" sono esplose le crisi degli anni Duemila negli Stati Uniti e in Europa e le risposte che sono state date. Infine, introdurrò il tema delle regole e delle prospettive di riforma la cui architettura dovrà tendere a rafforzare:

- la trasparenza informativa, per le imprese;

- la correttezza dei comportamenti ed il valore etico professionale, per gli intermediari;

- i controlli degli organismi preposti alla vigilanza.

1. Il cambiamento del sistema finanziario italiano

Per quasi mezzo secolo il sistema finanziario italiano è rimasto sostanzialmente immobile. Esso è stato dominato dalle banche commerciali, in prevalenza a controllo pubblico; le esigenze di finanziamento del debito pubblico hanno poi condizionato profondamente il funzionamento dei circuiti finanziari.

Dagli anni ottanta, ma soprattutto a partire dall'inizio degli anni novanta, si è avviato un processo di cambiamento graduale che ha portato ad una metamorfosi profonda nelle scelte di risparmio delle famiglie, nel finanziamento delle imprese, nel ruolo degli intermediari creditizi e finanziari. La crescita della ricchezza finanziaria, la sua composizione e la sua allocazione hanno altresì influenzato le linee di sviluppo del sistema economico.

L'indice di interrelazione finanziaria (FIR), dato dal rapporto tra le attività finanziarie e la ricchezza reale del Paese, negli ultimi venti anni, si è pressoché raddoppiato in Italia come nella media dei principali Paesi industriali. Esso, tuttavia, nel 2002 era pari a 1,14 per l'Italia e 1,72 per la Germania; risultava invece pari a 2,22 per gli Stati Uniti e 2,69 per il Regno Unito(1).

La convergenza del grado di finanziarizzazione verso quello degli altri Paesi industrializzati rappresenta per il mercato italiano una potenzialità di crescita.

Nel 1993, la quota della ricchezza finanziaria delle famiglie investita in titoli di Stato italiani era pari al 23,1 per cento; a fine 2003 era scesa al 6,7 per cento. Nello stesso periodo, la quota investita in obbligazioni private domestiche (emesse da banche e imprese) è passata dal 6,1 al 12,1 per cento e la quota dei fondi comuni di investimento è cresciuta dal 3,3 all'11,2 per cento; sensibile è stato anche l'aumento del peso degli investimenti assicurativi e in fondi pensione (dal 8,2 al 16,0 per cento). Il peso delle azioni quotate nel portafoglio delle famiglie (detenute sia direttamente che indirettamente tramite i fondi comuni di investimento) è passato, dal 1995 alla fine del 2003, dal 3 al 7 per cento circa.

In Italia l'affermazione della cultura del mercato è recente rispetto a molti dei principali Paesi economicamente avanzati. La legge bancaria e il diritto societario sono stati entrambi convergenti nel favorire soprattutto lo sviluppo dell'intermediazione bancaria.

Il sistema finanziario, anche dopo il nuovo Testo unico bancario del 1993, resta bancocentrico, anche se non è più orientato agli intermediari.

La dimensione ed il ruolo del mercato di borsa all'interno del sistema finanziario italiano non hanno seguito lo sviluppo del Paese. Il rapporto capitalizzazione/PIL è cresciuto dal 18,4 per cento a fine 1995 al 70,5 per cento a fine 2000, per ridiscendere al 39,1 per cento a settembre 2004; è tuttavia basso rispetto a Paesi quale la Francia o il Regno Unito (rispettivamente 57 per cento e 119 per cento a fine 2003). Eppure le imprese italiane non sono sottocapitalizzate, ma il capitale non circola nel mercato di borsa. Il capitale di rischio delle imprese non finanziarie italiane, a fine 2002, era pari al 49,4 per cento delle passività, quota superiore a quella della Germania (40,7 per cento) e del Giappone (27,3 per cento) e inferiore, tra i principali Paesi, solo a quella del Regno Unito (53,0 per cento) e della Francia (52,9 per cento)(2).

La vera anomalia che caratterizza la Borsa in Italia è di altro tipo ed è rappresentata dal numero estremamente basso di società quotate, anche a confronto con Paesi con economie e tradizioni giuridiche ed istituzionali simili alle nostre. Nel 1907 le società quotate alla Borsa di Milano erano 171. Analizzando il periodo post-bellico, bisogna aspettare il 1981 per osservare un numero di società quotate stabilmente superiore; oggi sono 276. Sia in Francia che in Germania le società quotate oggi sono circa 850.

Un aspetto non secondario della sensibilità verso il mercato è rappresentato dalla contendibilità delle imprese italiane: delle 219 società quotate nel MTA (Mercato Telematico Azionario), a fine 2003, solo 36 (16 per cento) risultavano non controllate di diritto o di fatto o da patti di sindacato.

Gli spazi di potenziale sviluppo verso il mercato appaiono quindi notevoli.

E' a tutti noto il contributo determinante che le piccole imprese hanno fornito allo sviluppo della nostra economia negli ultimi decenni. La preoccupazione di mantenere il controllo e la riluttanza alla quotazione rappresentano un risvolto che va superato

Nel panorama delle imprese non finanziarie, sono le medie e piccole a mostrare una situazione di "chiusura" nei confronti del mercato dei capitali. Mentre  la raccolta mediante obbligazioni, per le imprese nel loro complesso, è rimasta di poco sotto il 6 per cento dei debiti finanziari(3), i grandi gruppi quotati hanno interagito positivamente con il mercato: il peso delle obbligazioni, che rappresentavano il 20 per cento dei debiti finanziari a fine 1998, è cresciuto sino al 43 per cento a fine 2003. Lo stock delle obbligazioni corporate in circolazione, alla stessa data, ammontava a 86 mld di euro; solo il 17 per cento, tuttavia, è quotato su mercati regolamentati italiani.

Le scelte delle famiglie e delle imprese non potevano non riflettersi sui bilanci bancari. Il margine di interesse è sceso, in un decennio, dal 70 al 56 per cento rispetto al margine di intermediazione. Quasi metà dei ricavi delle banche è ora frutto della prestazione di servizi e di operazioni di trading e negoziazione.

Le obbligazioni bancarie, tra gli strumenti di raccolta, sono passate dal 18,3 per cento del 1993 al 57 per cento, sostituendo i depositi nei portafogli delle famiglie. Nel 2003 un terzo circa delle emissioni obbligazionarie bancarie, sia in termini di numero che di controvalore, è stato di tipo strutturato.

2.Evoluzione del quadro regolamentare e della vigilanza nel contesto internazionale

L'evoluzione delle regole e della vigilanza dei mercati finanziari è intimamente legata allo sviluppo del sistema economico e finanziario di un paese, secondo interazioni e nessi di causalità talvolta di non agevole identificazione.

Interessanti spunti di riflessione sul rapporto tra regolamentazione, sviluppo finanziario e crescita reale si rinvengono nell'analisi economica più recente.

E' ormai acclarato il rapporto di complementarietà tra sistema finanziario e crescita reale. Non è facilmente misurabile l'influenza delle regole, ad esempio, sulla dimensione e sul ruolo del mercato di borsa all'interno di un sistema finanziario.

In ogni caso, la competitività indiretta, ossia la capacità competitiva dei sistemi di regolamentazione e di vigilanza, rientra tra le variabili di un sistema economico; il sistema legale può interferire con il grado di concorrenza nel mercato finanziario.

Indagini comparate mostrerebbero la superiorità dei sistemi giuridici di origine anglosassone, in particolare del Regno Unito e degli Stati Uniti. L'introduzione e l'applicazione di regole cogenti in materia di governo societario (ad esempio a tutela delle minoranze) e di trasparenza avrebbero favorito in quei Paesi lo sviluppo di mercati finanziari ampi e liquidi. 

L'analisi dei sistemi finanziari, nella loro evoluzione, sembra tuttavia offrire ulteriori interpretazioni.

Gruppi di interesse, per consolidare il controllo e proteggere rendite di posizione, potrebbero indirizzare l'introduzione e l'applicazione delle regole e potrebbero ostacolare lo sviluppo di normative idonee a stimolare la crescita dei mercati.

Per le singole imprese, lo sprone al superamento di tali pressioni potrebbe pertanto venire, oltre che da fabbisogni finanziari superiori alle disponibilità degli azionisti di controllo, dalla mobilità dei capitali e dall'apertura dell'industria alla concorrenza internazionale.

Negli Stati Uniti, ad esempio, l'ingente fabbisogno finanziario generato dalla costruzione della rete delle infrastrutture e dalla crescita dell'industria di base non era compatibile, nei primi decenni del secolo scorso, con la sopravvivenza di un capitalismo familiare a proprietà concentrata. Il ricorso al mercato diveniva necessario. La separazione tra proprietà e controllo che ne è derivata ha contribuito a creare un gruppo di pressione dei piccoli azionisti che ha dato impulso all'adozione di forme di autoregolamentazione in grado di meglio tutelare i loro diritti.

Il NYSE (New York Stock Exchange), che non era assoggettato a regole pubbliche, reagiva alle pressioni concorrenziali provenienti dalle altre borse statunitensi imponendo stringenti regole di trasparenza informativa alle società quotate e severi requisiti di quotazione.

Il sistema di common law avrebbe favorito le forme private di regolazione. L'efficacia del sistema di regolazione pubblica, sviluppatosi in un secondo momento, sarebbe dovuta anche alla diffusa cultura di autoregolamentazione.

L'Italia, come si è detto, si è sempre connotata per la ridotta crescita dimensionale delle imprese e per la ricerca della stabilità degli assetti proprietari.  

Il modello di crescita delle imprese si è fondato sull'autofinanziamento, sul credito bancario e sul finanziamento agevolato.

Le banche, fin dai primi anni del novecento, hanno svolto un ruolo notevole nello sviluppo industriale del Paese, ponendosi come il principale canale di finanziamento delle imprese.

La mutazione del sistema finanziario italiano che, come si è visto, prende le mosse dai primi anni ottanta, passa attraverso l'introduzione di nuove tipologie di investitori e di nuove figure istituzionali di controllori; attraverso la trasformazione della banca pubblica, l'abbandono dei controlli amministrativi del credito, il riconoscimento della banca universale; passa attraverso il recepimento delle direttive europee, un ampio programma di privatizzazioni e l'attuazione di una diversa politica del debito pubblico. Questi eventi sono stati i presupposti e le condizioni per la crescita di una cultura orientata al mercato.

Il Testo unico bancario e il Testo unico della finanza sintetizzano il cambiamento.

Sul piano della vigilanza viene rafforzato il principio della finalità dei controlli in materia di intermediazione mobiliare che aveva iniziato a permeare gli assetti regolamentari a partire dal 1991. Alla Consob sono affidate trasparenza e correttezza dei comportamenti, alla Banca d'Italia è confermata la vigilanza prudenziale sugli intermediari.

L'architettura della regolamentazione e della vigilanza del sistema finanziario italiano rimane, tuttavia, ibrida.

L'attuale legislazione assoggetta a trattamenti diversi prodotti analoghi: le obbligazioni bancarie e alcuni prodotti assicurativi a contenuto finanziario sono esclusi dalla disciplina del prospetto; il collocamento dei prodotti che non rientrano nella fattispecie degli strumenti finanziari non è assoggettabile alla disciplina della trasparenza e della correttezza.

I numerosi disegni e proposte di legge presentati di recente per la tutela del risparmio e la disciplina dei mercati finanziari, pur orientati verso una profonda revisione del quadro normativo, perseguono modelli di vigilanza per finalità.

La completa attuazione della vigilanza per finalità deve rappresentare un obiettivo a cui tendere. Trattare prodotti analoghi con regole diverse rischia di disorientare il mercato: è dunque auspicabile eliminare le asimmetrie normative esistenti, quanto meno attraverso la previsione di forme di collaborazione e coordinamento tra le Autorità di vigilanza.

3. Le crisi societarie e il sistema dei controlli

Le crisi societarie degli anni Duemila inizialmente sono state interpretate come specifiche del modello anglosassone; successivamente, gli elementi di distorsione sono emersi anche in contesti, come quello dei Paesi dell'Europa continentale, caratterizzati da diversi rapporti tra proprietà e management.

Le crisi di società americane hanno evidenziato le debolezze dei modelli societari caratterizzati da ridotta concentrazione proprietaria e da predominanza di forme di controllo di natura manageriale.

Le crisi di società europee hanno evidenziato le debolezze anche dei modelli in cui gli azionisti di controllo svolgono un ruolo determinante nella conduzione della società.

Nel primo caso, un elemento di forte squilibrio è derivato dallo spostamento del baricentro dei controlli dalla disciplina delle scalate ostili a meccanismi interni di controllo basati anche su strumenti incentivanti, quali le stock options.

Il sistema dei controlli si è così dimostrato inadeguato a fronteggiare i conflitti di interessi che sono emersi. Le stock options si sono trasformate da strumento di controllo a fonte di ulteriori disallineamenti di interessi tra managers e azionisti: le strategie operative e la qualità dell'informazione al mercato sono state in alcuni casi subordinate al perseguimento di vantaggi personali del management a danno degli interessi degli azionisti.

Per le società europee, a più elevata concentrazione proprietaria, la sorveglianza pure è risultata inefficace per i forti incentivi dell'azionista di controllo a orientare le scelte gestionali verso obiettivi diversi dalla massimizzazione del valore.

Si è riproposto, anche per le società europee, un problema analogo a quello tipico delle public companies: il conflitto di interessi dei gestori delle società con quelli degli investitori.

In entrambi i casi, l'isolamento di chi gestisce la società ha fatto emergere una generalizzata carenza, soprattutto in presenza di fenomeni fraudolenti, nei meccanismi di controllo endogeni al sistema.

Questi si sono trovati in posizione di debolezza rispetto ai soggetti su cui dovevano vigilare, finendo per essere "contagiati", esposti allo stesso sbilanciamento di incentivi a proprio favore.

La risposta del sistema americano è stata rapida e incisiva. Nel luglio 2002, quindi a pochi mesi dall'emergere della crisi Enron e immediatamente dopo l'esplodere del caso Worldcom, il Congresso americano con la Sarbanes-Oxley Act ha introdotto una riforma del diritto societario i cui punti qualificanti sono:

- l'introduzione di un organo di vigilanza semi-pubblico sui revisori contabili;

- la previsione di regole per assicurare l'indipendenza dei revisori contabili, in particolare limitando significativamente la possibilità di fornire servizi diversi dalla revisione alla società che ha conferito l'incarico;

- l'imposizione di comitati di audit composti da amministratori indipendenti;

- gli obblighi di certificazione dei bilanci in capo ad amministratori delegati e direttori finanziari;

- una più incisiva disciplina delle operazioni in titoli da parte degli insider e il divieto di prestiti a loro favore;

- la previsione di nuove regole volte a disciplinare eventuali conflitti di interessi tra analisti e banche di investimento;

- l'aggravamento delle sanzioni civili e penali in caso di frode nei confronti degli investitori.

L'approccio adottato è stato di tipo sintomatico, cioè volto a individuare misure specifiche di regolamentazione che rispondessero a specifici sintomi di "malessere" manifestati dal sistema in relazione ai casi di crisi. In altre parole, pur nella radicalità e incisività degli interventi adottati, il legislatore americano non ha messo in discussione l'architettura complessiva del sistema delle regole e dei controlli.

Tale approccio rifletteva una consapevolezza della solidità delle strutture portanti del sistema, maturate in decenni di evoluzione normativa e del mercato, consolidate da una continua interazione tra sistema regolamentare e prassi del mercato.

Più sofferta è stata invece la maturazione di una strategia di risposta alle crisi nei Paesi europei. Il minore "consolidamento" dello sviluppo del mercato mobiliare ha reso più difficile l'adozione di un approccio di riforma di tipo sintomatico. Incide su questo il processo di integrazione dei mercati europei che ha assunto, soprattutto in questi anni, un ritmo particolarmente intenso a seguito di un'incalzante legislazione comunitaria.

I mercati europei sono stati quindi colti dalle crisi societarie a metà del guado di una profonda trasformazione nei propri equilibri tradizionali e di un complesso disegno di integrazione su base continentale, per di più in un contesto di rapida globalizzazione dei mercati finanziari. Ciò spiega in parte la maggiore difficoltà ad elaborare strategie di risposta alle crisi, anche per la maggiore complessità, rispetto alla situazione americana, dei soggetti istituzionali coinvolti, che vede intrecciarsi il livello nazionale e quello comunitario.

Nonostante il suo carattere "sintomatico", la legge di riforma americana rappresenta una profonda innovazione nel sistema giuridico degli Stati Uniti.

Le sue previsioni hanno ad oggetto non tanto comportamenti degli emittenti con riguardo alla trasparenza e alla diffusione delle informazioni, campo di azione privilegiato della securities law, quanto i meccanismi interni di governance delle società, campo proprio della corporate law. Ciò segna una svolta nella tradizione giuridica americana dove i cosiddetti internal affairs delle società sono sempre stati di pertinenza pressoché esclusiva dei singoli Stati, mentre le materie legate alla trasparenza e all'integrità dei mercati sono state prevalentemente di competenza federale.

La modifica dell'approccio del legislatore americano rispetto alla tradizionale separazione di competenze riflette in realtà una oggettiva difficoltà di tracciare un confine tra i due settori, difficoltà che è emersa proprio in relazione ai recenti scandali: questi hanno infatti messo in luce l'intrinseca connessione tra meccanismi interni di governo e di controllo delle società e possibilità di garantire trasparenza e integrità del mercato.

Problemi in parte analoghi stanno emergendo anche all'interno dell'Unione europea, dove pure è riscontrabile una consolidata distinzione tra corporate law, di prevalente matrice statale, e securities law, caratterizzata da una incisiva presenza del legislatore comunitario. L'esigenza di una maggiore uniformità della corporate governance delle imprese europee è stata sollevata come elemento essenziale della strategia europea.

La filosofia sottostante ai due rapporti Winter - redatti nel corso del 2002 dal gruppo di esperti incaricati dalla Commissione europea di individuare gli strumenti per assicurare un level playing field per il mercato del controllo societario europeo - si basa proprio sulla possibilità di superare, attraverso un intervento legislativo dell'Unione europea, alcune specificità della corporate governance previste dai diversi diritti societari.

Le crisi degli anni Duemila hanno evidenziato problemi che trascendono la dimensione nazionale della regolamentazione. E' apparso infatti evidente, soprattutto con il caso Parmalat, che i grandi gruppi societari operano su scala internazionale ricorrendo a mercati, intermediari, strumenti e veicoli societari collocati e operanti nei più diversi paesi e soggetti a diverse forme di regolamentazione e vigilanza.

In risposta a questi problemi, la comunità internazionale sta compiendo intensi sforzi di coordinamento che hanno portato a definire strategie di intervento volte a facilitare la prevenzione e la gestione delle crisi e a migliorare il quadro delle regole.

La IOSCO (International Organization of Securities Commissions), che unisce le Autorità di vigilanza dei mercati mobiliari, ha adottato un Accordo di cooperazione multilaterale che disciplina i poteri di vigilanza e di indagine che devono essere attivati a fronte di richieste di cooperazione delle Autorità nazionali. Ha poi approvato principî in materia di supervisione sugli auditors e sulla loro indipendenza e ha proposto principî in materia di analisti finanziari, di società di rating. Una Task Force, co-presieduta dalla Consob e dalla SEC (U.S. Securities and Exchange Commission), è stata altresì costituita dal Comitato tecnico della IOSCO per studiare misure da adottare al fine di impedire il verificarsi di situazioni analoghe al caso Parmalat.

Ed ora, passiamo alle regole nazionali.

4 a. Evoluzione delle regole per gli emittenti

Le vicende Cirio e Parmalat hanno messo in evidenza punti deboli nella disciplina dei controlli sugli emittenti quotati.

Da tempo sono state formulate ipotesi di adeguamento della normativa per rendere più incisivi i controlli sull'informativa societaria e per meglio tutelare i risparmiatori. Su questo, è opportuno che non venga ulteriormente rinviato l'intervento del legislatore.

Le regole del nostro ordinamento per le società che emettono strumenti finanziari quotati sono, essenzialmente, volte a garantire la qualità dell'informazione societaria, allo scopo di fornire agli investitori una rappresentazione corretta e veritiera della situazione finanziaria dell'emittente e di rendere disponibili tutte le informazioni rilevanti che lo riguardano. Altre regole mirano ad assicurare l'efficacia dei meccanismi di controllo societario, interni ed esterni.

La qualità dell'informativa societaria è la prima, irrinunciabile, condizione per la tutela dei risparmiatori e, più in generale, per il corretto funzionamento del mercato. Compito del sistema di regole, in questo caso, non è tanto di impedire il verificarsi di crisi societarie, quanto di dotare il mercato di un'informazione chiara, completa e tempestiva su tutti gli elementi che possono contribuire a fondare le decisioni di investimento.

La qualità dell'informazione societaria è strettamente connessa alla capacità dei meccanismi di controllo, interni ed esterni alla società, di prevenire e ostacolare i fenomeni di falsificazione e occultamento delle informazioni.

Nel quadro complessivo delle attività delle società quotate, la gestione finanziaria sta assumendo un ruolo crescente. La capacità moltiplicativa delle risorse raccolte attraverso una estesa e complessa articolazione di relazioni finanziarie con altre società del gruppo, spesso residenti in centri off-shore, crea, talvolta, situazioni di opacità informativa che potrebbero negativamente incidere sulla qualità dei controlli.

Ulteriori aspetti critici hanno riguardato la trasparenza e il grado di affidabilità dell'informativa riferita alle operazioni poste in essere dalle società quotate con parti correlate.

Su un piano più generale, anche la materia della sollecitazione all'investimento richiede qualche riflessione. Essa, come già richiamato, sconta il fatto che l'attuale legislazione non ha ancora definito in modo chiaro e netto una ripartizione delle competenze degli organismi di vigilanza per finalità.

E ancora. In caso di emissione di obbligazioni corporate, utilizzando lo schema del private placement nei confronti di investitori istituzionali, non trovano applicazione gli adempimenti in materia di sollecitazione, primo fra tutti la pubblicazione di un prospetto informativo. L'adozione del private placement non ha impedito che i titoli giungessero nei portafogli dei risparmiatori attraverso i servizi di investimento offerti dagli intermediari.

La sintetica analisi dei fenomeni osservati conduce a confermare le seguenti linee guida per un intervento riformatore.

- Favorire una maggiore dialettica tra le funzioni esecutive e quelle di controllo.

Relativamente agli organi di amministrazione e controllo previsti dai diversi modelli societari introdotti dalla riforma del diritto societario, dovrebbe rafforzarsi l'indipendenza delle funzioni di controllo. Due le strade per rafforzare questa indipendenza: da un lato, porre l'accento sulle caratteristiche soggettive delle persone fisiche che svolgono le funzioni di controllo (amministratori non esecutivi e sindaci), dall'altro, favorire un maggiore ruolo degli azionisti di minoranza nella loro designazione ed elezione.

- Rafforzare i poteri e le responsabilità dei soggetti incaricati delle funzioni di controllo.

Dovrebbe essere favorito l'uso di efficaci strumenti di indagine e dei poteri di segnalazione nei confronti degli organi di amministrazione e gestione. Inoltre, i soggetti incaricati delle funzioni di controllo dovrebbero essere maggiormente coinvolti nell'attività della società di revisione, assumendo maggiori responsabilità sia nella fase dell'affidamento dell'incarico di revisione che nel corso del suo svolgimento. In questo senso è orientata anche la normativa comunitaria che prefigura la presenza obbligatoria di un audit committee presso le società che fanno appello al risparmio diffuso (proposta di Direttiva in materia di revisione).

- Migliorare gli standard di qualità e garantire la terzietà dell'attività di revisione.

Si dovrebbero potenziare i poteri della vigilanza sulle società di revisione al fine di assicurare, su base continuativa, il rispetto dei requisiti di indipendenza e di correttezza anche attraverso il ripristino della facoltà di revoca dell'incarico.

Le ipotesi di incompatibilità dovrebbero tener conto anche della rete di imprese cui appartengono le società di revisione. Dovrebbe essere assicurata l'unitarietà della responsabilità della revisione nell'ambito di gruppi di imprese complessi e articolati.

- Rafforzare i controlli e la trasparenza sulle operazioni con parti correlate e sull'uso di società domiciliate nei cosiddetti paradisi fiscali e legali.

Si dovrebbe rafforzare la responsabilità degli amministratori e dei soggetti che svolgono funzioni di controllo in merito a operazioni che possono risultare critiche con riguardo agli interessi degli investitori in ragione della natura dei soggetti coinvolti, in quanto parti correlate o società off-shore.

Su tali operazioni dovrebbe essere garantita una adeguata trasparenza che assicuri al mercato informazioni sufficienti per la valutazione dei loro effetti.

- Prevedere adeguati standard di correttezza di comportamento per i fornitori di informazione derivata.

Si dovrebbe definire una regolamentazione delle attività degli analisti e delle società di rating in linea con i principî stabiliti dagli organismi internazionali. Si dovrebbero prevedere adeguati requisiti in termini di qualità professionale, di regole di comportamento, di trasparenza delle situazioni di conflitto di interessi.

Adeguamenti della normativa sono altresì necessari secondo queste ulteriori linee guida.

- Rendere più efficaci i limiti all'emissione di obbligazioni.

Si dovrebbe dare rilievo, nella definizione dei limiti quantitativi previsti dall'art. 2412 del c.c., ai debiti derivanti da titoli obbligazionari consolidati a livello di gruppo e alle garanzie fornite dalla capogruppo.

- Limitare la cessione al pubblico di titoli oggetto di collocamento privato.

Si dovrebbe evitare che gli strumenti finanziari collocati presso investitori istituzionali, al di fuori delle norme sulla sollecitazione del pubblico risparmio, diventino oggetto di diffuso investimento da parte del pubblico, prevedendo un divieto, per un determinato periodo, di vendita al pubblico di tali strumenti da parte degli investitori istituzionali (il cosiddetto holding period) o prevedendo altre forme di garanzia.

- Introdurre un sistema di sanzioni reputazionali e amministrative.

Non basta inasprire le sanzioni per chi viola le regole. L'accertamento di condotte illecite dovrebbe essere divulgato e l'effetto dovrebbe durare nel tempo. L'uso di sanzioni interdittive pure presenta un grado elevato di deterrenza. Particolarmente efficaci sono quelle sanzioni accessorie che determinano, per un certo periodo, la perdita dei requisiti di onorabilità, l'incapacità di assumere determinate cariche ovvero, nei casi di maggiore gravità, la richiesta ai competenti ordini professionali di sospendere il soggetto sanzionato dall'esercizio dell'attività professionale.

4 b. Evoluzione delle regole per gli intermediari e i mercati

Nel periodo 1985-2001 sono stati rilevati, da Moody's, 69 fallimenti di società europee che avevano emesso corporate bonds, per un importo complessivo di circa 22 mld di euro. Nel biennio 2002-2003 sono falliti 49 emittenti, per un importo di 53 mld di euro, ben oltre il doppio dell'intero importo non onorato nei 16 anni precedenti.

Nello stesso periodo il 55 per cento del controvalore delle obbligazioni europee in default era stato emesso da imprese inglesi e il 67 per cento di quelle mondiali era stato emesso da società statunitensi.

Il fenomeno dei fallimenti di imprese che si finanziano attraverso l'emissione di obbligazioni è quindi concentrato nelle aree economiche con sistemi più orientati al mercato.

La nostra economia evolve verso il mercato. Il forte sviluppo delle emissioni obbligazionarie da parte di imprese italiane (passate, come già richiamato, dal 20 per cento dei debiti finanziari nel 1998 al 43 per cento nel 2003), classate in parte nei portafogli delle famiglie, pone problemi nuovi che le crisi degli ultimi anni hanno fatto emergere con grande evidenza.

Da una rilevazione fatta nei 350 sistemi di scambi organizzati esistenti in Italia è emerso che, nel primo semestre dell'anno in corso, sono stati trattati circa 20.000 titoli diversi per un controvalore di oltre 40 mld di euro. Circa il 90 per cento dei titoli trattati sono obbligazioni bancarie; a queste fa riferimento anche il 40 per cento delle negoziazioni. Dei restanti titoli, una metà riguarda obbligazioni di emittenti pubblici (anche di paesi non Ocse ad elevato rischio, per 600 mln di euro); l'altra metà obbligazioni corporate, di cui solo il 20 per cento emesse da società italiane o a queste riconducibili.

Da questi dati emerge la rilevanza della diffusione e della negoziazione degli strumenti finanziari attraverso meccanismi alternativi rispetto alle offerte pubbliche e ai mercati regolamentati, soprattutto per quanto riguarda i titoli diversi da quelli azionari. In molti casi i titoli negoziati dagli investitori presentano caratteristiche di rischiosità elevata in funzione della natura dell'emittente, della valuta di espressione del titolo, della presenza di elementi "strutturati".

La regolamentazione a tutela dell'investitore va rafforzata. Ma il presidio della tutela è parte sempre più dei doveri fiduciari e dei doveri di correttezza degli intermediari. A questo conduce la libertà di collocamento nell'area europea, l'assenza di prospetto informativo per taluni prodotti, la competizione tra mercati e intermediari che la nuova Direttiva sui mercati degli strumenti finanziari (MiFID) renderà sempre più intensa, la presenza di conflitti di interessi che naturalmente discendono dal ruolo polifunzionale delle banche.

Anche l'azione di vigilanza deve riorientarsi e indirizzarsi, oltre che alla ricerca dei singoli casi di comportamenti non corretti, alla attenta verifica della sussistenza dei presupposti organizzativi per il corretto svolgimento dell'intera attività. Dovrà essere posto vieppiù l'accento sulle procedure, quelle adottate per garantire il rispetto dei principî e degli obblighi fissati dalla normativa.

La nuova Direttiva sui mercati degli strumenti finanziari dello scorso aprile, che dovrà essere recepita entro il 30 aprile 2006, conduce in questa direzione. Essa contiene numerose e significative novità anche in materia di regole di condotta degli intermediari.

L'armonizzazione delle regole di condotta a livello sovranazionale rappresenta una innovazione positiva. La precedente Direttiva sui servizi di investimento aveva introdotto il principio del mutuo riconoscimento delle autorizzazioni delle imprese di investimento in un ambito di minima armonizzazione. Ne era conseguito un quadro normativo frammentato fra i diversi Stati membri e spinte verso una "concorrenza al ribasso" fra ordinamenti.

Queste disomogeneità verranno superate con la MiFID che accoglie pienamente il criterio del "paese di origine" nell'individuazione della giurisdizione competente, anche relativamente alle regole di condotta nella prestazione dei servizi di investimento.

La MiFID prevede tuttavia norme che, se da un lato semplificano il rapporto intermediario-cliente, dall'altro sembrano implicare un potenziale abbassamento dei presidî di protezione per gli investitori che è necessario evitare.

L'introduzione del nuovo regime del cosiddetto execution only modifica, sia pure in presenza di certe condizioni, l'obbligo di valutare l'adeguatezza di un dato prodotto o strumento rispetto al profilo di rischio del cliente.

La direttiva introduce anche il cosiddetto regime di "controparte", per cui un intermediario potrà prestare servizi ad operatori qualificati in totale esenzione della disciplina sulle regole di condotta. Potranno essere considerate "controparti" anche le imprese non finanziarie che superano determinate soglie dimensionali. La direttiva, tuttavia, prevede esplicitamente che le imprese di piccole dimensioni debbano essere considerate come investitori non professionali.

Oggi su questo tema vi è grande sensibilità, dal momento che alcune imprese industriali, in prevalenza medio-piccole, hanno subito perdite avendo effettuato operazioni di copertura del rischio di tasso di interesse stipulando contratti derivati con banche e intermediari finanziari.

Sotto questo profilo, la direttiva aumenta il livello di tutela per le piccole imprese, stabilendo in maniera inequivoca che debbano essere considerate operatori non professionali, mentre apre un'area di potenziale riduzione dei presidî per le imprese medio-grandi (in funzione, soprattutto, delle soglie dimensionali che verranno individuate nella normativa di secondo livello), che potranno essere considerate vere e proprie "controparti".

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Ripropongono la centralità dell'osservanza delle regole di condotta anche le innovazioni introdotte dalla Direttiva MiFID in materia di concentrazione degli scambi e di obbligo dell'intermediario di realizzare le migliori condizioni possibili per il cliente (best execution).

La normativa comunitaria, come noto, elimina la facoltà dei paesi membri di applicare la regola della concentrazione. Gli scambi potranno essere effettuati nei mercati regolamentati, negli MTF (Multilateral Trading Facilities) ovvero all'interno delle imprese di investimento.

Alla frammentazione degli scambi corrisponderà una disciplina più puntuale della best execution. In quanto regola di relazione fra intermediari e cliente, la best execution non verrà identificata solo con riferimento al "miglior prezzo" ma, più in generale, alle "migliori condizioni" in termini di costi, di rapidità e probabilità di esecuzione e così via. Sempre perché regola di relazione tra intermediario e cliente, la best execution dovrà essere valutata in ragione delle esigenze dell'investitore.

L'innovazione è significativa, soprattutto per il nostro ordinamento, che attualmente al rispetto della regola della concentrazione fa corrispondere la presunzione di adempimento dell'obbligo di esecuzione alle migliori condizioni possibili.

La frammentazione degli scambi potrebbe rendere ardua l'applicazione della regola e la verifica della correttezza dei comportamenti. A questo riguardo, la trasparenza costituisce uno strumento fondamentale.

La trasparenza pre-negoziazione può permettere agli operatori di avere una visione completa del flusso di ordini esistenti su un determinato titolo in un certo istante e consentire l'esecuzione di ordini compatibili per condizioni di prezzo e quantità. La trasparenza post-negoziazione può permettere la verifica delle condizioni di esecuzione ex post.

Dalla trasparenza potrebbero derivare inoltre effetti positivi sulla liquidità e sull'efficienza informativa dei prezzi, in tal modo sopperendo al pericolo paventato che la dispersione degli ordini su più sistemi di negoziazione possa condurre a un peggioramento della price discovery, soprattutto sui mercati dominanti.

La direttiva introduce obblighi di trasparenza pre-negoziazione e post-negoziazione per i mercati regolamentati, gli MTF e gli internalizzatori. Stabilisce inoltre che le informazioni siano messe a disposizione degli altri partecipanti al mercato a condizioni commerciali ragionevoli.

L'attenzione ai costi di ricerca delle migliori condizioni da parte degli intermediari è importante per le ripercussioni che tali costi possono avere sulla concorrenza tra sistemi di negoziazione.

Il consolidamento delle informazioni afferenti gli scambi acquista, a questo riguardo, un ruolo di rilievo. La direttiva raccomanda agli Stati membri di eliminare gli ostacoli al consolidamento a livello europeo delle informazioni che mercati regolamentati, MTF e intermediari sono tenuti a rendere pubbliche; prevede inoltre che la Commissione europea presenti al Parlamento e al Consiglio una relazione sui progressi compiuti entro trenta mesi dall'entrata in vigore della direttiva.

La legislazione statunitense ha da tempo affrontato questo tema nell'ambito dell'applicazione della best execution. Le prime esperienze regolamentari hanno tradotto la regola in parola nell'obbligo per l'intermediario di adoperarsi per la ricerca e l'ottenimento del miglior prezzo possibile. L'istituzione, nel 1975, del National Market System (che raccoglie tutti gli ordini sui titoli presenti nei mercati e sugli scambi eseguiti), ha tuttavia indirizzato la regolamentazione verso una definizione multidimensionale dell'obbligo di best execution. Sono così divenuti rilevanti la dimensione dell'ordine, le caratteristiche del titolo, la disponibilità di informazioni in grado di guidare la scelta della piazza di negoziazione più favorevole, l'accesso ai vari mercati e il costo e la difficoltà associati all'esecuzione dell'ordine in una particolare piazza di negoziazione.

L'introduzione di un meccanismo di consolidamento delle informazioni non risolve, tuttavia, i problemi di verifica del rispetto della regola così definita. Probabilmente anche per questo motivo e nonostante l'orientamento della SEC, l'elemento prezzo ha continuato negli Stati Uniti a rappresentare il parametro di riferimento principale.

L'esperienza statunitense, sebbene costituisca un precedente interessante, non è immediatamente applicabile al contesto europeo. L'efficacia del consolidamento presuppone il coinvolgimento di tutti i sistemi di negoziazione europei: iniziative autonome dei singoli Stati membri rischierebbero di non essere risolutive. Il funzionamento di un meccanismo di centralizzazione degli ordini richiede poi l'individuazione di un soggetto che raccolga e divulghi le informazioni e di un'autorità che ne controlli l'attività, definendo tra l'altro anche le condizioni di accesso alle informazioni. Aspetti, questi, che esigono un coordinamento tra Autorità nazionali che al momento non è nell'agenda del legislatore comunitario.

Nella prospettiva di rendere effettiva la disciplina, è probabile che il nostro ordinamento si muoverà nella direzione di un obbligo di best execution dai connotati più "procedurali" che "comportamentali". Non si tratterà di una "obbligazione di risultato" da verificare ex post, ma di una "obbligazione di mezzi" che esige l'approntamento di idonee procedure, la cui idoneità sarà possibile valutare secondo criteri ex ante.

5. Conclusioni

Il percorso che ho voluto seguire, passando dal profondo cambiamento in atto del sistema finanziario italiano al quadro evolutivo della vigilanza sui mercati, tuttora incompiuto, è stato un invito alla riflessione, partendo dalla "storia", per capire dove siamo e quale può essere l'ulteriore percorso da compiere. Sarebbe un errore progettare il futuro senza pensare a quello che è stato fatto, come e in quali condizioni.

I problemi emersi negli ultimi anni hanno evidenziato una difficoltà dei sistemi normativi e di funzionamento dei mercati di governare efficacemente fenomeni finanziari sempre più complessi.

Abbiamo visto che la risposta europea alle crisi è stata più sofferta della risposta data dal sistema americano. La spiegazione non è complessa se si pensa che stiamo confrontando due aree con due Costituzioni, di cui una sola ha oltre due secoli di vita. E' la storia che fa la differenza.

La disciplina comunitaria sta aprendo nuovi percorsi, apparentemente più permissivi, forse non ancora sufficienti.

In Italia la riflessione è stata più ampia che altrove; la revisione del quadro normativo si è estesa sino a proporre una riforma delle Autorità di vigilanza. Questo è avvenuto anche in altri Paesi europei; è recente l'avvio in Spagna, da parte dell'Esecutivo, di studi per definire un coordinamento delle tre Autorità di vigilanza sulle banche, sui mercati mobiliari, sulle assicurazioni. 

Modifiche di assetti che hanno le radici nella nostra carta costituzionale (la tutela del risparmio e la disciplina del credito) non potevano non aprire un ampio dibattito. E' di ieri la notizia dell'intendimento del Governo di fare approvare entro l'anno la legge per la tutela del risparmio. 

E' una buona notizia, rassicurante per la fiducia degli investitori.

Il recepimento della Direttiva sugli abusi di mercato, che è un atto dovuto, colmerà alcune lacune normative emerse nel corso dell'esperienza di vigilanza e rafforzerà i necessari strumenti di controllo e di enforcement della Consob.

Le recenti crisi societarie hanno fatto emergere una diffusa e condivisa esigenza di un'azione riformatrice, incisiva sui meccanismi di controllo interno ed esterno alle società.

Tale esigenza deve trovare una risposta adeguata che restituisca al mercato la fiducia necessaria al suo funzionamento, evitando tuttavia di incorrere nel rischio di eccessi di reazione emersi, secondo alcuni osservatori, nella riforma della Sarbanes Oxley.

La Consob ha più volte indicato, e in questo intervento sono state brevemente ricordate, le principali aree critiche che necessitano di un'azione legislativa tempestiva e organica.

L'investitore sta diventando sempre più fonte di reddito per le banche; la sua tutela dovrebbe quindi far parte del patrimonio genetico delle banche stesse.

La tutela degli investitori è affidata soprattutto alla correttezza dei comportamenti degli intermediari e questi, come pure è stato ricordato, devono a tal fine prefiggersi la definizione di assetti organizzativi e l'adozione di procedure tali da garantire il corretto svolgimento della attività.

I risparmiatori devono sempre più acquisire la capacità di giungere alla valutazione e alla percezione dei rischi di un investimento. Ciò richiede - accanto ai presidî posti a loro tutela dalle regole, dalla vigilanza e dall'autoregolamentazione - la diffusione di una cultura finanziaria che tutti gli attori del mercato possono promuovere.

Lo sforzo di adeguamento alla crescente complessità del funzionamento dei mercati e dei prodotti finanziari deve coinvolgere non solo le regole ma anche l'attività di vigilanza. 

Anzitutto, il coordinamento tra le Autorità di controllo nazionali appare indispensabile. Parimenti necessarie appaiono la collaborazione e la cooperazione internazionale, come è emerso dall'esperienza maturata negli ultimi anni.

Inoltre, in un contesto in continuo cambiamento, la prevenzione deve essere, tra gli obiettivi della vigilanza, quello prioritario. Per fare ciò, vanno rafforzati i canali di contatto con il mercato per migliorare la comprensione di nuovi prodotti, di nuove pratiche e per cogliere tempestivamente tendenze ed evoluzioni devianti.

Ma l'azione rischia di essere debole se le Autorità di vigilanza non vengono dotate, oltre che di poteri di enforcement, delle risorse umane necessarie. La SEC, dopo un anno dal caso Enron, ha ottenuto un incremento pari al 38 per cento del budget e la possibilità di assumere 840 professionisti. La Consob è in attesa di ottenere che il tetto dell'organico stabilito dalla legge, in 450 persone, venga elevato a 600. La richiesta di almeno 150 persone, presentata nelle sedi competenti, è per far fronte ai maggiori compiti derivanti dal recepimento delle Direttive in arrivo. 

In merito poi alla responsabilità civile delle Autorità di vigilanza, va individuato il giusto punto di equilibrio tra l'esigenza di tutela degli investitori e la libertà e l'efficienza dell'operato delle stesse Autorità di vigilanza, ossia tra la tutela dell'interesse collettivo e il diritto soggettivo del singolo. 

E' questa una questione di maturità democratica di un Paese ed è stata di recente oggetto di una sentenza della Corte di Giustizia europea (causa C-222/02), che prende avvio da una richiesta di risarcimento per danni finanziari presentata da alcuni cittadini tedeschi.

La questione, sollevata lo scorso anno dal Fondo Monetario Internazionale, che aveva dichiarato l'Italia non in linea con gli standard dell'OCSE, è stata in molti Paesi disciplinata dalla legge. L'adozione di un modello di responsabilità delle Autorità troppo ampio rallenta l'attività di vigilanza e favorisce meccanismi di burocratizzazione. Infine, e non guasta, non sembra equo.

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La tutela dell'integrità del mercato finanziario dipende dalla qualità dei comportamenti di tutti i soggetti che vi operano, ciascuno per il proprio ruolo. Il compito di prevenzione della Autorità di vigilanza non è facile se i presidî normativi vengono osservati in modo puramente formale e non con l'intima convinzione della necessità di osservare le regole.

Un'ultima riflessione. La reputazione. Su mercati sempre più senza confini, la reputazione deve diventare un asset fondamentale degli equilibri aziendali.

Il principio name and shame non può non trasformarsi in valore economico.

Ci sono poi i valori etici che, "ex se", non possono fare la differenza perché appartengono al campo della morale. Ma per la fiducia dei risparmiatori, presupposto di continuità della attività degli intermediari, l'etica non è solo un valore delle coscienze ma una componente delle relazioni economiche e della vita quotidiana. 




1. Dati del Servizio Studi della Banca d'Italia.

2. Dati Banca d'Italia, Relazione Annuale, 2003.

3. "Le medie imprese industriali italiane (1996-2000)", Mediobanca-Unioncamere, settembre 2003.