Università "L. Bocconi"
Centro di Ricerche Economico-Aziendali e per l'imprenditorialità "Furio Cicogna"

"TUTELA DEL RISPARMIO E COMPETITIVITA' DELLA PIAZZA FINANZIARIA"

Intervento del Presidente della CONSOB
Lamberto Cardia

 

Milano, 14 marzo 2005

Prima di esporre le mie brevi riflessioni sul tema di grande interesse al centro del presente dibattito, desidero ringraziare l'Università Bocconi e il Centro di Ricerche Economico-Aziendali e sull'imprenditorialità "Furio Cicogna" per avermi invitato a prenderne parte.

Il tema del mio intervento deve essere necessariamente circoscritto al ruolo e al contributo che le Autorità di vigilanza possono dare allo sviluppo della piazza finanziaria e alla protezione dei risparmiatori. Vorrei però fare alcune considerazioni di più ampio respiro per inquadrare tale tema.

E' bene fare subito una premessa. L'obiettivo dello "sviluppo e della competitività" della piazza finanziaria non è esplicitamente inserito dal Testo unico della finanza fra gli obiettivi finali cui deve tendere l'azione della Consob, mentre lo è ovviamente quello della protezione degli investitori; segnalo però che non è così in altri ordinamenti, quale quello inglese; la legge britannica, equivalente al nostro Testo unico della finanza prevede esplicitamente come "vincolo" all'attività di regolamentazione da parte della FSA la necessità di "preservare la posizione competitiva della piazza finanziaria inglese".

La Consob non può però ovviamente ignorare il problema della competitività e dello sviluppo del mercato finanziario italiano nell'espletamento delle proprie funzioni istituzionali, né può naturalmente ignorare l'impatto che il perseguimento dell'obiettivo esplicito della "protezione dei risparmiatori" può avere sullo sviluppo dei mercati. 1. In passato vi era una certa tendenza a vedere una contrapposizione fra l'obiettivo dello sviluppo dei mercati finanziari (efficienza) e quello della protezione dei risparmiatori (equità): minori regole, meno "lacci e lacciuoli", un maggiore spazio alla libera iniziativa, anche a scapito della protezione dei risparmiatori, si riteneva potessero favorire lo sviluppo dei mercati.

Oggi vi è la consapevolezza che così non è, almeno per quanto riguarda i mercati finanziari. I mercati finanziari non si sviluppano spontaneamente, oserei dire dal nulla. C'è bisogno di regole, di istituzioni, di politiche pubbliche attente e lungimiranti. Numerosi studi mostrano infatti l'esistenza di una correlazione positiva fra il grado di protezione degli investitori e lo sviluppo dei mercati finanziari.

In particolare, alcune ricerche mostrano che la maggiore tutela degli azionisti di minoranza favorisce la dispersione della proprietà azionaria, accresce la liquidità dei mercati azionari e fa aumentare il valore delle imprese (i prezzi azionari - in particolare i moltiplicatori "capitalizazione di borsa/patrimonio netto" - aumentano perché si riduce la probabilità che una quota dei profitti venga "sottratta" dagli azionisti di controllo"). Ciò, a sua volta, fa aumentare la propensione delle imprese a quotarsi in borsa (perché gli imprenditori possono vendere le proprie azioni a prezzi più elevati), porta ad un aumento del numero di società quotate e innesca un "circolo virtuoso" di crescita dei mercati.

2. Applicando questo schema di analisi al mercato italiano, si può inferire, ragionando al contrario, che l'elevata concentrazione azionaria, il basso numero di società quotate, la liquidità ancora non sufficiente per molti titoli quotati e i bassi moltiplicatori di borsa, sono tutti indicatori di una scarsa protezione dei diritti dei soci di minoranza e di un assetto complessivo delle regole di governo societario ancora non adeguato.

Questo giudizio pare però troppo affrettato e forse approssimativo. Se è vero infatti che le regole e le istituzioni contano molto per lo sviluppo dei mercati, conta anche - e forse di più - la storia. Se è vero che i mercati non si sviluppano dal nulla, è anche vero che i mercati non sviluppano all'improvviso.

La storia del nostro sistema finanziario a partire dal dopoguerra è stata una storia in cui i mercati hanno sempre avuto un ruolo molto marginale. E' stata una storia contrassegnata dal dominio delle banche commerciali, per lungo tempo sotto il controllo pubblico, e da esigenze pressanti di finanziamento del debito pubblico che hanno condizionato profondamente il funzionamento dei circuiti finanziari.

Dagli anni ottanta, ma soprattutto a partire dall'inizio degli anni novanta, si è avviato un processo di cambiamento graduale che ha portato ad una metamorfosi profonda nelle scelte di risparmio delle famiglie, nel finanziamento delle imprese, nel ruolo degli intermediari creditizi e finanziari.

Nell'ultimo decennio, e in particolare dall'entrata in vigore del Testo unico della finanza nel 1998, sono stati fatti molti passi avanti, ma perdurano fattori di debolezza strutturali, retaggio di una storia che, come detto, ancora condiziona profondamente gli assetti attuali del nostro mercato.

Negli anni novanta, le privatizzazioni delle grandi imprese pubbliche hanno dato forse uno dei contributi più importanti allo sviluppo del nostro mercato azionario. Si è affermata una cultura finanziaria più orientata alla trasparenza e allo scrutinio incisivo delle decisioni imprenditoriali da parte degli operatori. Sono aumentati i possessori di azioni e si è diffusa la "cultura" dell'investimento azionario fra le famiglie e gli investitori non professionali. Le privatizzazioni hanno poi contribuito ad aumentare notevolmente il flottante e quindi il volume degli scambi, portando allo sviluppo di un mercato più liquido. E' aumentata inoltre la dimensione e la rappresentatività del listino.

Altri fattori, pure altrettanto importanti, quali l'introduzione dell'euro, la discesa dei tassi di interesse e il processo di risanamento della finanza pubblica, hanno sollecitato importanti cambiamenti nei comportamenti delle famiglie, delle imprese e delle banche.

E' dunque importante guardarsi indietro per capire quanta strada e quanti progressi sono stati fatti, ma anche - e soprattutto - per capire cosa ancora si deve fare e come superare la fase di crisi innescata dai noti scandali societari.

Da questo punto di vista la ricerca curata dal prof. Pinardi contiene numerosi e utilissimi spunti di riflessione che vorrei di seguito riprendere, unendovi alcune mie considerazioni, relative non solo al ruolo delle Autorità di vigilanza, ma anche a quello più generale delle politiche pubbliche e dei soggetti privati.

Vorrei partire dai comportamenti dei risparmiatori.

Le famiglie e l'educazione finanziaria

3. Le famiglie italiane hanno profondamente modificato la composizione del loro portafoglio finanziario. E' aumentato drasticamente il peso dei prodotti del risparmio gestito, delle obbligazioni e di altre attività rischiose.

Questo fenomeno, indotto dalla volontà di ricercare forme di impiego del risparmio più remunerative, ha accentuato la criticità e l'importanza del rapporto fiduciario che si deve instaurare fra intermediario e cliente. La disciplina sulle regole di condotta degli intermediari, prima quasi "negletta" in un mondo in cui le famiglie detenevano prevalentemente titoli di Stato, diviene ora elemento centrale della regolamentazione del sistema finanziario.

La nuova disciplina comunitaria - la direttiva MiFID - è destinata a ridisegnare la materia, introducendo in alcuni casi un certo abbassamento dei presidi a tutela di alcune tipologie di investitori (execution only, regime di controparte per le grandi imprese) e in altri casi rafforzando tali presidi (ad esempio, prima di considerare un investitore come "qualificato", l'intermediario dovrà effettuare un test molto accurato circa le sue competenze e la sua operatività passata in strumenti finanziari, non potendosi accontentare di una semplice "autocertificazione").

Non è però pensabile che la regolamentazione possa garantire una protezione totale o "assoluta" del risparmiatore/investitore, come peraltro riconosciuto in ordinamenti di paesi con mercati più sviluppati del nostro.

Il risparmiatore deve essere in grado di padroneggiare alcuni elementi di base della finanza. Bisogna dunque valutare seriamente la necessità di avviare un programma serio e incisivo di "alfabetizzazione finanziaria", sul modello appunto dell'esperienza inglese, come illustrato dal dr. Tiner della FSA.

Segnalo che su questo tema si sta ragionando in sede OCSE, dove è allo studio la predisposizione di standard per l'implementazione di programmi di educazione finanziaria; una bozza di tale documento dovrebbe presto essere esaminata dai Ministri finanziari dei paesi aderenti di tale organizzazione internazionale(1).

La ricerca curata dal prof. Pinardi, sotto questo profilo, contiene numerose e utili indicazioni.

I sondaggi condotti presso il campione di famiglie selezionate indicano chiaramente la presenza di un forte bisogno o "domanda" di "educazione finanziaria". Le famiglie italiane, hanno la consapevolezza "socratica" del "sapere di non sapere", ma non riescono a colmare questa lacuna; i canali di informazione finanziaria tradizionali (giornali, radio, internet, ma anche contatti diretti con banche e promotori) sembrano essere considerati non sempre chiari, completi e affidabili.

Il problema "politico" mi sembra dunque quello di individuare gli attori e gli strumenti più idonei per soddisfare efficacemente questa domanda di educazione finanziaria.

Segnalo che la Consob ha avviato alcune importanti iniziative di investor education tese ad illustrare le caratteristiche di alcuni prodotti particolarmente complessi e veicolando queste informazioni attraverso il proprio sito internet. I limiti di queste iniziative sono strutturalmente legati alla fatto che deve essere il risparmiatore a farsi "parte attiva" andando a ricercare le informazioni sul sito della Consob. La possibilità di raggiungere i risparmiatori attraverso canali di comunicazione più efficaci e a larga copertura (stampa, televisione, opuscoli distribuiti presso banche e uffici postali) richiede investimenti finanziari che vanno al di là delle risorse della Consob.

Le azioni da parte delle Autorità di vigilanza devono dunque essere supportate da politiche e iniziative di più ampio respiro e impatto, capaci di incidere su una vasta platea di famiglie, politiche in relazione alle quali il ruolo di leader o di coordinamento deve essere forse lasciato alle Autorità di Governo.

Vorrei passare ora ad esaminare il settore delle imprese non finanziarie.

La finanza d'impresa e le regole del governo societario

4. La finanza di impresa nel nostro paese è caratterizzata da quello che definirei un dualismo, legato fondamentalmente alla dimensione aziendale.

Le grandi imprese quotate tendono sempre più a finanziare i propri investimenti attraverso la raccolta diretta del risparmio fra gli investitori, in particolare attraverso l'emissione di obbligazioni. Le obbligazioni rappresentano ormai la metà dei debiti finanziari dei grandi gruppi quotati; il peso dei debiti a breve sui debiti totali è sceso dal 50 al 30% negli ultimi cinque anni. Le imprese hanno notevolmente accresciuto il grado di sofisticazione nella gestione dei rischi di variazione dei tassi di interesse e di cambio. Basti considerare che il valore nozionale dei derivati di copertura dei principali gruppi quotati (inclusi nell'indice del MIB30) era pari a circa 60 miliardi di euro a fine 2003.

Esiste però un forte divario fra la finanza dei grandi gruppi quotati e quella delle altre grandi e medie imprese non quotate. Per questo ultimo gruppo di imprese, l'autofinanziamento e, in seconda battuta, il debito bancario sono le forme quasi esclusive di finanziamento degli investimenti. Il peso delle obbligazioni rimane marginale e gran parte dei debiti finanziari sono a breve termine.

5. Questo dualismo emerge anche dalla ricerca del prof. Pinardi per ciò che riguarda l'impatto del caso Parmalat sul mercato obbligazionario italiano. Dai sondaggi condotti emerge infatti che le aziende di maggiori dimensioni sembrano "soffrire" meno dell'impatto del default Parmalat rispetto a quelle medio-piccole.

I dati sull'andamento del mercato obbligazionario nel 2004 danno un quadro coerente con quella che è la percezione "soggettiva" delle imprese.

Nel 2004, infatti, sebbene le emissioni di corporate bond italiani siano state pari a 27,3 miliardi di euro (valore di gran lunga superiore ai 17,1 miliardi del 2003), sono scadute obbligazioni per 24,7 miliardi di euro (contro i 6,5 miliardi del 2003). Il volume delle emissioni nette - cioè la differenza fra le nuove emissioni e quelle scadute - si è dunque fortemente ridotto, passando da 10,6 miliardi di euro nel 2003 ai 2,5 miliardi nel 2004.

Inoltre, nel 2004, i principali prenditori sul mercato obbligazionario internazionale sono stati quasi esclusivamente i grandi gruppi quotati con rating al di sopra della soglia dell'investment grade (gruppi Telecom, Eni, Enel e Autostrade) e alcune grandi società pubbliche non quotate (in particolare, Infrastrutture Spa).

Se, complessivamente, il mercato dei corporate bond ha mostrato una buona ricettività nei confronti dei grandi gruppi italiani, si è registrata invece una vera e propria "chiusura" per gli emittenti medio-piccoli e privi di rating, come ampiamente segnalato nella ricerca del prof. Pinardi; infatti, nel 2004, non si sono registrate emissioni da parte di tale categoria di soggetti

La situazione appare particolarmente grave alla luce del fatto che, a livello europeo, la domanda di corporate bond rimane sostenuta. Ciò è segnalato dal fatto che gli investitori sono disposti a pagare un premio al rischio piuttosto basso per investire in obbligazioni societarie; infatti, il differenziale fra il rendimento dei corporate bond di società (non finanziarie) europee e quello dei titoli di Stato in euro è costantemente diminuito a partire dal 2003 e rimane su livelli storicamente molto bassi.

6. La "chiusura" del mercato obbligazionario per le imprese medio-piccole, specie se non quotate, può avere ripercussioni gravi sia sul piano finanziario che reale.

Sotto il primo profilo, oltre al problema del rifinanziamento delle obbligazioni in scadenza, bisogna rilevare come il venire meno di occasioni di "apertura al mercato", come richiesto al momento dell'emissione di prestiti obbligazionari, toglie alle imprese la possibilità di "acclimatarsi" ad obblighi di trasparenza più pregnanti, quali quelli legati ad una eventuale successiva quotazione in borsa.

Sotto il secondo profilo, si rileva come la relativa "arretratezza" finanziaria delle medie imprese - intesa nel senso della bassa diversificazione delle fonti finanziarie - sia sovente accompagna ad altre debolezze di natura "reale", pure legate all'aspetto dimensionale.

La più importante è che proprio per queste imprese esiste ancora un forte ritardo nell'innovazione e negli investimenti in ricerca e sviluppo, rispetto invece a quanto accade per le grandi imprese quotate. Le medie imprese italiane rimangono lontane dai settori ad alta intensità di tecnologia.

Secondo una recente ricerca Mediobanca-Unioncamere: "La presenza delle medie imprese italiane nei settori ad alta tecnologia è assai scarsa: le attività più avanzate paiono essere quelle degli strumenti e apparecchi di misurazione e controllo dei processi industriali, le apparecchiature medicali e chirurgiche, le apparecchiature radiotelevisive e di telecomunicazione, la produzione farmaceutica per medicinali e i giochi elettronici"(2).

E' questa forse la sfida più importante per la sviluppo della piazza finanziaria italiana: riuscire ad attrarre verso la borsa quella vasta platea di medie imprese che caratterizza l'ossatura del nostro sistema produttivo; convincere gli imprenditori che l'apertura del capitale ad altri investitori - con le competenze, anche in termini di know how tecnologico e organizzativo, oltre che finanziario - è un presupposto essenziale, non solo per la crescita, ma per la stessa sopravvivenza nel medio periodo. La raccolta di nuovi capitali tramite il mercato e l'apertura degli assetti proprietari sono gli unici modi adeguati per finanziare gli investimenti in innovazione.

7. Le note esperienze di crisi societarie dimostrano però che il quadro normativo a presidio dei diritti degli azionisti di minoranza e dei creditori deve essere rafforzato, come si appresta a fare il nostro legislatore. In caso contrario, la domanda di azioni da parte delle famiglie e degli investitori non professionali è destinata ad essere scarsa, insufficiente a sostenere il processo di accumulazione e gli investimenti in innovazione da parte delle imprese più dinamiche.

Le aree di intervento più importanti sono sicuramente quelle della disciplina della revisione contabile (indipendenza, rotazione delle società, controllo di qualità) e della protezione dei diritti degli azionisti di minoranza (voto di lista per la nomina di componenti del consiglio di amministrazione espressione delle minoranze, meccanismi di nomina dei sindaci di minoranza, disciplina dei quorum assembleari); a questi temi il disegno di legge all'attenzione del Parlamento dedica infatti la giusta importanza.

E' necessario però un intervento urgente e rapido.

Vorrei ora brevemente analizzare il ruolo e le prospettive del sistema bancario e dei mercati regolamentati.

Le banche e i mercati

8. Anche l'industria bancaria e dell'intermediazione finanziaria ha in parte "cambiato pelle" nell'ultimo decennio ed è cambiato il rapporto banca-impresa.

L'adeguamento ai nuovi standard di misurazione dei rischi di credito previsti da Basilea II indurrà le banche a rivedere in maniera radicale il business tradizionale di "erogazione del credito". Ne è un segnale il fatto che, anche a seguito di un intervento normativo ad hoc del 1999, le banche hanno cartolarizzato un volume considerevole di crediti, in bonis e in sofferenza. In tale maniera il rischio di credito viene trasferito ad altri soggetti, eventualmente anche non sottoposti a regole di stabilità e a vigilanza prudenziale.

L'adeguamento agli IAS costringerà le banche a far emergere, in conto economico o nello stato patrimoniale, gli effetti di un volume di operazioni in derivati (inclusi i derivati su credito) che ha assunto proporzioni ormai notevolissime (anche in rapporto alla dimensione delle imprese bancarie che le pongono in essere). La maggiore trasparenza, oltre che a giovare agli investitori, consentirà alle Autorità di vigilanza di meglio cogliere la reale portata dell'operatività in derivati delle banche e degli altri intermediari finanziari.

9. Anche nel nostro paese si è ormai affermato il modello della banca universale. Ciò comporta vantaggi e svantaggi.

I grandi gruppi bancari derivano ormai la metà dei loro ricavi complessivi dalla prestazione di servizi, alle imprese e ai risparmiatori. Sono più attivi nell'offrire servizi di corporate finance alle imprese e nel seguirle nella quotazione in borsa e/o in operazioni di raccolta attraverso il collocamento di strumenti finanziari.

Aumentano però i conflitti di interesse. Questo è un aspetto ineliminabile della nuova morfologia dei gruppi bancari. Non sembra verosimile ritornare al vecchio modello anglosassone di separazione fra banca commerciale (attività creditizia tipica) e banca di investimento (prestazione di servizi di investimento), ormai in parte abbandonato anche negli USA. Peraltro, i conflitti di interesse si annidano anche all'interno della stessa attività di investment banking: gli analisti danno giudizi postivi per sostenere i corsi di titoli che la banca ha in portafoglio e che intende dismettere, i titoli di nuova emissione che non incontrano una domanda favorevole da parte del pubblico vengono collocati nei portafogli gestiti, etc.

La regolamentazione deve prevenire e gestire, o rendere il più possibile trasparenti i conflitti di interesse, ma non deve impedire che i gruppi bancari espandano la gamma di servizi offerti alle imprese e ai risparmiatori, né deve impedire il libero dispiegarsi delle forze di mercato nella definizione degli assetti proprietari più efficienti, fermi restando i divieti agli incroci proprietari fra banche e imprese che portarono il nostro sistema al collasso negli anni trenta.

10. Questo processo comporta però il rischio che il nostro sistema bancario venga "disintermediato", cioè che si trasformi in una pura "rete di vendita" o in un canale di distribuzione di strumenti finanziari, prodotti e servizi "confezionati" e strutturati all'estero. C'è in sostanza il rischio che quelle attività a maggiore valore aggiunto e che richiedono una più profonda conoscenza dei mercati e dei modelli di gestione dei rischi (la negoziazione in conto proprio, il collocamento a fermo, la consulenza alle imprese, etc.) vengano svolte da banche e intermediari esteri. Un esempio è rappresentato da quello che in parte sta avvenendo nell'industria del risparmio gestito, dove la gestione è stata in alcuni casi trasferita o delegata a soggetti esteri con il know how e le competenze necessarie, mentre nel nostro paese rimane solo la rete distributiva.

Questo rischio è ampiamente discusso nell'ultimo capitolo del volume che accoglie i risultati della ricerca coordinata dal prof. Pianrdi, in cui si fotografa con grande lucidità e chiarezza la situazione del sistema bancario italiano in relazione all'evoluzione dello scenario competitivo europeo.

Le banche italiane sono ancora troppo piccole, poco proiettate verso il mercato dei capitali europeo e dedicano poche risorse ai servizi finanziari e all'investment banking.

Le banche italiane sembrano in difficoltà nel competere sul mercato dei servizi di investimento anche in ambito domestico. La quota di mercato delle banche italiane nelle operazioni di collocamento commissionate dal Ministero dell'economia è pari a circa il 20%; il Governatore della Banca d'Italia, in occasione dell'incontro annuale con gli operatori del mercato finanziario svoltosi a Modena il 12 febbraio scorso , ha indicato che oltre il 70% dei circa 200 collocamenti obbligazionari delle imprese italiane sull'euromercato fra il 2000 e il primo semestre del 2004 è stato effettuato da banche estere. Il Governatore ha anche sottolineato come le banche estere abbiano un ruolo preponderante nelle operazioni di fusione e acquisizione nel nostro mercato.

11. Quale è il vero pericolo insito in questa tendenza? I servizi di investimento e quelli di corporate finance che non sono "prodotti" e offerti dal nostro sistema bancario potranno essere "importati" dall'estero? Ciò è naturalmente possibile e in una certa misura già accade, come indicato nella ricerca qui presentata; ma c'è il rischio che se il fenomeno si amplifica ulteriormente le imprese medio-piccole saranno fortemente penalizzate. Le grandi banche di investimento estere (in particolare quelle anglosassoni) non hanno interesse o incentivi a offrire i propri servizi ad una moltitudine di piccole imprese, preferendo concentrarsi sui clienti più grandi e che garantiscono margini di profitto più elevati.

Il tessuto delle medie e piccole imprese italiane ha dunque bisogno di un sistema bancario "geograficamente" e "culturalmente" vicino, in grado di fornire i servizi tradizionali di banca commerciale e, all'occorrenza, i servizi più sofisticati tipici della "banca d'affari".

12. La competitività della piazza finanziaria italiana dipende in maniera cruciale, oltre che dallo sviluppo dell'industria dei servizi finanziari, dalla possibilità che cresca ulteriormente il peso e il ruolo dei mercati regolamentati. Ciò dipende anche dall'affermarsi di strutture di post-trading sicure, efficienti e a basso costo per gli utenti.

In questo settore, lo scenario competitivo in ambito internazionale è caratterizzato sempre più da logiche di analisi integrata dell'offerta di servizi di negoziazione e regolamento delle operazioni in titoli; in alcuni paesi, incluso il nostro, si è affermato un modello di integrazione verticale fra la borsa e le strutture di regolamento delle transazioni. In altri paesi sono state realizzate importanti aggregazioni orizzontali e trasfontaliere che hanno dato vita a dei veri e propri global player nel settore del regolamento degli scambi. Questi operatori sono in grado di esercitare forti pressioni competitive anche sulle nostre strutture domestiche, potendo contare su una massa sempre più consistente di clienti esteri che operano sui nostri mercati.

La competizione fra borse si sta dunque estendendo al settore del post-trading, con rischi non troppo remoti di completa marginalizzazione delle strutture operanti in paesi con mercati finanziari meno sviluppati.

Il problema è all'attenzione della Commissione Europea che intende emanare una direttiva che disciplinerà l'ordinata evoluzione del settore garantendo un adeguato quadro competitivo nella prestazione dei servizi di post-traindg.

Sembra chiaro che il nostro paese non può permettersi di subire passivamente le pressioni competitive che provengono dall'estero, sia sul fronte dell'industria bancaria e finanziaria sia sul fronte dell'industria delle borse e dei servizi di post-trading, senza una vera e propria strategia di sviluppo della piazza finanziaria italiana, perché troppo forte è la valenza sistemica e strategica dell'industria finanziaria per la crescita e lo sviluppo economico del nostro paese.

Quale è allora il ruolo dei soggetti privati? Quale invece quello delle politiche pubbliche e delle Autorità di vigilanza?

Gli assetti proprietari delle banche sono ormai completamente privati e dunque vi sono spazi assai limitati per interventi "diretti" da parte di soggetti pubblici, soprattutto in un contesto di mercato europeo integrato. Serve dunque una riflessione seria da parte degli operatori e dell'industria bancaria; è necessario orientare gli sforzi per accelerare la trasformazione del sistema verso un assetto più moderno, completando quel processo che si era avviato negli anni novanta.

Dal lato delle imprese, serve pure un salto "culturale", una maggiore apertura al mercato dei capitali, una rinnovata volontà di investire e crescere, accettando le "interferenze" di altri soggetti nelle scelte imprenditoriali. E' necessario che gli imprenditori escano da una logica di "individualismo" e di gestione d'impresa finalizzata ad accumulare ricchezze personali. Come auspicava Guido Carli, gli imprenditori - ma anche i nostri "banchieri" - devono recuperare il senso di appartenenza alla classe dirigente del Paese e il senso dell'operare per il progresso e il bene della collettività, prima ancora che per il profitto dell'impresa.

La sfida per i soggetti pubblici è forse più chiara, ma non meno difficile: definire norme che garantiscano maggiore protezione agli azionisti, ai creditori e ai "consumatori" di servizi finanziari, e assicurarne l'effettiva applicazione.

Tale sfida - ancor meglio direi tale obbligo è quanto mai necessario che trovi adeguata realizzazione, a causa della sempre più veloce evoluzione dello scenario internazionale, nel quale il nostro paese si trova ad operare e nel quale occorrerà continuare ad operare in modo sempre più attivo e convinto.

Peraltro i ben noti scandali che hanno colpito grandi paesi - e tra essi l'Italia che pur si riteneva esserne indenne - hanno portato a rilevanti modifiche delle legislazioni esistenti e, specie nei paesi dell'Unione Europea, ad una decisa ricerca di norme armonizzate atte ad evitare - o quanto meno a limitare al massimo - il ripetersi di vicende fraudolente e dolorose.

Le Istituzioni europee dopo anni di inerzia hanno dato nuovo impulso all'attività di armonizzazione in materia di mercati finanziari, in particolare attraverso l'attuazione del cd. Piano d'Azione per i Servizi Finanziari. Secondo quanto ha dichiarato la Commissione Europea il 93% delle misure indicate nel Piano d'Azione, finalizzate alla creazione di un Mercato interno dei servizi finanziari pienamente integrato, sono state attuate dal legislatore comunitario e devono essere trasposte negli ordinamenti interni entro il 2005-2006.

Dette misure includono in particolare, le nuove direttive in materia di:

- servizi di investimento e mercati regolamentati meglio nota come Direttiva MIFID;

- abusi di mercato (market abuse);

- prospetti di offerta al pubblico e ammissione alle negoziazioni;

- trasparenza in relazione agli emittenti con titoli negoziati su mercati regolamentati;

- offerte pubbliche di acquisto e/o scambio.

Da ultimo la Commissione Europea ha adottato una comunicazione in materia di "clearing & settlement" (regolamento e compensazione) dimostrando la volontà di approfondire gli aspetti relativi all'industria dei servizi post-trading, che potrebbe formare oggetto di un'apposita direttiva comunitaria.

La Commissione Europea ha posto mano al riassetto della normativa in materia societaria presentando un piano d'azione anche in questa materia. Rientrano, in particolare, in tale ambito le iniziative in materia di controllo contabile che hanno condotto la Commissione Europea a presentare recentemente una proposta di direttiva che prefigura riforme di ampia portata, quali, tra le altre, l'introduzione di forme di vigilanza sui revisori, l'utilizzo di principi internazionali (ISA), norme etiche, obblighi di rotazione.

Essa dovrà essere seguita da altre iniziative in materia di responsabilità degli amministratori e diritti degli azionisti di minoranza, già preannunciate dalla Commissione Europea, che ha, altresì manifestato l'intenzione di adottare rapidamente misure sui conflitti di interesse degli analisti finanziari e di voler riconsiderare gli orientamenti assunti in materia di agenzie di rating.

L'idea di fondo è che la tutela del risparmiatore europea non può che passare per un livello adeguato di armonizzazione delle regole e di convergenza dei sistemi di vigilanza. Nessun paese oggi può da solo tutelare i suoi risparmiatori, senza arrivare al paradosso della chiusura delle frontiere, se non lavora per assicurare la convergenza minima delle regole e dei comportamenti e la cooperazione massima tra le Autorità.

Peraltro non è possibile oggi non considerare che l'obiettivo ultimo, anche a livello europeo, deve essere la tutela del risparmiatore, che a sua volta è presupposto indispensabile per il ripristino di un clima di fiducia. Pur con le diverse filosofie di intervento pubblico sul mercato presenti in Europa - che vedono spesso non allineati i paesi con tradizioni più liberiste con quelli con tradizioni più regolamentatici - è necessario che si trovi un terreno comune nel quale non prevalga una impostazione sull'altra.

Questa è la maggiore difficoltà del processo di definizione delle regole a livello europee, ma è in quella sede che si devono concentrare gli sforzi istituzionali del Paese per giunger a buoni risultati; da parte sua la Consob - mi sia consentito dirlo- pur con le sue ridotte risorse non si risparmia (N).

Oggi sono in esame in sede parlamentare due disegni di legge di primaria rilevanza destinati a incidere profondamente nel quadro normativo esistente e nell'attività della Consob in particolare.

Intendo riferirmi al D. di legge comunitaria 2004 che recepisce per quanto è di specifico interesse la direttiva 2003/6/CE in materia di abusi di mercato e prevede importanti innovazioni al quadro normativo del TUF soprattutto per quanto attiene all'attribuzione di poteri di indagine e all'apparato sanzionatorio.

La Consob potrà delegare o cooperare per talune funzioni con altre soggetti ma resterà a livello nazionale ed europeo responsabile per l'attuazione della direttiva.

Purtroppo il D.D.L non ha ancora concluso il suo iter, ma è dato sperare … che sia solo questione di giorni.

L'altro disegno di legge di specifico interesse è quello recante "disposizioni per la tutela del risparmio e la disciplina dei mercati finanziari" dal 4 marzo licenziato dalla Camera dei Deputati e trasmesso al Senato.

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(N) Se il tempo lo consente richiamare l'esigenza di formazione di personale di elevata qualificazione professionale e di esperienza internazionale, nonché la utilità di una maggiore presenza di risorse del nostro paese negli organismi internazionali, con specifico riferimento a quelli dell'Unione Europea e tra essi al CESR.

Tale D.D.L. - come è a tutti ben noto - ha preso l'avvio dopo le vicende CIRIO e PARMALAT che hanno coinvolto non solo il mercato finanziario e quello del credito bancario, ma anche il mercato delle obbligazioni societarie che in Italia ha avuto consistente sviluppo solo negli ultimi anni. Ciò ha allargato i confini della crisi di fiducia al rapporto dei risparmiatori con gli intermediari finanziari che hanno partecipato al collocamento delle obbligazione tra il pubblico; rapporto su cui hanno inciso negativamente anche altri episodi, quali il collocamento di titoli di Stato argentini e di prodotti finanziari strutturati particolarmente complessi e tra essi i prodotti My Way e FourYou.

L'approvazione di detto D.D.L., unita al recepimento della "MARKET ABUSE" - che tutti auspichiamo possa avvenire in tempi brevi, produrrà effetti rilevanti di riforma che riguarderanno i controlli sugli emittenti e sui mercati, con specifico riferimento ai controlli interni ed esterni; la riforma riguarderà anche i conflitti di interesse degli intermediari e prevederà un rafforzamento dei poteri dell'Autorità di vigilanza e del sistema sanzionatorio.

Alla definizione di un intervento riformatore incentrato su linee guida coerenti con l'esigenza manifestatasi in conseguenza delle crisi societarie e con la più recente evoluzione del mercato finanziario, la Consob ha inteso portare nei modi consentiti il proprio contributo di cultura e di esperienza istituzionale teso, tra l'altro, a:

- favorire una maggiore dialettica tra le funzioni esecutive e quelle di controllo;

- rafforzare i poteri e le responsabilità dei soggetti incaricati delle funzioni di controllo;

- migliorare gli standard di qualità e garantire la terzietà dell'attività di revisione;

- rafforzare i controlli e la trasparenza sulle operazioni con parti correlate e sull'uso di società domiciliate nei cosiddetti paradisi fiscali e legali;

- prevedere adeguati standard di correttezza di comportamento per i fornitori della cosiddetta informazione derivata;

- rendere più efficaci i limiti all'emissione di obbligazioni;

- limitare la cessione al pubblico di titoli oggetto di collocamento privato.

L'attesa riforma è previsto riguardi anche profili istituzionali di interesse della Consob (partecipazione al Comitato di coordinamento delle Autorità di settore - facoltà di avvalersi della collaborazione della Guardia di Finanza - potere di irrogazione diretta delle sanzioni amministrativa, ecc. ) nonché nuove competenze in materia di trasparenza sui prodotti bancari, sui prodotti assicurativi e sui fondi pensione.

Il tempo a disposizione non ne consente una analitica esposizione; concludo quindi confermando l'intendimento della Consob di continuare a svolgere i suoi compiti con serena determinazione e con rispettosi intenti nei confronti di tutti coloro che operano nel mercato, consapevole che il mercato ormai è uno e globale e che anche la fiducia va tutelata presso ogni possibile porta di ingresso di comportamenti fraudolenti o anche semplicemente scorretti.

1. OCSE, "Good practices for financial education and awareness", bozza del marzo 2005.

2. Mediobanca-Unioncamere, "Le medie imprese industriali italiane", ottobre 2004, pag. XIV.