IL CONGLOMERATO FINANZIARIO:
IL VALORE DELLA TRASPARENZA

Intervento del Dott. Massimo Tezzon
Direttore Generale CONSOB

Terza edizione del Forum annuale "Il controllo dei mercati finanziari"

Roma, 7 giugno 2002

Negli ultimi anni il sistema finanziario mondiale è stato caratterizzato da ampie trasformazioni che hanno riguardato ad un tempo l'organizzazione dei mercati, la gamma dei prodotti offerti agli investitori e la struttura e le caratteristiche degli intermediari finanziari che vi operano.

Nell'ambito di questa evoluzione, vorrei porre l'accento su alcuni elementi che risultano di particolare importanza, per i cambiamenti che essi hanno determinato all'interno dei mercati e per le relative implicazioni in ambito regolamentare e di vigilanza: mi riferisco alla crescente diffusione di prodotti legati al mercato mobiliare e all'integrazione, nell'ambito di uno stesso soggetto o gruppo, tra questi prodotti e l'attività bancaria ed assicurativa più di tipo "tradizionale", con la conseguente nascita e sviluppo dei cosiddetti conglomerati finanziari.

Queste tendenze hanno evidenziato nuovi obiettivi per le autorità di controllo e di vigilanza, da un lato accrescendo l'opportunità di un'azione più coordinata sia tra autorità diverse all'interno di ogni singolo Paese sia a livello internazionale, dall'altro determinando la necessità di adottare norme (e modelli di vigilanza) che meglio consentano di fronteggiare i nuovi problemi creati dalla crescente integrazione finanziaria e relativi non solo a profili di stabilità ma anche all'intensificazione dei potenziali conflitti di interessi e ad eventuali "asimmetrie" presenti nella regole a tutela degli investitori.

Una parte di queste esigenze vengono affrontate nella recente proposta di Direttiva europea sui conglomerati finanziari, che deve ancora essere approvata dal Parlamento europeo in seconda lettura. Detta Direttiva si riferisce essenzialmente a profili di stabilità, che risultano ovviamente molto importanti per i conglomerati finanziari, e con riguardo ai quali sussistono le esigenze di sviluppare un quadro complessivo della struttura finanziaria di gruppo, di coordinare le informazioni relative alle singole entità che lo compongono e di realizzare una cooperazione tra le autorità di vigilanza sia in ambito nazionale che internazionale.

Tuttavia, la struttura dei conglomerati finanziari e l'offerta, al loro interno, di prodotti di tipo diverso ma in qualche modo sempre più legati ai mercati mobiliari, determina la presenza e la rilevanza di profili di trasparenza informativa e di "correttezza dei comportamenti" degli intermediari che compongono il conglomerato finanziario, che sono altrettanto importanti e in qualche modo complementari rispetto a quelli di stabilità. Il complesso di tali obiettivi può presentare elementi di sovrapposizione o anche di conflittualità tra essi, che richiedono un coordinamento delle regole e dell'attività di vigilanza svolta dalle diverse autorità coinvolte.

Il contenuto del mio intervento riguarderà pertanto, in primo luogo, una descrizione delle tendenze strutturali più rilevanti nell'ambito del sistema finanziario, successivamente verranno evidenziati i profili di criticità che questa evoluzione pone per il mercato, le istituzioni finanziarie che vi operano e le autorità chiamate a vigilare su entrambi e, infine, saranno poste in risalto le principali questioni sollevate in ambito regolamentare e di vigilanza.

Tendenze rilevanti all'interno del sistema finanziario

Vorrei sottolineare in particolare tre importanti tendenze che hanno riguardato il sistema finanziario negli ultimi anni: la crescente offerta di prodotti legati al mercato mobiliare, i quali hanno in buona parte sostituito i prodotti bancari più tradizionali; il peso progressivamente maggiore, all'interno dei bilanci dei gruppi bancari, di attività di risparmio gestito e di investment banking; l'evoluzione verso la creazione e lo sviluppo di ampi conglomerati finanziari, spesso caratterizzati da una diffusa presenza internazionale.

Con riferimento al primo aspetto, si è verificato, nel corso degli ultimi anni, un progressivo processo di "cartolarizzazione" inteso, in senso lato, quale passaggio da prodotti bancari quali depositi e prestiti a prodotti legati al mercato mobiliare. Questo fenomeno ha riguardato soprattutto il nostro continente, che rispetto agli Stati Uniti era in ritardo in quest'ambito: attualmente, nell'area dell'euro la quota di attività finanziarie posseduta dalle famiglie sotto forma di titoli, direttamente o indirettamente, ha largamente superato quella relativa ai depositi bancari. Inoltre, la capitalizzazione di borsa complessiva dei Paesi dell'area dell'euro raggiungeva, alla fine del 2000, il 90 per cento circa del Prodotto interno lordo totale di questi Paesi, rispetto ad una quota del 30 per cento riferita a fine 1995. Infine, il tasso di crescita annuo delle emissioni obbligazionarie da parte di imprese non finanziarie dell'area euro ha superato, nel corso degli ultimi 4 anni, il 20 per cento.

Tale evoluzione è stata accompagnata da una crescente domanda di servizi di investment banking -definiti in senso lato, cioè come complesso di servizi di investimento e di finanza d'impresa - per le banche europee. Queste fanno ormai concorrenza alle grandi investment banksamericane e agiscono quindi anche come banche d'affari a livello globale, oltre che come banche commerciali.

Il secondo aspetto, in qualche modo collegato al primo, ha visto negli ultimi anni la progressiva presenza degli intermediari finanziari, e quindi anche e soprattutto delle banche, all'interno del settore del risparmio gestito e dell' investment banking, visti come settori più redditizi rispetto a quello creditizio più tradizionale e quindi in grado di supplire, tra le voci di reddito dei bilanci bancari, alla riduzione del margine di interesse. In effetti, la quota di reddito non proveniente da interessi è cresciuta, nei bilanci delle banche di Paesi appartenenti all'Unione Europea, dal 30 al 52 per cento nel periodo 1996-2000, ed addirittura a quote pari al 70 per cento per le banche maggiormente presenti nel settore dell'intermediazione mobiliare. Tra le attività non di tipo bancario tradizionale, il risparmio gestito è quello che è stato caratterizzato dallo sviluppo più rilevante, con una crescita della componente più importante, il patrimonio gestito dai fondi comuni, che si è quasi decuplicato, nell'area euro, tra l'inizio degli anni '90 e la fine del 2001. La prevalenza del sistema bancario nell'ambito di questo settore è peraltro confermata dalla quota piuttosto elevata del patrimonio gestito da società di emanazione bancaria, superiore all'80 per cento in ambito europeo e pari addirittura al 94 per cento nel caso italiano.

Si tratta di dati rilevanti ed indicativi di un notevole spostamento dall'attività bancaria tradizionale; tale evoluzione è peraltro completata dal rapido sviluppo di complessi strumenti finanziari, essenzialmente derivati, destinati a ripartire e trasferire sia il rischio di mercato che il rischio di credito, e da tecniche che consentono di trasformare crediti bancari, quali i prestiti ipotecari, in titoli negoziabili, in tal modo costituendo un ulteriore strumento di integrazione e di contatto tra il mercato creditizio e quello mobiliare.

Infine, l'ultima tendenza rilevante all'interno del sistema finanziario è costituita dalla nascita e dalla diffusione di conglomerati finanziari. A questo riguardo, la recente Direttiva, in via di seconda approvazione da parte del Parlamento europeo, ne dà una definizione piuttosto stringente, richiedendo che, affinché un gruppo finanziario possa essere definito un conglomerato, è necessario che esso realizzi una sostanziale integrazione tra attività bancaria, di tipo commerciale e/o di investment banking, ed attività assicurativa mentre, in senso lato, un conglomerato può essere definito come un gruppo o un'istituzione in cui si realizzi un'integrazione tra due delle tre tipologie di "attività finanziarie", e cioè quella bancaria, quella legata alla " securitiesindustry" e quella assicurativa. Comunque venga definita, la tendenza alla "conglomerazione" è stata rilevante negli ultimi anni e, se per gli Stati Uniti è iniziata abbastanza recentemente, favorita dall'introduzione del Gramm-Leach-Bliley Act nel 1999 e dalla conseguente abolizione del Glass-Steagall Act, che aveva sancito la separazione tra attività bancaria e attività legata al mercato mobiliare, in Europa il fenomeno è stato provocato essenzialmente dall'evoluzione del mercato. Con riferimento al nostro continente, è importante rilevare che circa il 30 per cento delle fusioni ed acquisizioni che negli ultimi 5 anni sono avvenute all'interno del settore finanziario dell'area euro hanno coinvolto imprese operanti in diversi comparti (ad esempio, quello bancario e quello assicurativo), e tramite queste operazioni il settore ha inteso modificare il proprio assetto organizzativo per aumentare le proprie dimensioni e cogliere le opportunità offerte dal crescente sviluppo dei mercati mobiliari. Inoltre, importanti tendenza del settore sono state anche la progressiva integrazione tra attività bancaria e attività di gestione di fondi pensione e tra attività finanziaria e attività assicurativa. In particolare, quest'ultima si è concretizzata da un lato nell'accentuazione delle caratteristiche finanziarie dei prodotti offerti dalle compagnie di assicurazione - della quale costituisce riprova il fatto che nel 2001, pur in presenza di una caduta dei mercati azionari, la quota di premi relativa a prodotti assicurativi collegati a fondi o ad indici costituisce più del 50 per cento del totale dei premi raccolti dalle assicurazioni vita -dall'altro nella crescente presenza delle imprese di assicurazione all'interno dell'industria del risparmio gestito.

Con riferimento al nostro Paese, l'evoluzione appena descritta non ha per il momento portato alla creazione di un vasto numero di conglomerati finanziari. Tuttavia, tale numero potrebbe (e dovrebbe) accrescersi notevolmente nei prossimi anni, soprattutto se la tendenza dovesse affermarsi a livello europeo mentre, se osserviamo solo l'ambito dell'attività bancaria, l'integrazione tra attività di commercial bankinge di investment bankingsembra un fatto già largamente avviato.

La tendenza alla conglomerazione è stata realizzata tramite strutture organizzative ritenute, nei singoli casi, come le più adatte; di conseguenza, mentre in alcuni casi si è scelta una struttura che concentrasse, all'interno della banca, sia l'attività creditizia che quella di tipo mobiliare, realizzando dei chinese wallsove necessario, in altri quest'ultima attività è stata affidata ad un'entità distinta nell'ambito del gruppo. Questa seconda soluzione consente di ridurre, almeno in parte, i problemi di conflitti di interessi tra le diverse attività svolte nell'ambito del gruppo, di cui parlerò più diffusamente in seguito.

Infine, un ulteriore fenomeno che ha riguardato il sistema finanziario e che risulta complementare rispetto alla conglomerazione, benché non strettamente dipendente da essa, è la tendenza alla creazione di gruppi di dimensioni più elevate che in passato, ritenuti maggiormente in grado di fronteggiare la concorrenza soprattutto in ambito internazionale. Questa evoluzione è stata, in Europa, notevolmente favorita ed accelerata dall'introduzione dell'euro, come testimonia il fatto che circa il 70 per cento di tutte le fusioni che hanno riguardato il settore finanziario nell'arco degli ultimi 10 anni sono avvenute tra l'inizio del 1999 e la fine del 2001. Anche se una grossa quota di tali operazioni riguardano consolidamenti in ambito nazionale, infatti, essi sembrano rivolti ad acquisire una massa critica tale da operare con maggiore efficacia in un sistema finanziario integrato come quello dell'area euro.

Profili di criticità determinati dall'evoluzione in atto

Le tendenze appena descritte hanno evidenziato alcuni importanti profili di criticità, che spesso richiedono l'individuazione di specifiche soluzioni di tipo regolamentare, o pongono nuove esigenze con riguardo all'esercizio della funzione di vigilanza.

Il primo aspetto è costituito dai potenziali conflitti di interessi dipendenti dalla coesistenza, all'interno della stessa struttura, di attività di banca commerciale, di banca d'investimento e di asset management.Tali conflitti non sono specifici al caso dei conglomerati finanziari, potendo sussistere ad esempio anche nel caso di una banca universale, ma possono risultare di particolare rilevanza per i conglomerati, a causa della maggiore complessità della loro struttura, spesso caratterizzata da una vasta diffusione in vari Paesi. Possono essere individuate al riguardo tre tipologie di conflitti di interessi.

La prima è legata allo svolgimento, da parte di uno stesso intermediario, o di più intermediari dello stesso gruppo, di attività creditizia e di servizi di finanza d'impresa. Infatti lo svolgimento di tali attività, da parte dell'intermediario bancario, nei confronti di uno stesso soggetto, può determinare, nel caso quest'ultimo sia una società quotata o che emette titoli quotati, un comportamento dell'intermediario mirante a salvaguardare la propria posizione creditizia a discapito degli interessi degli investitori che acquistano i titoli della società. Detta situazione risulta ovviamente tanto più rilevante quanto maggiore è l'ammontare del finanziamento creditizio corrisposto dall'intermediario che presta alla stessa servizi di finanza d'impresa. A questo riguardo, considerando come campione di riferimento il gruppo delle società ammesse a quotazione in Borsa e sul Nuovo Mercato nel biennio 2000-2001, oltre la metà di queste, e cioè 33 società complessivamente, erano caratterizzate da rapporti creditizi con lo sponsor o con gli intermediari collocatori, con una quota media sul totale dei finanziamenti pari al 27 per cento e che superava in alcuni casi il 50 per cento.

La seconda tipologia di conflitto di interessi deriva invece dalla "coesistenza", in capo allo stesso soggetto o allo stesso gruppo, di attività di investment bankinge di risparmio gestito. In questo caso, gli intermediari potrebbero indirizzare i fondi dei propri clienti - per il tramite di gestioni patrimoniali individuali e collettive o direttamente nell'ambito dell'attività di negoziazione svolta dall'intermediario in conto terzi - nell'investimento in titoli di società nei confronti delle quali essi svolgono servizi di advisoryo di collocamento, sulla base pertanto di criteri che possono non risultare rispondenti agli interessi dei clienti. Questo tipo di problemi si è rivelato particolarmente attuale nella recente fase di crollo dei prezzi dei cosiddetti titoli tecnologici, quando alcuni intermediari sono stati accusati di dirottare i fondi dei clienti retailverso l'investimento in società che costituivano loro importanti clienti e i cui risultati di bilancio si erano già pesantemente deteriorati.

La terza tipologia di potenziali conflitti di interessi si configura con riferimento alla produzione di studi e analisi sui titoli quotati da parte di soggetti operanti nell'intermediazione finanziaria. Si tratta di un'area di crescente rilevanza considerato il ruolo assunto dagli studi nell'influenzare l'andamento del mercato e nell'indirizzare le scelte di investimento sia degli operatori professionisti e del pubblico. La correttezza e l'indipendenza dell'attività di analisi possono essere condizionate dai conflitti di interessi connaturati alla polifunzionalità dei gruppi cui appartengono i soggetti che producono gli studi. Inoltre l'estensione e la pervasività dei conflitti di interessi crescono con l'estensione e la complessità delle attività e dei servizi offerti dall'intermediario e quindi sicuramente assumono maggiore rilevanza nel caso dei conglomerati finanziari, dove interagiscono attività di gestione del risparmio, di operatività in proprio sul mercato, di fornitura di servizi di finanza aziendale, la cui profittabilità può essere influenzata dall'andamento del mercato sul quale gli studi possono avere un significativo impatto. La rilevanza di tali aspetti è accentuata dalla pressoché totale assenza di soggetti indipendenti che si dedichino alla produzione e diffusione di studi. Considerando i dati del periodo 1998-2000, tra i primi 10 produttori di studi relativi a titoli quotati italiani, 4 soggetti, che hanno prodotto circa un quarto del totale degli studi, appartengono a gruppi polifunzionali che operano in tutti i campi dell'intermediazione finanziaria, 4 soggetti, che hanno prodotto circa il 20 per cento del totale degli studi, appartengono a gruppi caratterizzati dal prevalente svolgimento di attività di merchant bank, e 2 soggetti, che hanno prodotto poco meno del 13% del totale degli studi, sono attivi rispettivamente nella negoziazione di valori mobiliari e nell'attività assicurativa.

Il secondo profilo di criticità è invece legato alla crescente integrazione tra attività finanziaria ed attività assicurativa, che ha portato ad una progressiva attenuazione dei confini tra i due tipi di prodotti e ad una presenza sempre più estesa delle compagnie di assicurazione all'interno dell'industria del risparmio gestito. Queste tendenze assumono una rilevanza particolare nel caso di un conglomerato finanziario, che è in grado di offrire ai propri clienti una più ampia varietà di prodotti e quindi di operare una scelta tra questi sulla base di vari fattori. A questo riguardo, i profili regolamentari possono svolgere un ruolo molto importante, in quanto in caso di elevata omogeneità e sostituibilità dei prodotti la scelta può essere largamente influenzata dall'esistenza di cosiddette "asimmetrie regolamentari", vale a dire dalla presenza di differenze nel livello di trasparenza dei vari prodotti o nei contenuti della vigilanza. Questo aspetto presenta ovviamente delle importanti implicazioni sia a livello di regole applicate ai vari prodotti sia con riferimento al ruolo e all'organizzazione della vigilanza sui mercati finanziari, in ambito nazionale e internazionale.

Un ulteriore elemento di criticità consiste, nel caso in cui una o più delle società che costituiscono il conglomerato finanziario siano quotate, nella tutela degli azionisti di queste ultime. In questo caso, le esigenze di tutela degli investitori, presenti per qualsiasi società quotata, sono rese più intense dalla natura dell'attività svolta dal conglomerato finanziario e dalla complessità della sua struttura, che pongono più rilevanti problemi di disclosure. La protezione degli azionisti può essere pertanto rafforzata da norme di trasparenza quali quelle relative alle risultanze contabili delle società facenti parte del conglomerato, soprattutto su base consolidata, e alle operazioni con parti correlate che avvengono tra queste. Al riguardo, le previsioni della nuova Direttiva europea sui conglomerati finanziari consentono un coordinamento delle informazioni relative ai singoli componenti del conglomerato e fanno esplicito riferimento, seppure tramite la fissazione di regole a carattere generale, alle operazioni con parti correlate. Tali norme contribuiscono a garantire un'adeguata supervisione sul conglomerato stesso e sulle società che ne fanno parte, consentendo alle autorità di vigilanza di pervenire ad un quadro complessivo della stabilità finanziario-patrimoniale di quest'ultimo. Sussiste pertanto l'esigenza di raggiungere un analogo livello di trasparenza informativa, seppur ovviamente non con lo stesso grado di dettaglio, anche nei confronti del mercato.

Principali implicazioni in ambito regolamentare e di vigilanza

Con riguardo ai profili regolamentari, un'importante conseguenza della sottolineata integrazione dei mercati finanziari è costituita dal fatto che regole precedentemente aventi ad oggetto gli intermediari creditizi, riferite soprattutto ad aspetti di stabilità e di tipo prudenziale, sono state estese anche ad altri intermediari non bancari operanti sul mercato mobiliare e, viceversa, alcuni dei principi regolamentari fissati per questi ultimi, in particolare aventi ad oggetto regole di condotta, sono stati estesi al settore creditizio.

Queste estensioni si pongono entrambe l'obiettivo di pervenire ad un più efficiente esercizio della vigilanza. Infatti, da un lato i profili di stabilità, seppur continuino a rimanere più rilevanti per gli intermediari bancari, acquistano importanza anche per gli intermediari mobiliari a causa, tra l'altro, della molteplicità di legami esistenti tra i due tipi di soggetti. D'altronde, i profili di trasparenza e di corretto comportamento sono rilevanti anche per gli intermediari bancari per due ordini di motivi: in primo luogo, svolgendo ormai questi ultimi un'attività largamente orientata al mercato mobiliare, sussistono esigenze di tutela degli investitori che risultano comuni per le due categorie di intermediari; inoltre, un'adeguata normativa relativa a profili di trasparenza e di conduct-of-businessserve anche a garantire che l'intermediario, essendo chiamato ad operare sulla base di determinati criteri a tutela degli investitori e ad informare maggiormente il mercato delle proprie azioni, sia incentivato ad operare in maniera prudente, e questo potrebbe tradursi in una maggiore stabilità del sistema finanziario nel suo complesso.

Tutte queste complesse interrelazioni pongono ovviamente nuovi obiettivi alla vigilanza e richiedono delle risposte regolamentari rapide ed articolate allo stesso tempo.

Con riguardo agli aspetti di stabilità, può ritenersi che la Direttiva sui conglomerati finanziari in via di approvazione consenta di affrontare buona parte delle esigenze appena sottolineate, contribuendo a garantire un coordinamento dei flussi informativi concernenti il conglomerato e a fornire un quadro sufficientemente esaustivo della sua situazione finanziaria.

Quanto invece ai profili di trasparenza e corretto comportamento, che sono ovviamente quelli di maggior interesse per un'istituzione come la Consob, sussiste l'esigenza di pervenire ad una regolamentazione - a livello internazionale ma, per alcuni aspetti, anche nazionale - che consenta di affrontare in modo efficace le nuove problematiche poste dalla crescente integrazione finanziaria e dalla diffusione, presente e soprattutto futura, dei conglomerati finanziari. Infatti, con riguardo ai profili di trasparenza e correttezza, la regolamentazione, in primo luogo a livello di Unione Europea, è ancora piuttosto in ritardo.

Al riguardo, i problemi sul tavolo toccano vari e differenti aspetti. Il primo si riferisce alla definizione dell'assetto regolamentare che consenta di meglio salvaguardare il raggiungimento dei vari obiettivi della vigilanza: stabilità del sistema finanziario, trasparenza e corretto comportamento degli intermediari e, non meno importante, tutela della concorrenza all'interno del settore; questo aspetto tocca dunque principalmente la struttura della vigilanza e la ripartizione di competenze tra Autorità diverse. Il secondo punto, complementare al primo, riguarda la necessità di realizzare un'efficiente cooperazione e scambio di informazioni tra autorità diverse, sia in ciascun ambito nazionale sia a livello internazionale: tale esigenza è rafforzata dal fatto che un'adeguata disclosurepuò favorire, come ho sottolineato prima, oltre che la tutela degli investitori anche la stabilità del sistema finanziario. Vi è infine un terzo punto, non meno importante, che riguarda la natura delle regole poste a tutela degli investitori, e in particolare lo "spazio" che può essere lasciato all'autoregolamentazione rispetto a quello di intervento dell'autorità "pubblica", e la necessità di un'armonizzazione delle regole che tenga conto della crescente integrazione dei sistemi finanziari e della presenza internazionale degli intermediari.

Cominciando da questo terzo aspetto, non vi è dubbio che la tendenza, sviluppatasi negli ultimi anni, verso una maggiore autoregolamentazione all'interno del sistema finanziario abbia avuto degli effetti positivi, in termini di regole più vicine alle esigenze degli operatori del mercato e più rapide e flessibili ad adattarsi alla continua evoluzione dei sistemi finanziari. Tuttavia, questi fattori positivi non devono determinare la tentazione di ridurre in modo eccessivo il ruolo delle autorità pubbliche, fino a renderlo marginale. Infatti, la presenza pubblica è caratterizzata da alcuni elementi di peculiarità che la rendono necessaria, benché possa risultare opportuno limitarne l'azione agli ambiti per i quali vi sia l'esigenza di assumere determinate posizioni o di lanciare segnali forti al mercato. Questi elementi di peculiarità sono rappresentati in primo luogo dal fatto che, come alcune recenti vicende hanno dimostrato, non sempre l'autoregolamentazione è in grado di rimanere immune dall'influenza di interessi particolari presenti all'interno dei vari settori, e spesso non coincidenti con quelli degli investitori; in secondo luogo, dall'esistenza di una visione più globale che inevitabilmente caratterizza l'azione dell'autorità di vigilanza e che rende quest'ultima maggiormente capace di percepire gli effetti, a livello di sistema, di singole azioni e comportamenti.

Sempre con riferimento alla tipologia di regole da adottare, la presenza di conglomerati finanziari in grado di offrire prodotti di natura diversa, ma spesso caratterizzati da notevoli elementi di omogeneità, rende maggiormente urgente l'individuazione di regole che consentano di raggiungere un livello di disclosureomogeneo, o almeno rispondente a criteri minimi comuni, per prodotti finanziari che presentano un elevato grado di sostituibilità. Questo obiettivo dovrebbe essere raggiunto in primo luogo in ambito di Unione Europea, o tramite la fissazione di norme che definiscano in modo esaustivo il concetto di "strumento finanziario" - includendo in tale definizione tutti i prodotti che presentano determinate caratteristiche, indipendentemente dalla natura del soggetto che li offre e dal canale distributivo con cui vengono offerti - o, come soluzione minimale, tramite un coordinamento delle varie normative settoriali che consenta comunque di pervenire ad un livello minimo di disclosureomogeneo.

Il secondo aspetto riguarda, invece, l'organizzazione della vigilanza, e in particolare la necessità di pervenire ad un assetto che consenta di trovare un efficiente equilibrio tra i suoi diversi obiettivi. Questi devono in primo luogo essere adeguatamente individuati e definiti. Si devono poi attribuire le relative responsabilità e le necessarie forme di coordinamento che valorizzino la complementarietà tra gli obiettivi e le diverse esperienze e professionalità. Come è noto, a questi problemi sono state trovate diverse soluzioni, e l'esperienza recente mostra una vivace dinamica nella definizione dell'architettura dei controlli e delle autorità investite delle diverse responsabilità.

Le soluzioni adottate possono essere essenzialmente ricondotte a due schemi: il primo, sul modello della FSA inglese, prevede l'attribuzione ad un'unica autorità sia delle competenze in materia di stabilità degli intermediari, di tipo microeconomico, sia di trasparenza e correttezza; il secondo prevede invece l'attribuzione a più di un'autorità delle diverse competenze, sulla base degli obiettivi di vigilanza individuati. Quest'ultimo è il modello adottato anche in Italia per l'intermediazione mobiliare, che attribuisce alla Banca d'Italia le competenze di vigilanza in materia di stabilità e alla Consob quelle relative a trasparenza e correttezza. A tale riguardo, probabilmente non esiste una struttura ottimale ed è necessario tener conto sia delle specificità nazionali, legate alla storia e alla struttura dei mercati proprie di ogni singolo paese sia, dinamicamente, dell'evoluzione delle caratteristiche e delle modalità che definiscono gli assetti dei mercati.

Inoltre, accanto alle finalità della regolamentazione appena evidenziate, occorre considerare che una crescente importanza assume l'obiettivo più generale della tutela della concorrenza, come condizione per garantire l'efficienza del mercato e la tutela dei "consumatori" dei servizi finanziari. L'importanza di tale obiettivo viene enfatizzata dalla tendenza alla concentrazione che accompagna l'evoluzione del settore dell'intermediazione finanziaria, soprattutto attraverso la creazione di conglomerati che operano sull'intero spettro dell'attività di intermediazione. Una motivazione importante che sottende i processi di concentrazione su base multisettoriale è infatti quella di aumentare il potere di mercato del conglomerato, creando strutture di mercato più vulnerabili alle pressioni monopolistiche. In tale quadro cresce il rischio di politiche predatorie a danno dei consumatori di servizi finanziari, non solo attraverso un aumento dei prezzi dei servizi ma anche attraverso il possibile razionamento dei servizi offerti o, ancora, attraverso l'offerta forzata di "pacchetti" integrati di servizi che non necessariamente rispondono alla domanda potenziale dei consumatori.

Non è quindi da sottovalutare il ruolo disciplinante che una adeguata disciplina della concorrenza nel settore dell'intermediazione finanziaria può avere, attraverso regole di controllo sulla struttura dei mercati e, a livello di impresa, attraverso norme in materia di concentrazioni, intese e abuso di posizioni dominanti. Tale complesso di regole può infatti svolgere un ruolo complementare a quelle di stabilità e di correttezza, favorendo la funzione disciplinante della competizione di mercato sui comportamenti dei gruppi finanziari polifunzionali.

La progressiva integrazione dei mercati rappresenta, pertanto, al contempo una sfida e un'opportunità per ridefinire il disegno complessivo della regolamentazione.

Infatti, la presenza di prodotti offerti da soggetti diversi, ma potenzialmente simili in termini di caratteristiche, determina, oltre all'esigenza già sottolineata di disporre di un livello minimo di regole di disclosure, anche quella di garantire che, sia all'interno di ogni singolo Paese che in ambito internazionale, non sussistano delle asimmetrie dipendenti da un diverso esercizio della vigilanza in materia di correttezza e trasparenza su prodotti finanziari simili. Questo obiettivo può essere raggiunto o garantendo che la vigilanza relativa a tali aspetti venga svolta con criteri il più possibile omogenei all'interno di ogni Paese, o prevedendo che essa venga svolta da un'unica entità, indipendentemente dalla natura del soggetto da cui i prodotti finanziari vengono offerti.

L'ultimo aspetto, ma sicuramente non il meno importante, in materia regolamentare riguarda la necessità di rafforzare e di rendere più sistematica l'attività di cooperazione e di scambio di informazioni tra autorità di vigilanza. Tale fattore risulta complementare rispetto alla definizione di un soddisfacente assetto della vigilanza ed è particolarmente rilevante nel caso dei conglomerati finanziari. Infatti, in un contesto in cui vi è una presenza internazionale degli operatori e una molteplicità di autorità, sia per Paese sia per soggetti o obiettivi diversi, la possibilità di realizzare una cooperazione basata su un continuo scambio di informazioni risulta fondamentale. Tale organizzazione della vigilanza presenta inoltre l'elemento positivo di salvaguardare il ruolo delle autorità nazionali - spesso più efficace in quanto caratterizzato da una maggiore "vicinanza" con le situazioni dei singoli intermediari - garantendo nel contempo un certo livello di coordinamento. Infine, la cooperazione e lo scambio di informazioni risulta rilevante anche a causa delle interrelazioni, più volte in precedenza sottolineate, tra sistema bancario e securirities industrye, di conseguenza, della crescente possibilità che regole in materia di stabilità microeconomica degli intermediari e in materia di trasparenza e corretto comportamento degli stessi concorrano insieme al raggiungimento di una maggiore stabilità (macroeconomica) del sistema finanziario nel suo complesso. A questo riguardo, l'istituzione, nel 1999, del Financial Stability Forum, dove collaborano le tre diverse organizzazioni internazionali dei supervisorsa livello bancario, assicurativo e dei mercati dei capitali, insieme con i rappresentanti dei ministri delle finanze e delle banche centrali dei maggiori Paesi, nonché di alcune organizzazioni finanziarie internazionali, si pone proprio questo obiettivo.

L'attuazione di una maggiore e più efficiente cooperazione intersettoriale a livello globale dovrebbe pertanto costituire una delle risposte regolamentari più importanti all'evoluzione verso una maggiore integrazione e globalizzazione dei mercati finanziari.