IAS/IFRS:
LA MODERNIZZAZIONE
DEL DIRITTO CONTABILE
IN ITALIA
Intervento del
Direttore Generale della Consob
dr. Massimo Tezzon
ABI – Roma, 23 e 24 novembre 2006
1. C’era convergenza tra i padri del pensiero contabile italiano sul fatto che i principi contabili da seguire nella redazione dei bilanci fossero la sintesi di una serie di fattori fortemente radicati nella storia, nella cultura e nelle condizioni economiche del nostro Paese. L’elaborazione delle regole, pure attenta alle evoluzioni internazionali, doveva pertanto essere necessariamente affidata al legislatore nazionale.
La legge n. 216 del 1974 storicamente rappresenta l’ultimo prodotto di questo pensiero, un prodotto che associò in un unico testo legislativo la riforma delle norme sul bilancio d’esercizio delle imprese, l’istituzione della Consob e le regole sulla trasparenza dell’informazione societaria, corollario indispensabile per l’efficienza dei mercati finanziari.
Tutto ciò accadeva 32 anni fa. Un intervallo temporale non eccessivamente lungo per gli accadimenti della vita umana, un’altra epoca se compariamo questi principi con l’attuale quadro normativo di riferimento.
Credo che, per affrontare correttamente i problemi con i quali oggi ci confrontiamo, sia utile ripercorrere brevissimamente alcune fondamentali tappe che ci hanno portato ad accettare e, in alcune circostanze, anche a supportare una così forte discontinuità di pensiero.
Il recepimento della IV e della VII direttiva comunitaria rappresenta il primo evento che scuote lo status quo imponendoci, per la prima volta, di applicare regole contabili elaborate in sede internazionale. L’obiettivo del legislatore europeo era quello di favorire la circolazione dei capitali sul territorio dell’Unione europea attraverso anche l’uniformità del linguaggio contabile delle imprese.
Ricordo che il recepimento nel nostro ordinamento di quelle direttive non fu rapidissimo. Esso fu preceduto da un dibattito accademico, politico e legislativo durato oltre un decennio. Tuttavia, le direttive avevano visto la netta prevalenza dei principi giuridici della civil law dell’Europa continentale su quelli di common law dei paesi anglosassoni, e questo rese non particolarmente problematica la prima applicazione delle nuove regole contabili da parte delle imprese nazionali.
Ciò che invece sorprese fu la grande accelerazione che, proprio nei primi anni novanta, subì il processo di integrazione dei mercati, con il forte coinvolgimento degli Stati Uniti e di altri importanti Paesi extra europei. Si pose con forza la necessità che le informazioni contabili fornite dalle imprese fossero comparabili e di elevata qualità rispetto ad un area ben più vasta del territorio europeo.
Aveva infatti creato particolare clamore il caso avvenuto nel 1993 che vide coinvolta la società tedesca Daimler-Benz. Essa per essere quotata sui mercati statunitensi aveva dovuto riconciliare il proprio bilancio con i principi contabili US GAAP. Ne era derivata una perdita di 1.839 milioni di marchi contro un utile di 615 milioni di marchi calcolato secondo le regole comunitarie.
Lo sconcerto tra gli investitori fu grande.
Il governo tedesco, tramite suoi rappresentanti, sollecitò la IOSCO (International Organization of Securities Commissions) affinché fosse avviato un processo di armonizzazione delle regole contabili per favorire il movimento dei capitali sui mercati internazionali.
Così, mentre in Italia come in altri paesi europei era ancora in corso il lavoro di adattamento delle nuove regole contabili in applicazione delle direttive, si stava contemporaneamente avviando un processo evolutivo che metteva in discussione alcuni degli assunti fondamentali delle stesse norme comunitarie. Si pensi, in particolare, al principio del costo storico e al divieto di consolidare attività dissimili.
Ciò che certamente emergeva in tutta la sua evidenza fu l’inadeguatezza delle regole europee a soddisfare una delle esigenze fondamentali degli investitori istituzionali, quella cioè di estrarre dai bilanci il valore delle imprese, con i minori costi possibili.
In sede IOSCO si decise di individuare negli IAS/IFRS (International Accounting Standard/International Financial Reporting Standard) il corpo di regole cui fare riferimento per raggiungere in tempi relativamente brevi un sufficiente grado di armonizzazione.
Lo IASC International Accounting Standards Committee (ora IASB – International Accounting Standard Board) fu incaricato di avviare un processo di revisione degli standard esistenti per ottenere la convergenza necessaria rispetto agli US GAAP ed evitare così le costose e fuorvianti riconciliazione dei conti imposti alle imprese che volevano approdare ai listini statunitensi.
La revisione non è stata facile.
All’epoca alcuni commentatori definivano gli IASIAS/IFRS un inventario delle prassi contabili per misurare e rappresentare le grandezze economiche dei bilanci. Si è trattato pertanto di fare scelte univoche dei trattamenti contabili, indispensabili per un’ efficace comparazione dei risultati economici, patrimoniali e finanziari delle imprese.
Nel 2000 la IOSCO ha approvato una risoluzione con la quale ha raccomandato alle Autorità di controllo dei mercati finanziari, sia europee che extra europee, di permettere alle società con strumenti finanziari negoziati contemporaneamente nei mercati di diversi Stati, di utilizzare, nella redazione dei prospetti informativi e nei bilanci, gli IASIAS/IFRS.
In ambito europeo il processo di armonizzazione ha comportato l’emanazione del Regolamento comunitario n. 1606/2002 che ha previsto l’obbligo per le società quotate di redigere i conti consolidati secondo i principi contabili internazionali IAS/IFRS a decorrere dal 1° gennaio 2005.
Pertanto una scelta legislativa importante volta ad imporre l’uso di principi contabili internazionalmente accettati, elaborati da un organismo non comunitario e sovranazionale, per favorire la negoziabilità delle imprese e le business combination transfrontaliere attraverso un linguaggio contabile più attento alle esigenze degli investitori internazionali.
Tuttavia è bene sottolineare che, nonostante gli sforzi, l’obiettivo primario di pervenire ad una reale convergenza con le regole statunitensi non è stato ancora raggiunto. Il confronto è ancora aperto.
In un recente Memorandum of Understanding del febbraio del 2006 lo IASB e il FASB hanno definito un percorso per la convergenza, la c.d. roadmap.
I profili problematici, ancora in essere, possono essere suddivisi in due categorie.
Quelli che registrano un grado di divergenza risolvibile nel breve periodo apportando modifiche agli standard esistenti. Ad esempio borrowing cost, impairment test, income tax, joint ventures, segment reporting.
Quelli che, al contrario, richiedendo l’emanazione di nuovi standard, vedono una possibile soluzione in un periodo più lungo, la cui conclusione è prevista per il 2009. Si tratta infatti di divergenze su concetti basilari, difficilmente superabili con semplici modifiche agli standard. Essi riguardano 11 principi tra i quali: business combination, consolidation, ecc.
E’ interessante notare che questo ritardo ha portato alcuni, in una recente conferenza annuale di esperti tenutasi a Londra, a sollevare, addirittura, delle perplessità sulla convenienza ad affrontare i costi connessi a tale sforzo di convergenza. Non si può escludere che su tale opinione possa avere influito la minore propensione delle imprese europee a quotarsi nei mercati statunitensi.
Continuiamo comunque a ritenere che l’obiettivo di eliminare le riconciliazioni dei conti resti di primario interesse per le Autorità di controllo dei mercati.
2. L’U.E. per imporre l’uso degli IAS/IFRS è intervenuta sul piano regolamentare prevedendo particolari cautele volte ad evitare forti contrasti con i postulati basilari delle direttive contabili.
Il rRegolamento n. 1606/2002 stabilisce che i principi contabili internazionali possono essere adottati solo se:
Il regolamento prevede due livelli di valutazione dei principi contabili internazionali ai fini della loro adozione:
Dopo aver imposto per legge l’uso degli IAS/IFRS ad una parte delle imprese europee, ancorché le più importanti e solo per il bilancio consolidato, non poteva essere trascurato il problema del sensibile divario con le regole contabili applicate dalle altre imprese europee.
Se da un lato, infatti, l’adozione dei principi contabili internazionali ha creato più omogeneità tra le società presenti sui mercati finanziari, problematica ne è derivata la comparazione tra imprese quotate e non, ma comunque appartenenti ai medesimi settori di attività.
La Commissione europea è intervenuta emanando due direttive: la direttiva 2001/65 cosiddetta direttiva fair value e la direttiva 2003/51 che ha attuato la modernizzazione delle direttive contabili.
La prima è stata emanata per consentire la valutazione degli strumenti finanziari detenuti per scopo di negoziazione o disponibili per la vendita non più al costo storico ma al fair value. La direttiva è stata recepita nel nostro ordinamento con il d.lgs n. 394 del 30.12.2003, ma limitatamente all’informativa da inserire nella nota integrativea e nella relazione sulla gestione.
La seconda si pone obiettivi di più largo respiro cercando di stabilire condizioni di maggiore omogeneità tra le imprese sia che adottino o meno i principi contabili internazionali.
Tra le principali novità introdotte si richiama:
E’ stata, inoltre, ampliata l’informativa da fornire nella relazione sulla gestione (ad esempio principali rischi e incertezze della società).
Tale direttiva dovrebbe essere recepita in Italia entro il novembre 2006. La legge delega non contiene tuttavia alcuna indicazione sui criteri da adottare per il recepimento di tale direttiva.
E’ pertanto demandato al legislatore di definire la portata delle modifiche da apportare all’attuale disciplina nazionale, adottando scelte più o meno innovative.
Credo che sia importante ed urgente ridare al sistema delle regole contabili un assetto più armonico. Distinzioni possono esserci in relazione alla tipologia dell’attività esercitata dalle imprese o alle loro caratteristiche dimensionali.
Ma i postulati di base devono essere uniformi, altrimenti gli effetti distorsivi rischiano di provocare un impatto rilevante anche in temi economici più generali. E’ un problema che il legislatore nazionale non deve sottovalutare.
Le conseguenze negative potrebbe essere di vario genere. Basti pensare, ad esempio, alle difficoltà che le imprese quotate incontrano nel valutare le partecipazioni possedute in imprese collegate non soggette all’obbligo di redazione dei bilanci secondo gli IAS/IFRS.
Ancora più problematica si profila l’attuazione delle disposizioni dettate dall’Accordo di Basilea 2 che richiede alle banche di attribuire un rating ai soggetti affidati. La redazione dei bilanci secondo regole contabili molto diverse rende ardua una comparazione delle informazioni disponibili.
3. A differenza di quanto accaduto nella fase di transizione dalle preesistenti norme codicistiche a quelle previste dalle direttive comunitarie IV e VII, l’applicazione dei principi contabili internazionali ha richiesto agli emittenti un notevole impegno di riconversione dei sistemi contabili e di adattamento delle procedure interne per la redazione ed il controllo dei conti.
Da un primo esame dei conti al 31 dicembre 2005 delle società quotate sembra potersi esprimere un giudizio complessivamente positivo.
Le problematiche presentate dagli emittenti e dai revisori dei conti alla Consob mostrano che il livello di approfondimento delle nuove regole, per un loro corretto utilizzo, è stato apprezzabile. Altrettanto positivo è il giudizio sulla trasparenza che il processo di transizione ha avuto in termini di informazioni per il mercato. Come noto nel corso del 2005 la Consob aveva emanato specifiche disposizioni a questo riguardo.
Farò brevemente cenno alle questioni di maggiore rilievo che si sono poste in questa prima fase.
Un problema di particolare delicatezza si è presentato in relazione a quanto previsto dallo IAS 27 (Consolidated and Separate Financial Statement) circa il controllo di fatto delle partecipazioni soprattutto con riferimento alla possibilità o meno di includere queste partecipazioni nell’area del consolidamento.
Secondo una prima interpretazione questa possibilità era stata esclusa.
Solo la maggioranza azionaria assoluta o l’esistenza di accordi o regole statutarie che conferiscono il controllo di diritto avrebbe, secondo alcuni, consentito il consolidamento della partecipazione.
Questa interpretazione avrebbe rappresentato una forte discontinuità con le rappresentazioni contabili precedenti anche di importanti emittenti italiani, i quali, in forza del dettato della VII Direttiva e della legge nazionale di recepimento, avevano incluso nell’area del consolidamento anche lae partecipazioni sottoposte ad influenza dominante.
Il problema, tra l’altro, era stato sottovalutato anche in sede di vaglio comunitario dei principi contabili internazionali.
Risolutiva sul punto è stata la decisione che il Board dello IASB ha assunto nell’ottobre 2005 chiarendo che lo IAS 27 contempla il controllo di fatto.
Più in dettaglio, il Board ha affermato che il controllo è esercitato dall’azionista di minoranza se le azioni della società posseduta sono disperse e gli azionisti non si sono organizzati al fine di esercitare più voti di quelli detenuti dall’azionista di minoranza.
Il Board ha anche riconosciuto che i redattori del bilancio devono far uso del proprio giudizio per valutare se si è in presenza di un controllo di fatto. A tale fine, sempre secondo il Board, sarebbe utile che lo IAS 27 includesse una guida per assistere i redattori del bilancio nelle valutazioni in merito alla verifica dell’esistenza di tale controllo. Senza tale guida c’è il grande rischio che due entità, nelle medesime circostanze, raggiungano differenti conclusioni sull’esistenza del controllo di fatto. Inoltre, differenti applicazioni sono influenzate dalla prassi e dalla normativa utilizzata prima dell’applicazione degli IFRS.
Il Board tuttavia non ha ritenuto di apportare immediatamente delle modifiche all’attuale IAS 27 per definire il controllo di fatto, ma ha preferito intraprendere una riflessione completa su tutte le implicazioni del controllo. Tale orientamento, secondo quanto affermato dallo stesso Board, implica che, fino al completamento del progetto relativo alla definizione di controllo, possono persistere differenze nella modalità in cui lo IAS 27 è applicato.
Altro profilo problematico che si sta cercando di affrontare sono gli effetti connessi all’utilizzo dei principi contabili internazionali nella redazione dei bilanci individuali delle imprese.
E’ noto che tale utilizzo era un’opzione lasciata dall’U.E. agli Stati membri.
La scelta del nostro legislatore, condivisibile per molti aspetti ma non diffusa a livello europeo, è stata quella di imporre alle società, tenute alla redazione dei conti consolidati secondo i principi contabili internazionali, di redigere anche i bilanci d’esercizio secondo i medesimi principi.
Questa scelta legislativa ha comportato, come naturale corollario, ulteriori interventi normativi di adattamento soprattutto in materia di distribuzione di utili.
L’abbandono del criterio del costo come principio cardine delle valutazioni di bilancio ed il più diffuso utilizzo del valore di mercato o del valore equo richiesto dagli IAS, comporta, come abbondantemente dibattuto anche in sede internazionale, una maggiore volatilità dei risultati, poiché si indebolisce il legame tra risultato economico e sua manifestazione finanziaria.
Tuttavia, poiché la distribuzione degli utili si fonda, nel nostro sistema, sul bilancio d’esercizio, il d.lgs 38/2005 ha previsto delle cautele nella distribuzione degli utili e nell’utilizzabilità delle riserve.
Per la redazione dei conti annuali secondo gli IAS/IFRS altri problemi si affacciano all’orizzonte sul piano applicativo.
Ci si riferisce in particolare alle operazioni di business combination poste in essere tra soggetti sotto comune controllo. Ad esempio fusioni, conferimenti, ecc.
La questione si pone in quanto gli IAS/IFRS non disciplinino espressamente il trattamento contabile di queste operazioni, ancorché lo IAS 8 (Accounting Policies, Changes in Accounting Estimates and Errors) enunci il generale principio che, in assenza di una regola specifica, una determinata operazione deve essere contabilizzata in modo da rispettare sempre i postulati di base definiti dal framework e, primo fra tutti, di dare prevalenza alla sostanza economica e non alla mera forma legale.
Il che porterebbe a dire che quando da una aggregazione tra soggetti sotto comune controllo non ci si attende una modificazione dei flussi di cassa futuri rispetto alla situazione precedente, gli assetts devono essere contabilizzati al book value secondo il principio della continuità dei valori.
E’ di tutta evidenza l’impatto che l’uso di tale principio può avere sui bilanci individuali e in particolare sulla determinazione del patrimonio netto.
Data la rilevanza del tema, la Consob sta intrattenendo con le altre Autorità di vigilanza e con le principali associazioni di categoria un ampio dibattito al fine di individuare una posizione comune e condivisa.
4. Ancora legato all’obbligo di utilizzare i principi contabili internazionali nei conti individuali è il necessario coordinamento con la disciplina fiscale del reddito di impresa.
Era evidente infatti che un sistema normativo tributario, estremamente sensibile a plusvalori anche non realizzati e del tutto insensibile a minusvalori non corrispondenti a perdite accertate, mal si sarebbe conciliato con i postulati dei principi contabili internazionali che, avendo riguardo soprattutto ai conti consolidati, trascurano i problemi di interferenza fiscale lasciandone la soluzione alle singole discipline nazionali.
Il nostro legislatore, attraverso il d.lgs 38/2005 ha operato una serie di interventi che potremmo definire di primo momento volti a sterilizzare l’effetto dell’ampliamento della base imponibile che potrebbe derivare dalle nuove norme contabili.
Il decreto ha, tuttavia, apportato modifiche a singole specifiche norme di valutazione di bilancio da applicare in sede di dichiarazione dei redditi senza operare scelte di portata più generale.
Ciò che si intende dire è che l’approccio seguito dal legislatore implica necessariamente da parte dell’amministrazione finanziaria il monitoraggio continuo del processo elaborativo dei nuovi IAS/IFRS e della bozza dei nuovi principi contabili in discussione.
Questo approccio postula, da un lato, la massima tempestività nell’intervento di adattamento della normativa fiscale in presenza di nuovi principi contabili internazionali e, dall’altro, massima attenzione agli effetti sui bilanci redatti secondo gli IAS/IFRS quando si introducono novità nella legislazione tributaria nazionale.
Ad esempio, proprio relativamente a questo ultimo aspetto, sono emersi problemi di coordinamento in occasione della recente legge di rivalutazione monetaria emanata nel 2005.
In via interpretativa, con il consenso delle altre Autorità di vigilanza e degli Aauditors, si è concluso che i maggiori valori rispetto ai costi storici fossero ammissibili, per gli emittenti tenuti a redigere i conti secondo i principi contabili internazioni, solo se questi ultimi consentissero la rivalutazione. Vale a dire nei seguenti casi:
- se l’impresa adotta sistematicamente il fair value come metodologia di valutazione (es. gli strumenti finanziari dello IAS 39 o gli immobili dello IAS 16);
- nei limiti previsti dal IFRS 1 (First-time Adoption of International Financial Standards) relativo alla transizione ai principi contabili internazionali che permette in alcuni casi di utilizzare il fair value di alcune attività in sostituzione al costo storico.
La rivalutazione, pertanto, si è ritenuta inammissibile per le attività immateriali che non abbiano un mercato attivo in cui le stesse possono essere negoziate. Ciò ha determinato uno svantaggio per le società che avevano deciso di passare agli IASIAS/IFRS nel bilancio individuale del 2005 e che avevano tra i propri attivi beni immateriali che, secondo le nuove regole, risultavano non rivalutabili.
E’ prevedibile che situazioni analoghe siano destinate a ripetersi in futuro con la prospettiva di assistere ancora a rincorse affannose per evitare dannose divergenze tra base imponibile e risultato d’esercizio.
Una possibile soluzione potrebbe essere quella di operare scelte più nette da parte del legislatore nazionale e, alternativamente:
5. L’individuazione dei principi contabili internazionali emanati dallo IASB quale corpo di regole da seguire nella redazione dei bilanci degli emittenti quotati non poteva non avere effetto sulle modalità di esercizio dell’attività di enforcement.
E questo, ovviamente, sia a livello internazionale che a livello domestico.
E’ infatti ormai opinione diffusa e condivisa che l’effettiva armonizzazione deve essere raggiunta non soltanto sul piano delle regole, ma anche su quello della loro uniforme applicazione.
A questo riguardo il CESR (Committee of European Securities Regulators), in qualità di organo consultivo della Commissione Europea, ha ritenuto opportuno emanare 2due standard afferenti l’enforcement dell’informazione finanziaria.
Il primo detta 21 principi generali e tra questi meritano di essere menzionati i seguenti:
Lo Standard n° 2 è dedicato al coordinamento delle attività di enforcement a livello europeo. In sintesi i punti chiave di questo documento stabiliscono che:
Il data- base del CESR è operativo da circa un anno.
I casi più ricorrenti sono riconducibili alla problematica connessa al coordinamento delle disposizioni contenute nei diversi principi contabili internazionali. Interessante, a tale proposito, è quanto dichiarato rappresentato dall’IFRIC (International Financial Reporting Interpretations Committee) appositamente interpellato dal CESR. L’IFRIC ha affermato che gli standard non sono sufficientemente coordinati tra loro essendo stati emanati lungo un arco temporale anche molto ampio.
Il redattore del bilancio pertanto dovrà individuare preliminarmente lo standard di riferimento applicabile alla fattispecie in esame e applicare tale standard senza procedere a comparazioni con altre disposizioni di standard diversi.
Il parere rilasciato L’orientamento espresso dall’IFRIC vale a confermare che la fase di prima applicazione degli IAS/IFRC non è agevole. Differenti, possibili interpretazioni possono dare luogo a forti discontinuità nelle rappresentazioni contabili. La stessa comparabilità dell’informazione rischia di essere compromessa con grave pregiudizio per l’efficienza dei mercati.
In questa fase di transizione, l’attività di enforcement della Consob non poteva, pertanto, non risentire del contesto internazionale appena tratteggiato che, come si è visto, si caratterizza a livello europeo per l’assunzione di specifiche e strutturate iniziative di coordinamento tra autorità di vigilanza dei mercati e, per quanto riguarda più direttamente lo IASB, nella chiara prefigurazione di un impegnativo lavoro di interpretazione ed integrazione delle regole contabili.
Tra l’altro si consideri che la Consob, rispetto alle omologhe aAutorità europee, dispone per legge di poteri particolarmente pregnanti in materia di correttezza contabile.
L’orientamento assunto, pertanto, è stato quello di affrontare in modo pragmatico i problemi applicativi offrendo un tavolo di approfondimento e discussione dei problemi più rilevanti. Alcuni casi verranno a breve anche sottoposti all’esame congiunto in sede CESR.
Una prima sensazione che si ricava da questo primo impatto è che l’area della discrezionalità dei redattori del bilancio si è ridotta. I principi contabili internazionali intervengono anche sulle metodologie procedurali di misurazione dei fenomeni. Si pensi ad esempio allo IAS 36 (Impairment of Assets) relativo alle perdite durevoli di valore.
Dal che, in via del tutto astratta, la correttezza contabile potrebbe essere messa in gioco non solo dal risultato di una valutazione ma anche dalla correttezza della metodologia che si è seguita per quantificare quella valutazione.
E’ evidente che nell’incertezza di una prassi applicativa sufficientemente consolidata a livello internazionale, occorre evitare svantaggi competitivi degli emittenti quotati italiani.
* * *
Vorrei concludere questo intervento con una riflessione ed un invito.
Non v’è dubbio che la regolamentazione contabile relativa ai market players, vale a dire gli emittenti quotati, le banche e le assicurazioni, non è più di competenza del legislatore nazionale né di quello europeo.
Essa è affidata all’opera di un organismo internazionale, lo IASB, che con il contributo attivo degli standard setter nazionali, dei preparatori, degli utilizzatori e dei revisori dei bilanci, e con la partecipazione delle aAutorità di controllo dei mercati, predispone i principi contabili di generale accettazione.
Allo stesso IASB, attraverso l’opera dell’IFRIC, è affidata la responsabilità dell’interpretazione autentica delle regole, interpretazione indispensabile nella pratica attuazione degli standard.
A livello europeo questi principi vengono valutati in ordine alla loro compatibilità con i postulati generali delle direttive contabili e quindi, per atto normativo, imposti agli emittenti.
Definito in tal modo lo scenario all’interno del quale ci muoviamo, mi sembra fuori discussione che la partecipazione alle varie sedi internazionali sia un fattore cruciale. Le legittime specificità del nostro Paese rischiano altrimenti di essere totalmente trascurate così come risulta difficile rappresentare il nostro pensiero in materia contabile che pur vanta tradizioni storiche di assoluto valore.
L’invito è pertanto quello di operare uno sforzo congiunto per risolvere questa criticità.
Le Autorità governative e di vigilanza hanno fatto e continueranno ad impegnarsi, nei limiti del possibile, per assicurare una presenza attiva. Gli emittenti, gli utilizzatori e i revisori devono considerare il loro contributo a questo problema come un investimento e non come un costo sia rafforzando l’azione dello standard setter nazionale, che in questo momento si identifica nell’OIC (Organismo Italiano per la Contabilità), sia fornendo una diretta e qualificata partecipazione.