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Rapporto 2016 sulle scelte di investimento delle famiglie italiane
Le scelte di investimento delle famiglie italiane

 

RAPPORTO 2016

Ricchezza e risparmio delle famiglie nell'area euro
Negli ultimi anni, la ricchezza netta delle famiglie dell'Eurozona è aumentata (+3,2% nel 2015), mentre è rimasta sostanzialmente invariata in Italia (+0,4% circa nel 2015), dove l'aumento delle attività finanziarie (+5,2%) è stato controbilanciato dalla riduzione delle attività reali (-3%; Figure 1.1). Nell'area euro, il rafforzamento della situazione economica delle famiglie (testimoniato a partire dal 2013 dalla ripresa dell'occupazione e dall'aumento del reddito disponibile; Figure 1.2) è andato di pari passo con il costante miglioramento del sentiment degli operatori e il graduale ritorno del tasso di risparmio sui livelli pre-crisi (13%). In Italia, pur mostrando un andamento analogo a quello dell'Eurozona, il tasso di risparmio resta molto al di sotto dei valori di lungo periodo, segnando un divario crescente rispetto alla media europea (rispettivamente, circa il 10% e il 13% a fine 2015; Figure 1.3). Una maggiore percezione del rischio e un minore interesse per gli investimenti finanziari continuano a orientare le preferenze delle famiglie verso prodotti liquidi (circolante e depositi), prodotti assicurativi e fondi pensione, a fronte di una contrazione del peso di azioni e obbligazioni. Un andamento simile si registra anche in Italia, dove i fondi comuni hanno tuttavia sperimentato un netto recupero (Figure 1.4). Per quanto riguarda le passività finanziarie, nell'Eurozona la posizione delle famiglie è rimasta solida, come emerge anche dalla leggera diminuzione, a partire dal 2013, dell'incidenza del debito sia sulle attività finanziarie sia sul Pil (rispettivamente, 32% e 61% a fine 2015). I dati per l'Italia rimangono stabilmente inferiori alla media dell'area euro (attestandosi, rispettivamente, a 23% e 43% nel 2015), malgrado il differenziale si sia ridotto nel corso degli ultimi anni (Figure 1.5). I prestiti bancari alle famiglie, dopo la significativa contrazione negli anni precedenti, mostrano graduali segnali di ripresa a partire dalla fine del 2014, grazie al contributo positivo sia dell'offerta sia della domanda (Figure 1.6 e Figure 1.7) e alla costante diminuzione dei tassi sui prestiti bancari (Figure 1.8).

Conoscenze finanziarie e tratti comportamentali
Il Rapporto 2016 conferma il basso livello di conoscenze finanziarie delle famiglie italiane. Solo poco più del 40% degli intervistati è in grado di definire correttamente alcune nozioni di base, quali inflazione e rapporto fra rischio e rendimento; concetti più sofisticati riguardanti le caratteristiche dei prodotti più diffusi registrano percentuali anche inferiori (fino all'11%; Figure 2.1). Il livello di conoscenze finanziarie, omogeneo tra generi, è più elevato per i soggetti più istruiti e i residenti in Italia settentrionale (Figure 2.2). Più del 20% degli intervistati dichiara di non avere familiarità con alcuno strumento finanziario (il dato scende all'8% per il sotto-campione degli investitori), mentre il restante 80% indica più frequentemente i titoli del debito pubblico e le obbligazioni bancarie, seguiti da azioni quotate e fondi azionari (Figure 2.3). La ridotta alfabetizzazione finanziaria incide sensibilmente sulla comprensione dell'andamento dei mercati e di nuovi fenomeni congiunturali. Con riguardo, ad esempio, ai titoli di Stato dell'Eurozona connotati da rendimenti negativi, la stragrande maggioranza degli intervistati non è in grado di esprimere un'opinione (40%) ovvero considera tali strumenti troppo rischiosi (38%); soltanto il 23% del campione si mostra in grado di comprendere il fenomeno ponendolo in relazione con il trade-off rischio-rendimento (Figure 2.4).
Oltre allo scarso livello di conoscenze finanziarie, le scelte degli individui possono essere influenzate anche da una percezione distorta delle proprie competenze (overconfidence).
Circa l'85% degli intervistati si attribuisce capacità almeno nella media con riferimento alle decisioni di risparmio, amministrazione del bilancio familiare e controllo delle spese inutili (mentre si reputano sopra la media rispettivamente il 28%, 30% e 38% dei decisori finanziari); il dato scende a 69% e 61% rispettivamente con riguardo alla capacità di comprendere prodotti finanziari di base e di compiere scelte di investimento corrette (valutate sopra la media dal 21% e dal 13% del campione; Figure 2.5). La propensione a ritenere le proprie capacità superiori alla media è significativamente maggiore fra gli investitori rispetto ai non investitori; mostra una certa variabilità per genere e ambiti decisionali (in particolare, le donne si valutano in maniera molto positiva rispetto al controllo delle spese più frequentemente degli uomini, ma mostrano l'attitudine opposta rispetto alle scelte di investimento) e sembra essere correlata a età e ricchezza finanziaria (Figure 2.6 e Figure 2.7).
Il concetto di diversificazione dovrebbe far parte del bagaglio conoscitivo anche degli investitori meno esperti. Le evidenze raccolte, tuttavia, rivelano che solo il 6% degli intervistati conosce le implicazioni di una corretta diversificazione delle attività finanziarie, mentre il 52% o ne coglie solo un aspetto, dichiarandosi disposto a investire in numerosi titoli a basso rischio (erronea diversificazione), o non comprende il trade-off fra rischio e rendimento, dichiarandosi disposto a investire soltanto in prodotti a basso rischio e alto rendimento. Gli altri intervistati segnalano l'attitudine verso taluni bias comportamentali, quali: il cosiddetto small-portfolio bias (ossia la tendenza a investire una piccola somma di denaro in una sola attività finanziaria, riferibile al 20% del campione); l'overconfidence in private information (i.e. la propensione a comprare solo titoli che si conoscono molto bene, evidenziando una possibile sopravalutazione della propria capacità di accedere a informazioni ‘importanti'; 18%); l'information overload (ossia la disponibilità a investire in pochi titoli poiché non si è in grado di elaborare troppe informazioni, riferita dal 10% degli intervistati; Figure 2.8). Le diverse declinazioni di scorretta diversificazione si ritrovano più spesso tra i meno istruiti e i meno benestanti mentre, con riguardo alle differenze di genere, gli uomini sembrano più inclini all'overconfidence in private information e le donne propendono più di frequente verso la erroneous diversification (Figure 2.9). Emerge, infine, che le conoscenze finanziarie non mettono totalmente al riparo da errori, poiché gli individui con un livello di literacy elevato più frequentemente degli altri sembrano esposti alla cosiddetta erronea diversificazione ovvero rivelano la non comprensione della relazione rischio-rendimento (Figure 2.10).
Un ulteriore fattore che può incidere sulla qualità delle scelte finanziarie è l'attitudine verso la cosiddetta contabilità mentale, ossia la tendenza a suddividere il denaro disponibile in una serie di conti separati secondo criteri soggettivi, quali per esempio la fonte e lo scopo delle disponibilità allocate a uno specifico conto. Dai dati per il 2016 si evince che solo il 6% degli intervistati è orientato ad applicare un approccio di portafoglio alle scelte di investimento, mentre il 23% dei decisori finanziari appare propenso a scegliere secondo un sistema di conti mentali (soprattutto i più anziani, i più istruiti e i più abbienti; Figure 2.11 e Figure 2.12).
Le scelte di investimento sono orientate anche dalla dimensione di rischio finanziario percepita come più rilevante. La metà circa degli italiani identifica il rischio con la possibilità di subire perdite in conto capitale; il 25% con la variabilità dei rendimenti; il 20% con la possibilità di conseguire rendimenti inferiori a quelli attesi e con l'esposizione alla congiuntura dei mercati (Figure 2.13). La percezione del rischio sembra essere correlata alla cultura finanziaria: i soggetti con minori conoscenze finanziarie tendono a dare enfasi al rischio di non comprendere le informazioni ricevute e di ricevere un'insufficiente tutela legale, mentre le persone più esperte sono più spesso sensibili ai trend di mercato e al rischio di liquidità (Figure 2.14).

Il processo decisionale in materia di scelte finanziarie
Scelte finanziarie adeguate presuppongono una opportuna gestione di consumi e risparmi e, in particolare nell'ambito delle decisioni di investimento, la corretta individuazione di obiettivi, orizzonte temporale, aspettative di guadagno, capacità finanziaria di sostenere eventuali perdite e propensione al rischio.
Il controllo e le modalità di monitoraggio delle spese sono un aspetto importante della capacità di gestire i consumi. Le evidenze raccolte per il 2016 mostrano che l'abitudine a tenere traccia scritta delle spese, identificabile con il comportamento più virtuoso, è riconducibile solo al 30% degli intervistati; il restante 70% si affida alla memoria, monitora in modo approssimativo o non sa indicare (Figure A1). Mentre non emergono eterogeneità significative in funzione di età, livello di istruzione e classi di ricchezza, il controllo delle spese è più sistematico tra gli investitori rispetto ai non investitori (Figure A2). L'abitudine a risparmiare in modo regolare (segnalata dal 60% dell'intero campione) viene dichiarata dal 71% degli investitori contro il 53% dei non investitori che più spesso hanno difficoltà a ‘far quadrare il bilancio' (rispettivamente, 32% e 13%). La propensione a risparmiare è maggiore per gli intervistati di età compresa tra i 35 e i 44 anni e superiore ai 65 anni, in possesso di un diploma di laurea e più abbienti (Figure A3).
Gran parte degli investitori non ha piena consapevolezza dei fattori da ponderare prima di investire: in particolare, l'orizzonte temporale viene preso in considerazione solo dal 24% degli intervistati, gli obiettivi dal 18%, le aspettative di guadagno e la capacità economica di assumere rischi dal 15% circa, mentre poco meno del 39% dichiara di non avere nessuna particolare attitudine al processo decisionale di investimento. Comportamenti più consapevoli si accompagnano più di frequente a maggiori conoscenze finanziarie, soprattutto nell'ambito delle decisioni di investimento (Figure A4 - Figure A5).

Scelte e abitudini di investimento
A partire dal 2008, la partecipazione delle famiglie ai mercati finanziari ha subito una contrazione proporzionalmente maggiore per le donne, le fasce d'età e di ricchezza intermedie e i residenti nelle regioni meridionali. Negli ultimi anni, tuttavia, il dato ha mostrato un graduale recupero verso valori prossimi al livello pre-crisi: a fine 2015, in particolare, la quota di famiglie che possedeva almeno un prodotto finanziario si è attestata al 50% del totale a fronte del 55% nel 2007. In dettaglio, è diminuita la partecipazione relativa a titoli del debito pubblico domestico, prodotti del risparmio gestito e azioni quotate italiane. Per contro è aumentata la quota di famiglie che possiedono obbligazioni bancarie italiane, il prodotto più diffuso a fine 2015 (Figure 3.1 e Figure 3.2). In linea con le dinamiche sulla partecipazione, dopo il 2007 la composizione del portafoglio degli investitori italiani ha riflesso l'accresciuto interesse per depositi bancari e postali (la cui incidenza sulle attività totali è passata dal 38% nel 2007 al 52% nel 2015), a fronte della diminuzione della quota di ricchezza detenuta in azioni (-43%), titoli del debito pubblico (-23%) e obbligazioni (-19%; Figure 3.3). Gli elementi chiave che incoraggiano la partecipazione ai mercati finanziari sono la possibilità di acquistare prodotti con capitale e/o rendimento minimo garantito e la fiducia negli intermediari (come riferito, rispettivamente, dal 72% e del 53% degli investitori), mentre la mancanza di risparmi da investire (60%), il timore di incorrere in perdite in conto capitale (20%), l'esposizione agli andamenti di mercato (15%) e la mancanza di fiducia negli intermediari (più del 10%) sono i fattori che hanno disincentivato la partecipazione ai mercati (Figure 3.4).
Per quanto riguarda lo stile di investimento, il 24% degli intervistati decide in maniera autonoma, il 38% segue i suggerimenti di familiari e colleghi (cosiddetto informal advice), il 28% chiede consiglio a un professionista e il restante 10% delega un esperto (Figure 3.5). Il ricorso alla consulenza informale, più frequente tra gli investitori uomini e i lavoratori autonomi, tende ad associarsi negativamente con il livello di istruzione e positivamente con la ricchezza (Figure 3.6). Il ricorso alla consulenza professionale, invece, cresce al crescere della cultura finanziaria (Figure 3.7) e si riduce per gli overconfident (Figure 3.8).
La scelta di partecipare ai mercati finanziari e lo stile di investimento adottato sembrano associarsi a taluni bias cognitivi legati all'attitudine verso una scarsa/errata diversificazione di portafoglio e la contabilità mentale: in particolare, i non investitori esibiscono più frequentemente una bassa comprensione del concetto di diversificazione (Figure 3.9) e una minore propensione verso la contabilità mentale rispetto agli investitori (Figure 3.10). Con riferimento alla correlazione tra percezione soggettiva del rischio finanziario e modello decisionale adottato, coloro che investono in autonomia sembrano più sensibili al rischio di perdere il capitale investito, mentre la preoccupazione per l'andamento dei mercati rileva sia per gli individui che si affidano ai consigli di un professionista sia per coloro che scelgono l'informal advice (Figure 3.11).

La domanda di consulenza
Circa il 60% circa degli intervistati non conosce nessuno dei servizi di investimento previsti dalla normativa vigente: il dato è significativamente più elevato per il sotto-campione dei non investitori rispetto al gruppo degli investitori (rispettivamente 70% e 30%). La percentuale di coloro che dichiarano di avere familiarità con i servizi di investimento oscilla tra il 7% (per il servizio di ricevimento e trasmissione di ordini) e il 30% (servizio di gestione di portafoglio; Figure 4.1). In linea con questa evidenza, la maggior parte degli intervistati (più dell'80% dei non investitori e il 50% degli investitori) non è in grado di identificare nella consulenza e nella gestione di portafoglio i servizi che garantiscono il più alto livello di tutela per effetto dell'obbligo della valutazione di adeguatezza dei prodotti al profilo del clienti.
A fine 2015, l'80% circa delle famiglie attive sul mercato finanziario dichiarava di servirsi della consulenza su base ristretta (ossia riferita a un insieme limitato di strumenti finanziari) ovvero avanzata (basata su un'ampia gamma di prodotti e su una valutazione di adeguatezza periodica) o indipendente (ossia fornita da un professionista che non riceve commissioni da banche o da altre società, essendo remunerato esclusivamente dal cliente, e che offre consigli personalizzati in merito a una ampia gamma di prodotti). Solo il 28% di queste famiglie, tuttavia, riferisce di avvalersi di consulenza MiFID (ossia di raccomandazioni personalizzate e riferite a uno specifico strumento finanziario); le rimanenti fruiscono di consulenza passiva o generica (basate su raccomandazioni generiche e bassi livelli di interazione con il consulente; Figure 4.2). Tra le motivazioni che scoraggiano il ricorso alla consulenza le principali sono la dimensione ridotta degli investimenti (34%), la consuetudine a investire in prodotti considerati molto semplici (28%) e la mancanza di fiducia negli intermediari (22%; Figure 4.3). Tra i fattori che potrebbero elevare la fiducia riposta nei consulenti, si annoverano l'impegno a guidare i clienti nella comprensione dei rischi e nel monitoraggio degli investimenti (35% circa) nonché l'indipendenza (quasi il 25%) e la certificazione delle competenze dell'esperto (15%). Inoltre, circa il 15% degli investitori definisce la fiducia come una percezione soggettiva, alimentata dall'istinto piuttosto che da specifiche caratteristiche o abilità del consulente; tale percezione è più diffusa tra i non investitori (21%), che nella metà dei casi non sono comunque in grado di indicare alcun elemento che possa accrescere la fiducia nel professionista.
La scelta del consulente è basata soprattutto sulle indicazioni dell'istituto di credito di riferimento (come riportato dal 50% circa degli intervistati che fruiscono del servizio o delegano le decisioni di investimento a un professionista), mentre meno del 20% decide dopo aver valutato più di un'alternativa tra quelle disponibili sul mercato (Figure 4.4). Come di consueto, la consulenza MiFID viene fornita prevalentemente su iniziativa dell'esperto e solo nel 7% dei casi su impulso dell'investitore; un terzo degli intervistati inoltre non sa individuare chi sia il soggetto ‘proponente' (Figure 4.5). Sia la consulenza MiFID sia la consulenza avanzata risultano diffuse soprattutto tra i soggetti con livello di istruzione elevato, i lavoratori autonomi, i residenti in Italia settentrionale e i più abbienti (Figure 4.6 e Figure 4.7). I fruitori del servizio di consulenza MiFID sono in genere più aggiornati degli altri investitori e acquisiscono informazioni anche attraverso fonti e canali ulteriori rispetto all'esperto (Figure 4.8). Essi, inoltre, detengono attività rischiose (come azioni e obbligazioni) in percentuali superiori rispetto agli investitori che si avvalgono di consulenza generica o passiva (Figure 4.9).
La propensione a remunerare il consulente rimane ancora contenuta e riferita, in media, dal 25% degli intervistati; il dato raggiunge il 50% tra gli investitori assistiti dal servizio MiFID e aumenta, ceteris paribus, al crescere di ricchezza finanziaria e livello di istruzione (Figure 4.10 e Figure 4.11). Tra coloro che si dichiarano interessati alla consulenza indipendente, la modalità di pagamento preferita sarebbe quella prevalentemente commisurata alle performance del portafoglio (Figure 4.12). La disponibilità a pagare per il servizio fruito è legata anche alla capacità di formulare un giudizio sul proprio consulente e alla percezione della qualità del consiglio ricevuto.
Con riferimento al primo profilo, è significativo che la maggioranza degli intervistati non abbia un'opinione sul proprio consulente (in media 60%; il dato scende a 45% per i fruitori di consulenza MiFID) mentre, tra coloro che sono in grado di individuare elementi di giudizio, emergono soprattutto l'apprezzamento per la capacità di comprendere bisogni e obiettivi del cliente e la maggiore rilevanza riconosciuta agli aspetti emotivi ed empatici della relazione (come la disponibilità e l'attenzione verso il cliente) rispetto all'assenza di conflitti di interessi (Figure 4.13).
Il secondo aspetto (ossia la percezione della qualità delle raccomandazioni) può essere desunto dalla propensione a seguire i consigli ricevuti, riferita complessivamente dal 65% degli intervistati, prevalentemente soggetti che fruiscono della consulenza ristretta e individui con minori conoscenze finanziarie. Tra i motivi per cui i consigli dei consulenti non vengono seguiti, rilevano soprattutto la mancanza di fiducia (per oltre il 40% dei soggetti interessati) e l'affidamento a parenti e amici (riferibile al 20% del sotto-gruppo considerato; Figure 4.14 e Figure 4.15).
La maggior parte degli investitori non è pienamente consapevole del fatto che la qualità della consulenza ricevuta dipende anche dalle informazioni fornite al consulente e si mostra disponibile a offrire all'intermediario solo un quadro incompleto degli elementi informativi necessari alla valutazione di adeguatezza del servizio offerto (Figure 4.16). Tale evidenza è coerente con la scarsa attitudine a strutturare il processo decisionale in modo da tener conto dei fattori che più rilevano ai fini di scelte d'investimento corrette e consapevoli (Figure 4.17).

Focus: robo-advice e crowdfunding
La digitalizzazione è destinata a modificare rapidamente l'intermediazione finanziaria. Innovazioni di portata dirompente hanno già ridefinito in maniera radicale il modo in cui prodotti e servizi finanziari vengono strutturati, distribuiti e utilizzati. Tra queste innovazioni, l'automazione della consulenza finanziaria (cosiddetto robo-advice) e la raccolta di capitali attraverso piattaforme di crowdfunding sono fenomeni particolarmente rilevanti anche per il possibile impatto sugli investitori retail. Oltre ai potenziali rischi, oggetto di indagine da parte delle autorità regolatrici nazionali e internazionali, tali fenomeni potrebbero essere forieri di alcuni benefici. Il robo-advice potrebbe aumentare la fruibilità dei servizi di consulenza da parte di una platea di investitori sempre più ampia per via dei costi contenuti. Il crowdfunding potrebbe consentire alle imprese, soprattutto medio-piccole, di accedere a forme di finanziamento alternative al tradizionale credito bancario che, in conseguenza del modificato contesto di riferimento, ha subito una progressiva contrazione. Il legislatore italiano ha ritenuto che il cosiddetto equity crowdfunding potesse risultare uno strumento adatto a soddisfare le esigenze finanziarie delle start-up innovative che, in virtù del d.lgs. 179/2012, convertito nella l. 221/2012, possono sollecitare il pubblico risparmio attraverso piattaforme web (successivamente, il d.l. 3/2015 convertito nella legge 33/2015, ha esteso il novero delle società legittimate a offrire strumenti finanziari tramite portali online anche alle piccole e medie imprese innovative e agli organismi di investimento collettivo del risparmio che investono prevalentemente in tali società).
Lo sviluppo della consulenza automatizzata e del crowdfunding presuppone che gli investitori al dettaglio siano dotati di un'appropriata cultura digitale, siano a conoscenza delle opportunità disponibili (e dei relativi rischi) e siano intenzionati a servirsene.
In Italia, alla fine del 2015 la cultura digitale degli utenti di Internet, corrispondenti al 65% circa della popolazione, è alta solo nel 30% dei casi e si riduce al crescere dell'età degli intervistati (Figure 5.1). Con particolare riferimento all'uso di Internet nell'ambito delle decisioni di investimento, la quota di famiglie che fa ricorso al web per reperire dati e notizie utili a compiere e a monitorare le scelte finanziarie, sebbene in crescita, supera di poco il 12% (Figure 5.2).
La consulenza automatizzata risulta sconosciuta alla grande maggioranza degli intervistati (74%), i quali dichiarano di essere comunque poco disposti a fruirne per timore di possibili truffe (66%; Figure 5.3).
Anche il crowdfunding è un fenomeno relativamente poco conosciuto, visto che solo il 26% degli individui dichiara di averne almeno sentito parlare. Il 58% degli intervistati riferisce, ancora una volta, di non essere disposto a investire attraverso una piattaforma di crowdfunding per timore di restare vittima di una truffa (Figure 5.5). Gli strumenti emessi da piccole imprese e offerti online sono considerati una possibile opzione di investimento solo nel 19% dei casi. Dei soggetti che si dichiarano interessati, la metà investirebbe meno di 1.000 euro, il 34% fino a 5.000 euro e il 16% cifre superiori (Figure 5.6). Gli intervistati che hanno manifestato interesse per il robo-advice e per il crowdfunding mostrano caratteristiche comuni: si tratta in genere di persone connotate da elevati livelli di istruzione e alfabetizzazione finanziaria (Figure 5.4 e Figure 5.6).
A fine 2015, i portali di equity crowdfunding autorizzati dalla Consob erano 19, di cui solo 9 attivi. A giugno 2016, risultavano concluse 36 campagne su un totale di 48; di queste 19 si sono chiuse con successo (Figure 5.7). I sottoscrittori retail sono prevalentemente uomini, di età compresa tra i 36 e i 49 anni, residenti nelle regioni settentrionali e, nel 40% dei casi, nella stessa area in cui è localizzata l'iniziativa finanziata (Figure 5.8 e Figure 5.9).

 

Il Report è stato curato da:
Nadia Linciano (coordinatrice) - CONSOB, Divisione Studi, Ufficio Studi Economici (n.linciano@consob.it)
Monica Gentile - CONSOB, Divisione Studi, Ufficio Studi Economici (m.gentile@consob.it)
Paola Soccorso - CONSOB, Divisione Studi, Ufficio Studi Economici (p.soccorso@consob.it)

Le opinioni espresse nel Report sono personali degli autori e non impegnano in alcun modo la Consob. Nel citare i contenuti del rapporto, non è pertanto corretto attribuirli alla Consob o ai suoi Vertici.

 

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ISSN 2465-1974 [online]