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Convegno su Governance, Gender and Climate del Ciclo Accademico dedicato alle "Nuove frontiere nei mercati finanziari e nella regolamentazione finanziaria": intervento della Commissaria Gabriella Alemanno (22 marzo 2024)

Nell'ultimo decennio, ancora prima dell'esplosione della pandemia, gli operatori del mercato si sono trovati di fronte un contesto caratterizzato da numerose sfide, tra cui, forse la più dirompente, è quella della green finance.

Ciò ha determinato l'introduzione di nuove prospettive per la corporate governance nel settore finanziario e bancario: tutti gli operatori, infatti, si sono trovati davanti alla necessità e urgenza di rimodulare il proprio business e le loro strategie aziendali, al fine di tenere debitamente conto dei cosiddetti fattori ESG, cogliendo opportunità di crescita e di sviluppo.

L'affermazione dell'economia sostenibile ha avuto un significativo impatto anche sulle autorità di supervisione, che hanno dovuto individuare modelli di vigilanza adeguati e mirati.

La finanza sostenibile rappresenta, d'altronde, uno dei volani principali dell'innovazione dell'industria finanziaria mondiale.

Gli investitori sono, infatti, viepiù consapevoli che i fattori ESG sono correlati al valore aziendale nel lungo termine, con conseguente propensione ad allocare capitali in società che hanno avviato politiche di transizione verso un'economia sostenibile, allo scopo di favorire il perseguimento dell'obiettivo di proteggere i portafogli da rischi ambientali, sociali e di governance.

In questo scenario, un ruolo cruciale è svolto dalla corporate governance, che solo se sufficientemente diversificata, competente e aperta al cambiamento è in grado di cogliere in maniera efficace le nuove opportunità.

Infatti, nella transizione verso un'economia green, la sfida per gli intermediari è duplice: da un lato devono essere in grado di fronteggiare la gestione dei rischi climatici, la cui errata valutazione può generare effetti economici avversi all'interno del sistema finanziario; dall'altro, svolgono un ruolo determinante nell'indirizzare le risorse private verso attività sostenibili, supportando anche l'industria in questa direzione.

Dunque, solo amministratori e top manager dotati di adeguate competenze, conoscenze, sensibilità, apertura al cambiamento e confronto dialettico sono in grado di cavalcare tutte le sfide e le opportunità derivanti dalla integrazione dei fattori ESG nei modelli di business aziendali.

Quello della sostenibilità è, infatti, un tema intrinsecamente connesso alla corporate governance, che coinvolge inevitabilmente il board per poi propagarsi a tutto il corpus aziendale, affinché la responsabilità dell'impresa venga orientata al perseguimento di interessi e valori collettivi.

In ambito nazionale, in questa direzione si muove il nuovo Codice di corporate governance (art. 1 Principio 1), che attribuisce all'organo amministrativo della società quotata la funzione di «guida[re] la società perseguendone il successo sostenibile», il quale è espressamente definito come «l'obiettivo che guida l'azione dell'organo di amministrazione e che si sostanzia nella creazione di valore nel lungo termine a beneficio degli azionisti, tenendo conto degli interessi degli altri stakeholder rilevanti per la società».

Il successo sostenibile rileva anche ai fini della determinazione delle remunerazioni degli amministratori e dei dirigenti apicali: pertanto, tali politiche di remunerazioni devono essere funzionali al perseguimento del successo sostenibile della società.

Peraltro, sono all'orizzonte interventi normativi, a livello europeo, volti a rafforzare i doveri fiduciari degli amministratori. In questa direzione si muove - lungo un sentiero per la verità molto travagliato - la proposta di direttiva in materia di Corporate sustainability due diligence, che responsabilizza in maniera molto marcata il dovere di vigilanza delle imprese rispetto alla propria catena di fornitura.

In questa sede le mie riflessioni si soffermeranno principalmente sulla necessità di rimodulare la funzione dell'organo amministrativo e della linea dei dirigenti apicali: è sempre più urgente, infatti, individuare strumenti di governance tesi a orientare verso un obiettivo di sostenibilità le nostre imprese, al fine di preservarne la competitività nei mercati globali.

In particolare, vorrei sottolineare le interconnessioni con l'integrazione delle politiche ESG nelle strategie aziendali della board gender diversity.

Quest'occasione, infatti, mi consente di svolgere alcune riflessioni sulla relazione che lega questi due temi, i quali, come dimostrano ricerche ed evidenze empiriche, sono tra loro profondamente correlati.

Un numero crescente di studi accademici mostra che la presenza delle donne negli organi amministrativi delle società ha ricadute positive sulle performance finanziarie delle imprese, anche in ambito ESG. In particolare, è dimostrato che esiste una relazione positiva fra la diversità di genere a livello dirigenziale e i risultati finanziari, nonché la redditività d'impresa, che determina una considerevole crescita sostenibile a lungo termine. Il raggiungimento dell'equilibrio di genere nei C.d.A. è, pertanto, di vitale importanza per garantire la competitività delle imprese italiane.

Come sappiamo, poi, al giorno d'oggi, le imprese sono sottoposte a una crescente pressione sociale, economica e normativa per migliorare le loro "prestazioni ambientali", al punto che le aziende sono chiamate a sostenere sforzi specifici per risparmiare energia e ridurre l'inquinamento, concentrandosi anche su attività volte a promuovere la protezione dell'ambiente.

A riguardo, gli studiosi hanno iniziato a esplorare i potenziali fattori trainanti delle "prestazioni ambientali", tra cui proprio la diversità di genere nel C.d.A. e la rappresentanza femminile nel management. I ricercatori sono partiti dal presupposto che gli amministratori e i manager di sesso femminile siano più sensibili alle questioni ambientali e si preoccupino maggiormente delle esigenze degli altri stakeholder, oltre agli azionisti.

Sembra, in effetti, evidente che sono proprio le caratteristiche "personali" delle donne leader (ad es., in termini di istruzione ed esperienza professionale precedente) a poter influenzare positivamente l'impatto della diversità di genere sulle "prestazioni ambientali".

I dati empirici dimostrano che le donne ai vertici hanno maggiori probabilità di interessarsi alle implicazioni più ampie delle decisioni aziendali; questo, a sua volta, porterà probabilmente a decisioni più equilibrate, che tengono conto degli interessi di tutti gli stakeholder.

Sono sempre preziose le ricerche che evidenzino la presenza di un'interazione positiva tra board gender diversity, responsabilità "ambientale" d'impresa e performance finanziaria d'impresa, come ad esempio quelle che verranno discusse nella giornata odierna.

Secondo un'indagine di Analytics "WOMEN AS LEVERS OF CHANGE" del 2022, le aziende con una maggiore diversità di genere nei C.d.A. hanno il 60% in più di probabilità di ridurre l'intensità del consumo energetico, il 39% in più di ridurre le emissioni di gas serra e il 46% in più di ridurre l'uso dell'acqua.

Anche la CONSOB, nei propri Quaderni di finanza, ha analizzato l'impatto delle quote di genere sulla qualità dei board e sui risultati degli emittenti quotati, evidenziando come l'ingresso delle donne incida positivamente sui risultati aziendali, a patto che la quota di presenza femminile superi una soglia oscillante tra il 17% e il 20% dei componenti dell'organo di amministrazione.

In buona sostanza, gli effetti positivi sulla governance aziendale si esprimono solo quando ci sono almeno due donne che siedono nei consigli di amministrazione, creando la c.d. massa critica.

Raggiungere questo risultato significa cambiare sostanzialmente le dinamiche del C.d.A., creando un ambiente in cui le idee innovative possono scaturire dalla diversità di genere.

La presenza femminile nei C.d.A. arricchisce, inoltre, il potenziale di competenze, di capacità e di cross fertilisation dell'impresa generato da punti di vista diversi e che calati su uno stesso tema, possono consentire l'individuazione di nuove prospettive d'analisi e di decisioni.

Un approccio siffatto risponde anche alle critiche mosse alle ricerche che collegano una maggiore rappresentanza femminile nei C.d.A. e nell'alta dirigenza solo a migliori risultati finanziari: considerare la performance finanziaria, l'obiettivo aziendale e il ruolo degli amministratori attraverso questa lente più ampia può incoraggiare una valutazione del valore delle donne che va ben oltre la ristretta attenzione ai semplici ritorni finanziari.

Vorrei condividere con voi alcune considerazioni relative al ruolo delle donne nell'attuale contesto finanziario e alle soluzioni che è necessario promuovere affinché tale ruolo possa essere maggiormente valorizzato, a beneficio non soltanto del sistema economico e del mercato del lavoro, ma anche del contesto sociale in generale.

Per promuovere l'empowerment femminile e la diversity nei board e nell'organizzazione aziendale delle società non bastano solo disposizioni normative ad hoc.

Nel mondo delle società quotate, come è noto, già nel 2011, la legge Golfo-Mosca ha reso più equilibrata la rappresentanza dei generi all'interno degli organi collegiali delle società quotate. Al momento dell'entrata in vigore della legge la componente femminile nei Consigli di amministrazione delle società quotate era pari a un modesto 7%. Oggi, anche grazie al successivo intervento legislativo che nel 2019 ha allungato i tempi di applicazione della disciplina sulle quote di genere, elevando la percentuale dal 33% al 40% dei posti in Cda, la componente femminile ha raggiunto il 43% degli incarichi di amministrazione nelle circa 210 società quotate alla Borsa di Milano. Tuttavia, solo circa il 2% delle donne assumono il ruolo di amministratore delegato. ("Rapporto 2022 sulla corporate governance delle società quotate italiane", CONSOB). Quanto al livello mondiale, secondo una statistica di The Deloitte "Women in the Boardroom" risalente al 2022, le donne occupano solo il 19,7% dei posti nei C.d.A., il 6,7% sono presidenti e il 5% CEO, mentre il 15,7% è CFO.

La stessa Lella Golfo ha definito la norma come un "antibiotico" utile, ma che deve essere "necessariamente temporaneo". Infatti, per superare veramente le differenze di genere occorre anzitutto una rivoluzione culturale: oltre alla famiglia, alla scuola e alle istituzioni, anche le aziende devono coltivare una cultura del merito basata sull'inclusività e sul rispetto della diversità di genere.

Tale aspetto è rilevante in quanto, quando si analizzano i dati delle società non quotate, i risultati sono molto sconfortanti.

L'affermazione di una leadership femminile non può, d'altro canto, prescindere dalla questione dell'emancipazione economica delle donne: tale emancipazione è la chiave per l'uguaglianza di genere e per le economie in crescita, ma anche per raggiungere gli obiettivi di sviluppo sostenibile stabiliti dall'ONU.

Le crisi economiche ci insegnano che le donne tendono a essere tra le persone colpite, ma sappiamo anche che, quando la sicurezza economica individuale delle stesse migliora, la loro partecipazione al lavoro e alla leadership ha benefici per le imprese, l'industria e intere economie. Contratti di lavoro meno tutelanti e difficoltà maggiore nell'avere un lavoro stabile, posizioni in ruoli "più bassi" rispetto a quelli maschili, peso della famiglia ancora gravante sul ruolo femminile: sono tutti freni a un pieno sviluppo economico del genere femminile.

Peraltro, le donne, oltre ad essere poco presenti nelle posizioni di vertice, sono sovra-rappresentate in settori che pagano salari più bassi e vengono spesso assunte con contatti part-time.

Le differenze e i divari che caratterizzano la vita professionale di una donna si riflettono, ovviamente, anche sotto il profilo previdenziale: gap retributivi e carriere intermittenti, intervallate da esigenze legate alla maternità e cura della famiglia, determinano assegni pensionistici sensibilmente più bassi: una recente indagine dell'Inps ha mostrato che le donne ricevono 40 miliardi in meno di pensioni rispetto agli uomini.

Questo scenario evidenzia la necessità di rafforzare e rendere strutturali misure di politica sociale idonee a far conciliare i carichi familiari con la vita lavorativa delle donne.

Un ulteriore contributo verso il superamento del divario di genere dovrebbe altresì provenire dalla valutazione del mercato. Il regime normativo di trasparenza delle informazioni di sostenibilità (cc.dd. DNF) crea i presupposti affinché le società possano essere valutate dagli investitori istituzionali anche in relazione alle politiche di gestione del personale adottate per garantire la parità di genere. In questa direzione, un passaggio importante è la definizione di standard di rendicontazione esplicitamente riferiti a tali politiche di genere aziendali (in termini di gender pay gap, progressione di carriera, flessibilità del lavoro per la cura dei figli), tali da consentire la comparazione delle imprese anche su questi profili.

A tal proposito, l'EFRAG (European Financial Reporting Advisory Group) ha pubblicato il primo set di standard di rendicontazione non finanziaria a luglio 2023. Tra questi, lo standard di rendicontazione "Social 1" prevede che l'impresa dia conto dell'approccio generale adottato per individuare e gestire eventuali impatti rilevanti generati sulla propria forza lavoro, anche in relazione alla parità di trattamento e di opportunità, compresa la parità di genere.

"Last but not least" è il tema del cambiamento climatico che minaccia il nostro pianeta e che richiede azioni concrete e immediate.

Nel fronteggiare il cambiamento climatico spesso si trascura un aspetto fondamentale: la diversità di genere e il suo ruolo cruciale nella mitigazione degli effetti che lo stesso può produrre.

Questo fenomeno colpisce in modo differenziato uomini e donne: queste ultime, soprattutto nei paesi in via di sviluppo, avendo accesso limitato alle risorse naturali e all'istruzione, sono maggiormente vulnerabili ai suoi effetti.

Le differenze strutturali causate da culture patriarcali e gerarchiche non fanno che esacerbare queste situazioni.

Affinché le donne possano contribuire alla tutela dell'ambiente, è, quindi, innanzitutto, necessario ampliare il più possibile il loro accesso all'istruzione, alle risorse e alle opportunità economiche.

Promuovere la partecipazione femminile nella leadership e nelle decisioni riguardanti l'ambiente e il clima è di grande utilità per affrontare la crisi climatica in modo ancora più efficace. Le donne giocano, infatti, un ruolo fondamentale nell'attivare cambiamenti virtuosi per la realizzazione di soluzioni più innovative e inclusive.

Pertanto, è importante anche la loro rappresentanza nelle istituzioni politiche e nelle organizzazioni della società civile.

Sappiamo infatti che le donne presenti all'interno del Parlamento e del Governo italiano sono un numero significativamente più basso rispetto agli uomini. La rappresentanza femminile, infatti, si ferma al 33,6%.

È ampiamente dimostrato, infatti, che le politiche che promuovono la parità di genere, sono cruciali per aumentare la resilienza delle comunità.

Nella giornata di oggi avremo l'occasione di ascoltare i risultati di un importante studio condotto sugli impatti della governance aziendale sulle emissioni di biossido di carbonio (CO2): in un decennio, un aumento di 1 punto percentuale nella percentuale di manager donne all'interno delle aziende porta a una diminuzione del 0,5% delle emissioni di CO2!

E sappiamo che le imprese con una incisiva diversità di genere hanno ridotto le loro emissioni di CO2 di circa il 5% in più rispetto alle imprese un management più di sesso maschile.

Considerazioni finali.

Sulla base delle considerazioni sin qui svolte possiamo, dunque, trarre la conclusione che l'innalzamento della presenza femminile nelle organizzazioni aziendali appare viepiù necessaria per favorire e accrescere l'integrazione della sostenibilità nei modelli di business e nelle strategie aziendali.

Le società, specialmente quelle quotate, rivestono una particolare importanza economica e si distinguono per la loro visibilità sul mercato in generale, le loro decisioni sulle politiche di parità di genere possono fare la differenza e fungere da esempio per le imprese non quotate.

Un maggior numero di donne in posizioni di responsabilità in tutte le aziende è una buona notizia per le donne, per le imprese, per il clima e per le stesse economie dei nostri Paesi.

Ed è nel solco di questi auspici che sono stati elaborati gli studi che adesso saranno illustrati e che ascolterò con grande interesse.

Vi lascio, pertanto, la parola e vi ringrazio dell'attenzione.

 Intervento in versione PDF

22 marzo 2024 17:03