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Bollettino


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Comunicazione n. 0385340/20 del 28 aprile 2020

Inviata all’avv. … e p.c. alla società …

Oggetto: […] – Risposta al quesito avente ad oggetto “Richiesta di parere preventivo per la corretta classificazione di un’operazione immobiliare attinente alla compravendita di nuda proprietà”.

Con nota del … (…) la S.V., per conto della società […], ha presentato alla Consob il quesito di seguito illustrato, concernente “un’operazione immobiliare attinente alla compravendita di nuda proprietà”.

In particolare, la società […] intenderebbe porre in essere la seguente operazione:

1) il proprietario di un immobile può manifestare l’intenzione di cederne la nuda proprietà;

2) la […], laddove interessata all’immobile in questione, formalizza una proposta di acquisto di nuda proprietà impegnandosi ad acquistare per proprio conto o per persona da nominare;

3) in caso di acquisto per persona da nominare, laddove la […] trovi un soggetto interessato all’acquisto della nuda proprietà, stipula un contratto con detto promittente acquirente quale persona che sarà nominata nel rogito definitivo. In tale ultimo contratto sarebbero incluse una o più delle seguenti clausole:

a. clausola Put, che consente all’acquirente di (ri)vendere la nuda proprietà alla medesima Società, entro un periodo di tempo determinato e, come precisato nel quesito, “dietro un corrispettivo maggiorato rispetto al prezzo di acquisto della nuda proprietà”;

b. clausola Call, in base alla quale la […], ha la facoltà “di [ri]acquisto [dal cliente] della proprietà piena dell’immobile (…) a un prezzo prefissato e da esercitarsi entro un periodo di tempo determinato”;

c. clausola Alternativa (alle descritte opzioni Put e Call), in base alla quale la Società alla “morte dell’usufruttuario […] acquisterà dal Promittente Acquirente, in tal tempo pieno proprietario, la proprietà piena dell’immobile”. Come precisato nel quesito, “in tale ipotesi sarà certa la vendita del bene in futuro (della piena proprietà) ad un prezzo fissato in un importo che contempla il prezzo pagato dal Promittente Acquirente per l’acquisto della nuda proprietà, maggiorato di un importo ulteriore a remunerazione dell’impiego di capitale da parte del Promittente Acquirente oltre a una somma a titolo di corrispettivo per il servizio di custodia”.

In particolare, la Società ha chiesto se l’inserimento di una delle citate clausole “Opzione Put”, “Opzione Call” e “Clausola alternativa” all’interno del contratto con l’acquirente/promittente acquirente “snaturi detto contratto facendolo divenire un contratto di investimento su prodotto finanziario, anziché rimanere un contratto di compravendita di nuda proprietà su un immobile”.

Al riguardo, si svolgono le seguenti considerazioni.

In termini generali, l’art. 1, comma 1, lett. u), del TUF definisce quali prodotti finanziari “gli strumenti finanziari” e “ogni altra forma di investimento di natura finanziaria”, con ciò delineando in quest’ultimo caso una categoria atta a comprendere forme di investimento finanziario di natura “atipica”. Posto che, nel caso di specie, l’attività esaminata non ha evidentemente ad oggetto uno “strumento finanziario” deve valutarsi se il contratto che la Società intenderebbe proporre sia qualificabile come “altra forma di investimento di natura finanziaria”.

Secondo il consolidato orientamento della Consob, si considerano prodotti finanziari sub specie di forme di investimento di natura finanziaria le proposte di investimento che comportano la compresenza di tre elementi consistenti in un impiego di capitale, una promessa/aspettativa di rendimento e un rischio correlato all’impiego del capitale[1]. Nell’ambito della categoria dei prodotti finanziari possono ricomprendersi i soli prodotti finanziari di raccolta e non anche quelli di erogazione (quali ad esempio i contratti di mutuo, leasing, etc.)[2].

Per aversi “prodotto finanziario” è necessario che l’investimento abbia, quindi, “natura finanziaria”. In proposito, considerata la necessità di contenere i margini di incertezza nell’individuazione delle ipotesi rilevanti – soprattutto in presenza di fattispecie atipiche – la Consob ha distinto tra “investimento finanziario” e “investimento di consumo”, evidenziando come nel primo caso il risparmiatore conferisce il proprio denaro in base a una promessa/aspettativa di profitto, vale a dire di accrescimento delle disponibilità investite mentre, nel secondo caso, la spesa è essenzialmente finalizzata al godimento del bene, cioè alla trasformazione delle proprie disponibilità in beni reali idonei a soddisfare immediatamente i bisogni[3].

Pertanto, nei casi dubbi, al fine di qualificare l’investimento quale investimento finanziario è dirimente individuare la prevalenza dell’aspetto finanziario, inteso quale elemento causale del contratto proposto (quindi elemento interno al contratto) rispetto a quello di consumo ai fini della riconducibilità dell’investimento offerto nella nozione di “prodotto finanziario”[4].

Anche la Corte di Cassazione (cfr. sentenza n. 2736/2013) ha indicato che un contratto è idoneo a integrare un “investimento di natura finanziaria” quando presenta una “causa finanziaria” ossia quando nella stessa struttura negoziale (e non esternamente ad essa) si rinvengono, ed hanno una valenza prevalente, gli elementi che caratterizzano tale forma di investimento: l’impiego del capitale, l’aspettativa di un rendimento finanziario e il rischio correlato all’impiego del capitale.

Pertanto, gli elementi di “finanziarietà” di un’operazione sono da ricercare nelle oggettive pattuizioni/meccanismi contrattuali (sono, quindi, elementi intrinseci all’operazione).

Avuto riguardo alle proposte contrattuali aventi come oggetto immediato la vendita di beni materiali, queste assumono le caratteristiche di offerta di prodotto finanziario ove siano esplicitamente previste, anche tramite pattuizioni collegate, promesse di rendimento.

Più specificamente, un investimento di natura finanziaria, eventualmente collegato all’acquisto di beni materiali, si configura laddove:

- la vendita del bene materiale risulta collegata alla promessa di una remunerazione futura predeterminata o predeterminabile sulla base di parametri predefiniti e in proporzione al prezzo versato dall’acquirente, o generata da un’attività economica svolta dal proponente mediante la gestione di somme di denaro affidategli dagli investitori;

- è prospettata a favore dell’acquirente che decida di dismettere il bene una specifica forma di rendimento diversa, collegata e/o ulteriore rispetto al valore (vero o presunto) del bene acquistato.

Alla luce di quanto sopra, l’impegno al riacquisto del bene ad un prezzo “maggiorato” da parte del proponente l’investimento - o di un soggetto a questo collegato - anche mediante pattuizioni contrattuali correlate al contratto “principale” configura la promessa di un rendimento di natura finanziaria, connesso all’impiego del capitale utilizzato nell’acquisto del bene stesso, e fa ritenere sussistente la natura finanziaria della complessiva operazione contrattuale e la sua qualificazione nella categoria dei prodotti finanziari.

In proposito, la vendita del bene materiale e le pattuizioni aventi ad oggetto il riacquisto dello stesso devono potersi qualificare come parti di un’operazione unitaria, come risulta essere nel caso di specie.

Tutto quanto richiamato e considerato, con specifico riferimento a ciascuna delle sopra riportate clausole contrattuali si rileva quanto di seguito.

A) Clausola Put

Ancorché la sottoscrizione del contratto di compravendita all’interno del quale la Società vorrebbe inserire la clausola Put determini il (completo) trasferimento della nuda proprietà in capo all’acquirente, la circostanza che la Società si obblighi contrattualmente, secondo le modalità stabilite, al riacquisto della nuda proprietà a semplice richiesta dell’acquirente, induce a ritenere prevalente la causa finanziaria su quella di consumo. Si consideri, infatti, che all’impegno al riacquisto contrattualmente assunto dalla Società nei confronti del promittente acquirente, si accompagna la prospettazione allo stesso di un rendimento di natura finanziaria corrisposto dalla Società sotto forma di maggiorazione del prezzo d’acquisto almeno a partire dal quinto anno.

Se è vero che l’obbligo di riacquisto da parte della Società si attiva (eventualmente) ove l’investitore eserciti la sua facoltà di (ri)vendita, è altresì vero che tale pattuizione è parte integrante del contratto e ne caratterizza la natura, rimettendo al soggetto che ha conferito il proprio capitale (l’investitore) la scelta di ottenere il rimborso del capitale con la remunerazione (finanziaria) dello stesso.

Pertanto, alla luce di quanto emerso, l’inserimento della clausola Put all’interno del contratto determinerebbe la prevalenza della causa finanziaria e qualificherebbe lo stesso alla stregua di un “prodotto finanziario”. Ciò in quanto l’esercizio dell’opzione di vendita da parte del cliente attiverebbe l’obbligo in capo alla società di riacquistare il bene ad un prezzo maggiorato (a partire almeno dal 5° anno) che rappresenterebbe il rendimento di natura finanziaria.

B) Clausola Call

L’inserimento della clausola Call nel contratto di compravendita tra […] e il promittente acquirente determinerebbe il riconoscimento in capo alla Società di un’opzione da esercitarsi entro i 24 mesi “da quando avrà conoscenza della notizia della cessazione dell’usufrutto” (id est: da quando avrà conoscenza del consolidamento del diritto di proprietà in capo all’acquirente).

L’esercizio di tale opzione obbligherà l’originario acquirente a trasferire la proprietà piena dell’immobile alla Società ad un prezzo determinato o in alternativa - ove il valore di mercato dell’immobile sia superiore (di ameno il 10%), al momento dell’esercizio dell’opzione di acquisto, al prezzo indicato nel contratto – l’originario acquirente potrà conferire mandato irrevocabile alla Società affinché venda l’immobile al superiore prezzo di mercato (il maggior importo sarà diviso tra le parti).

Tale clausola, nella parte in cui prevede la facoltà di riacquisto in capo alla Società a un determinato prezzo da indicare nel contratto, potrebbe - in caso di campagne promozionali che pongano una particolare enfasi sul reddito traibile dall’operazione - ingenerare nel cliente un affidamento circa il riacquisto da parte della Società ad un prezzo superiore a quello di vendita.

C) Clausola Alternativa

In tale ipotesi la fisiologica conclusione del rapporto contrattuale è rappresentata necessariamente dal riacquisto da parte della Società del bene in futuro (della piena proprietà) ad un prezzo fissato in un importo che contempla il prezzo pagato dal cliente per l’acquisto della nuda proprietà maggiorato di un importo ulteriore a remunerazione dell’impiego di capitale da parte del cliente.

Tale clausola, per le considerazioni sopra esposte in merito all’obbligo di riacquisto, qualificherebbe il contratto in questione come una forma di investimento di natura finanziaria.

* * *

Sulla base delle considerazioni che precedono, nel complesso, la struttura dell’operazione de qua prevede che (a) il risparmiatore impieghi il proprio capitale per l’acquisto della nuda proprietà di un immobile (b) in virtù dell’anzidetto acquisto è promesso un rendimento predeterminato o predeterminabile in base a parametri predefiniti (c) con conseguente assunzione di un rischio correlato all’impiego del capitale affidato.

A quest’ultimo riguardo, inoltre “poiché anche il “rischio emittente” è incluso nell’alea assunta dall’investitore mediante l’investimento, ai fini della configurabilità di un prodotto finanziario […], è sufficiente che sussista l’incertezza in merito non all’entità della prestazione dovuta o al momento in cui questa sarà erogata bensì alla capacità stessa dell’emittente di restituire il tantudem con la maggiorazione promessa” (cfr. Cass. n. 5911/18).

Pertanto, si ritiene che l’elemento causale del contratto in discorso sia riconducibile alla produzione di un rendimento finanziario quale corrispettivo dell’impiego di capitale conferito dal percettore del rendimento medesimo che, quindi, conferisce il proprio denaro con un’aspettativa di profitto, vale a dire di accrescimento delle disponibilità investite (il rendimento è la remunerazione del capitale versato).

Alla luce delle caratteristiche del contratto illustrato nel quesito, si ritiene quindi che lo stesso sia riconducibile alla categoria dei “prodotti finanziari” di cui all’art. 1, comma 1, lett. u), del TUF, intesi quali “ogni altra forma di investimento di natura finanziaria”.

Tanto considerato, una volta qualificato il contratto in questione come prodotto finanziario, si rileva che l’operazione in discorso risulta presentare i caratteri della standardizzazione[5], considerata l’omogeneità contenutistica del complessivo regolamento contrattuale sottoposto agli investitori, e della potenziale unitarietà[6] tenuto conto della profilata continuità temporale della stessa nonché dell’unicità delle finalità e delle modalità caratterizzanti il suo concreto esplicarsi.

Pertanto, la sistematica previsione delle clausole de quibus all’interno dei moduli contrattuali che dovessero essere offerti al pubblico degli investitori configurerebbe un’offerta al pubblico di prodotti finanziari e richiederebbe la pubblicazione del prospetto informativo, ove non ricorressero le cause di esenzione di cui all’art. 100 del TUF e all’art. 34-ter del Regolamento Emittenti.

Alla luce di tutto quanto precisato – ritenuti sussistenti gli elementi della standardizzazione e unicità dell’offerta – si evidenzia che, ove la società promuova in futuro nei confronti del pubblico la stipula dei contratti in esame a fronte di un corrispettivo totale, calcolato su un periodo di 12 mesi, non inferiore a 8.000.000 di euro (cfr. art. 34-ter, comma 1 lett. c), Regolamento Emittenti, adottato con Delibera n. 11971 del 14 maggio 1999) sussisterebbero tutti gli elementi costitutivi di un’offerta al pubblico di prodotti finanziari, con obbligo di pubblicazione del prospetto informativo ai sensi dell’art. 94, TUF. Per il calcolo di tale soglia si deve far riferimento all’ammontare inizialmente offerto e non al controvalore complessivo dei soli contratti effettivamente fatti sottoscrivere dall’offerente. Difatti, in via generale, ai fini dell’applicazione della disciplina dell’offerta al pubblico si tiene conto della circostanza che l’offerta sia “in incertam personam”, rivolta alla platea indistinta dei potenziali investitori e per controvalori superiori alla suddetta soglia o comunque per controvalori indeterminati al momento dell’avvio dell’operazione non rilevando, ai fini dell’attivazione del regime delle esenzioni, che il controvalore delle sottoscrizioni raccolte sia di fatto sotto soglia in quanto inferiore al controvalore preventivato e ciò vale anche nel caso in cui il controvalore sia inizialmente indeterminato. Perché si benefici dell’anzidetta ipotesi di esenzione, quindi, il controvalore dell’operazione deve risultare essere al di sotto dell’anzidetta soglia e ciò deve risultare da atti societari o da documentazione rilevante predisposta dall’offerente al momento dell’avvio dell’operazione di offerta.

Avendo l’offerta ad oggetto un prodotto finanziario, la Consob stabilisce, su richiesta dell’emittente o dell’offerente, il contenuto del citato prospetto, ai sensi dell’art. 5 del Regolamento Emittenti[7].

Infine, ove l’offerta fosse realizzata mediante tecniche di comunicazione a distanza o mediante un’attività di offerta fuori sede richiederebbe l’autorizzazione al servizio di collocamento o, eventualmente, la necessità per il proponente di avvalersi di un intermediario finanziario autorizzato allo svolgimento di quest’ultimo servizio.

IL DIRETTORE GENERALE
Mauro Nori


[1] Comunicazione Consob n. DEM/1027182 del 12 aprile 2001.

[2] Comunicazioni Consob nn. DI/98021215 del 23 marzo 1998 e DIN/82717 del 7 novembre 2000.

[3] Comunicazione Consob n. DAL/RM/95010201 del 30 novembre 1995.

[4] Comunicazioni Consob nn. DAL/RM/96009868 del 4 novembre 1996; DAL/97006082 del 10 luglio 1997; DIS/98082979 del 22 ottobre 1998; DIS/99006197 del 28 gennaio 1999; DIS/36167 del 12 maggio 2000; DEM/1043775 del 1° giugno 2001 e DCL/DEM/3033709 del 22 maggio 2003.

[5] Comunicazione Consob n. DIN/1055860 del 19 luglio 2001.

[6] Comunicazioni Consob nn. DEM/6031543 del 7 aprile 2006; DEM/8036073 del 17 aprile 2008; DEM/6100497 del 21 dicembre 2006 e DEM/DME/5017297 del 18 marzo 2005.

[7] Comunicazioni Consob nn. DAL/RM/96009868 del 4 novembre 1996; DAL/97006082 del 10 luglio 1997; DIS/98082979 del 22 ottobre 1998; DIS/99006197 del 28 gennaio 1999; DIS/36167 del 12 maggio 2000; DEM/1043775 del 1° giugno 2001 e DCL/DEM/3033709 del 22 maggio 2003.