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SENTENZA DEL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE PER IL LAZIO
Sezione Seconda 22.1/19.3.2014

Ricorso n. 8887 del 2013 proposto da Lauro Sessantuno S.p.A. contro la Consob per l'annullamento della comunicazione n. 74051 del 12 settembre 2013 con cui la Consob ha avviato il procedimento n. 4002/13 per l'aumento del prezzo dell'offerta pubblica obbligatoria di acquisto su azioni ordinarie emesse da Camfin S.p.A. e della delibera n. 18662 del 25 settembre 2013

N. 03009/2014 REG.PROV.COLL.
N. 08887/2013 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio
(Sezione Seconda)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 8887 del 2013, proposto da: Lauro Sessantuno s.p.a. […omissis…];

contro

Consob - Commissione Nazionale per le Società e la Borsa […omissis…];

e con l'intervento di

ad adiuvandum:

Marco Tronchetti Provera & C. S.a.p.A. […omissis…];

Unicredit S.p.A. […omissis…];

ad opponendum:

Antares European Fund Limited, Antares European Fund II Limited, Antares European Fund l.p. (i "Fondi Antares") […omissis…];

per l'annullamento

a) della comunicazione della Consob prot. 74051/13 in data 12 settembre 2013 – come successivamente integrata – con cui la Consob ha avviato il procedimento n. 4200/13 per l’aumento del prezzo dell’ offerta pubblica obbligatoria di acquisto su azioni ordinarie emesse da Camfin S.p.A.;

b) della delibera n. 18662 in data 25 settembre 2013 con cui la Consob ha:

i) ritenuto accertata una collusione tra Malacalza Investimenti s.r.l. e Lauro Sessantuno S.p.A. e i soggetti che avrebbero agito di concerto con quest’ultima;

ii) ritenuto accertato nell’ambito della collusione il prezzo di euro 0,83 per le azioni di Camfin S.p.A. cedute da Malacalza Investimenti s.r.l. e acquistate da Lauro Sessantuno S.p.A.;

iii) disposto autoritativamente la modifica in aumento del prezzo dell’offerta pubblica di acquisto ad euro 0,83 per azione;

c) di ogni ulteriore atto comunque connesso, presupposto e conseguenziale;

nonché per il risarcimento del danno

ingiustamente determinato dall’assunzione di tali illegittimi provvedimenti che sarà quantificato e meglio illustrato in corso di giudizio.

Visto il ricorso con i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio dell’amministrazione intimata;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore alla pubblica udienza del giorno 22 gennaio 2014 il Cons. Silvia Martino;

Uditi gli avv.ti Annoni, Zoppini, Segni, Clarizia, Napolitano, Aiello, Martinelli (per delega dell’avv. Guglielmello), Providenti, Randisi e Lopatriello, per le parti rispettivamente rappresentate;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO

1. Parte ricorrente esordisce evidenziando come la vicenda in esame attenga ad una delle più rilevanti offerte pubbliche di acquisto (OPA) che ha interessato la Borsa italiana nel corso dell’anno 2013.

Essa ha visto coinvolti alcuni dei principali soggetti operanti sul mercato finanziario, assicurativo e industriale, italiano.

Secondo la prospettazione della Consob, essi avrebbero tenuto un comportamento "collusivo" che ha portato a deprimere il prezzo dell’OPA e, conseguentemente, a ridurre l’esborso che la ricorrente avrebbe dovuto sostenere a seguito dell’adesione da parte dei soci di minoranza.

Lauro 61 reputa che l’Autorità abbia gravemente errato, sia nell’avviare il 12.9.2013 (con comunicazione successivamente integrata) il procedimento per l’aumento del prezzo dell’OPA ai sensi dell’art. 106, comma 3, lett. d) del TUF (nonché degli articoli 47 – sexies e 47 – octies del regolamento Consob n. 11971 del 1999 e ss.mm. - Regolamento Emittenti) sia nell’adottare il provvedimento oggetto dell’odierna impugnativa, con cui ha ritenuto intervenuta la collusione a autoritativamente incrementato il prezzo dell’OPA da 0,80 euro/azione a 0,83 euro/azione.

Lauro 61 premette anche che il presente ricorso è stato formulato sulla base della incompleta conoscenza dei fatti contestati, intervenuta a seguito di progressivi accessi, i quali, però, si sarebbero rivelati sempre gravemente parziali (al momento della proposizione del ricorso, non era ancora stato ottenuto l’accesso agli atti richiesti con istanza del 26.9.2013).

Lauro 61 ha comunicato al mercato il 5 giugno 2013 di avere acquisito una partecipazione del 60, 99% del capitale di Camfin, società quotata sul mercato regolamentato.

Ha altresì comunicato lo scioglimento degli accordi in essere tra Marco Tronchetti Provera & C. s.p.a. (MTP) e MCI relativamente a Camfin e Gruppo Partecipazione Industriali s.p.a. (GPI).

Parte delle azioni Camfin acquistate da Lauro 61, sono state alla stessa vendute dal Gruppo Malacalza che, nel medesimo contesto, ha venduto le proprie partecipazioni in GPI, le prime al prezzo di euro 0,80 euro/azione.

In ragione dell’acquisto della partecipazione in Camfin, Lauro 61 ha quindi comunicato a Consob e al mercato il sorgere dell’obbligo a proprio carico di promuovere un’OPA ex art. 106 del TUF sulle azioni Camfin, indicando che il corrispettivo offerto per le azioni della stessa sarebbe stato pari a 0,80 euro per azione, corrispondente al prezzo più elevato pagato dalla ricorrente per l’acquisto di azioni Camfin negli ultimi 12 mesi (vale a dire, il prezzo riconosciuto a MCI).

Nello stesso giorno, MCI ha comunicato al mercato di avere posto in essere anche un’altra operazione, consistente nell’acquisto di azioni Pirelli da soggetti aderenti al sindacato di blocco Pirelli (il Patto Pirelli).

Tale comunicazione è stata coeva ad un comunicato del Patto Pirelli con cui è stata data notizia dell’autorizzazione resa a due propri aderenti, Allianz s.p.a. e Fondiaria Sai s.p.a., a svincolare dal patto tutte o parte delle proprie azioni sindacate.

Il documento informativo concernente l’OPA è stato tempestivamente depositato presso la Consob, che lo ha approvato con delibera n. 18617 del 24 luglio 2013.

L’OPA ha così avuto inizio il 12 agosto 2013, e sarebbe dovuta terminare il 13 settembre 2013.

E’ tuttavia accaduto che, nel frattempo, Consob abbia avviato anche un’attività ispettiva che ha interessato una pluralità di soggetti, al fine di acquisire documenti relativi alle operazioni suindicate (e cioè, da un lato, la cessione delle azioni Camfin da MCI alla ricorrente e, dall’altro, la cessione delle azioni Pirelli da Allianz e Fonsai a MCI).

L’attività ispettiva interessava Pirelli, MCI, Camfin, Unicredit s.p.a. (socio della ricorrente), Intesa San Paolo s.p.a. (socio della ricorrente), Clessidra SGR s.p.a. (socio della ricorrente), Banca Imi s.p.a..

Consob formulava poi successive e progressive richieste di informazioni ai sensi dell’art. 115 del TUF, nei confronti, oltre che della ricorrente, di:

- sig. Marco Tronchetti Provera, in qualità di Presidente del Patto Pirelli, in data 12 giugno e 2 luglio:

- Allianz, in data 17 giugno;

- Fonsai, in data 27 giugno e 2 agosto;

- MCI in data 11 luglio, 23 agosto e 10 settembre;

- MTP, in data 29 agosto;

- Unicredit, in data 29 agosto;

- AssicurazionI Generali s.p.a., in data 6 settembre;

- UBS Italia s.p.a., in data 10 settembre.

Per quanto attiene alla ricorrente, nella richiesta di informazioni del 29 agosto 2013, l’Autorità precisava che essa era indirizzata a valutare se il prezzo pagato ad MCI per l’acquisto delle azioni Camfin, rappresentasse non già il valore attribuito alle stesse dalle parti, ma piuttosto "il frutto di una transazione parte di una operazione più complessa, idonea a generare meccanismi compensativi ulteriori che non [sarebbero stati] tenuti in considerazione ai fini del calcolo del prezzo, che rappresenta l’effettiva volontà delle Parti, ai sensi dell’art. 106, comma 2, TUF".

A tale ipotesi, Lauro ribatteva con una memoria, presentata congiuntamente ad Unicredit ed MTP in data 3 settembre 2013, integrata in data 9 settembre 2013, nonché producendo ulteriori documenti in data 11 settembre 2013.

Ciononostante, in data 12 settembre 2013, Consob notificava a Lauro 61 l’avvio del procedimento "per l’aumento del prezzo dell’offerta pubblica obbligatoria dalla medesima promossa sulle azioni Camfin", fissando il termine di 5 giorni per la produzione di osservazioni scritte e documenti.

Nel contempo, l’Autorità prorogava il termine di adesione all’OPA sino al 27 settembre 2013.

La ricorrente, in data 13 settembre 2013, presentava una prima istanza di accesso all’intera documentazione acquisita e valutata dall’Autorità.

Un primo accesso veniva effettuato il 16 settembre.

Tuttavia, in tale occasione, la ricorrente poteva accedere ai soli atti richiamati nel provvedimento di avvio e non già a tutte le altre acquisizioni effettuate nel corso delle attività ispettive svolte.

Parte ricorrente reputa, in pratica, che la Consob abbia effettuato una selezione "mirata" delle sole acquisizioni che potevano costituire indizio di un accordo collusivo, mentre la ricorrente aveva bisogno di acquisire il materiale ispettivo "non selezionato".

Il 16 settembre, pertanto, la ricorrente formulava una ulteriore, specifica istanza di accesso per acquisire anche tale documentazione.

Il giorno 18 settembre avveniva quindi un ulteriore accesso, che, secondo Lauro, sarebbe stato ancora incompleto in quanto limitato al solo materiale che l’Ufficio Ispettivo aveva inviato all’Ufficio Opa per la propria attività valutativa.

Peraltro, Lauro riteneva opportuno richiedere anche un’audizione che veniva effettuata in data 23 settembre 2013.

In tale occasione, la ricorrente, oltre a sottolineare il carattere "fantasioso" della ricostruzione operata dall’Autorità, rimarcava l’incompletezza della documentazione acquisita.

Un terzo accesso avveniva il 25 settembre.

In tale occasione, Lauro formulava una ulteriore istanza di accesso tesa a sapere se esistessero atti, relazioni e/o documenti, elaborati dagli Uffici o da terzi, che ancora non fossero stati ostesi.

Tuttavia, lo stesso giorno veniva adotta la delibera impugnata, con cui Consob ha ritenuto accertata una collusione tra MCI e Lauro 61, avente ad oggetto il riconoscimento ad MCI di un corrispettivo per la cessione delle azioni Camfin superiore a 0,80 euro per azione, determinato in euro 0,83 per azione, con conseguente rettifica del prezzo dell’OPA in misura corrispondente.

Il ricorso è affidato ai seguenti motivi:

A – VIZI DEL PROCEDIMENTO:

I - VIOLAZIONE E FALSA APPLICAZIONE DELGLI ARTT. 7 E SS. DELLA L. N. 241/90, E SS.MM., NONCHÉ DEGLI ARTT. 2 E 10 DEL REGOLAMENTO CONSOB B. 18388 DEL 28.11.2012, SUI PROCEDIMENTI AMMINISTRATIVI.

VIOLAZIONE E FALSA APPLICAZIONE DELL’ART. 10 DELLA L. N. 241/90, E SS.MM. E INTEGRAZIONI, E DELL’ART. 4 DEL REGOLAMENTO CONSOB N. 9641 DEL 1995 SULL’ACCESSO AGLI ATTI.

IN SUBORDINE, ILLEGITTIMITÀ DERIVATA DALL’ILLEGITTIMITÀ DELL’ART. 47 – SEXIES, COMMA 4, DEL REGOLAMENTO CONSOB N. 11971 DEL 1999 E SUCCESSIVE MODIFICAZIONI, PER VIOLAZIONE DEGLI ARTT. 7 E SS DELLA L. N. 241/90 E SUCCESSIVE MODIFICAZIONI, ANCORA, IN RELAZIONE AGLI ARTT. 2 E 10 DEL REGOLAMENTO CONSOB N. 18388 DEL 2012.

Lauro 61 reputa, in primo luogo, che il provvedimento di avvio del procedimento avrebbe dovuto essere comunicato a tutti i soggetti di cui veniva ipotizzata la partecipazione all’accordo collusivo (pertanto, oltre alla stessa Lauro, anche Unicredit, MTP, Allianz e Fonsai, gli ulteriori aderenti al patto Pirelli, MCI).

Tali soggetti, a dire della ricorrente, subiscono gli effetti diretti dei provvedimenti impugnati o, comunque, ricevono pregiudizio dagli stessi.

Si tratta, in particolare, dei soci di Lauro 61 che si sono obbligati a fornire alla ricorrente le risorse occorrenti per l’OPA (tra cui Unicredit, MTP e Clessidra), ma anche di quei soggetti che sono stati ritenuti partecipi di un accordo ritenuto lesivo delle regole del mercato.

La divulgazione del provvedimento finale reca loro una gravissima lesione "reputazionale".

Ad ogni buon conto, trattandosi di un illecito plurisoggettivo, uno soltanto dei soggetti incriminati, non ha la possibilità di contrastare adeguatamente gli addebiti posti a carico di altri.

Né la comunicazione del provvedimento di avvio alla ricorrente, potrebbe ritenersi giustificata dalla previsioni dell’art. 47 – sexies, comma 4, del Regolamento Emittenti (che prevede la comunicazione al solo offerente), in quanto comunque tale disposizione deve essere rapportata alla specifica ipotesi della collusione quale presupposto dell’aumento del prezzo dell’OPA.

Ad ogni buon conto, Lauro impugna anche tale disposizione, che reputa contrastante con la legge n. 241/90 e con gli artt. 2 e 10 del Regolamento Consob n. 18388 del 2012.

Il comma 4 del cit. art. 47 – sexies si porrebbe in contraddizione con il successivo comma 5, che consente a chi agisce di concerto con l’Offerente di "fornire alla Consob osservazioni scritte e documenti".

L’Autorità, inoltre, avrebbe palesemente violato anche l’art. 10 della l. n. 241/90 in quanto, dopo i plurimi accessi effettuati, Lauro non sarebbe ancora in possesso di tutti gli atti acquisiti nel corso dell’attività ispettiva, nonché di quelli relativi alle attività istruttorie e valutative espletate nel corso del procedimento.

Infine, sarebbe stato violato il principio di separazione tra attività istruttoria e attività valutativa delle risultanze istruttorie, da sottoporre alla decisione finale della Commissione, proprio di tutti i procedimenti sanzionatori di pertinenza dell’Autorità.

Nel caso in esame, invece, i medesimi Uffici (la Divisione Corporate Governance e la Consulenza Legale), hanno svolto sia l’attività istruttoria, che quella valutativa e propositiva nei confronti della Commissione, venendo meno a quelle regole procedimentali che l’Autorità stessa si è data.

B. SULLA ERRATA APPLICAZIONE DELLE NORME INVOCATE.

II. VIOLAZIONE E FALSA APPLICAZIONE DELL’ART. 106, COMMA 3, LETT. D), N. 2 DEL TUF E DELL’ART. 47 OCTIES DEL REGOLAMENTO EMITTENTI, IN RELAZIONE ALL’ART. 5, COMMA 4, DELLA DIRETTIVA 2004/25/CE E DELL’ART. 15 DELLA L. N. 183 DEL 2011. EVENTUALE DISAPPLICAZIONE DELLE NORME OVVERO SOTTOPOSIZIONE ALLA CORTE DI GIUSTIZIA CE DI QUESTIONI PREGIUZIALI.

La direttiva 2004/25/CE ha consentito agli Stati membri di autorizzare le Autorità di vigilanza a modificare il prezzo di un’OPA solo in circostanze e secondo criteri determinati.

Tale disposizione deve essere interpretata e valutata, nella sua applicazione nell’ordinamento nazionale, alla luce del c.d. divieto di "gold plating", introdotto dall’art. 15 della l. n. 183 del 2011, ai sensi del quale gli atti di recepimento delle direttive comunitarie non possono prevedere l’introduzione, o il mantenimento, di livello di regolazione superiori a quelli minimi richiesti dalle direttive stesse.

Il Legislatore è quindi chiamato, nel caso di specie, ad individuare tassativamente i casi in cui il prezzo dell’OPA può essere modificato, mentre la Consob, dal canto suo, non può operare, sia in sede regolamentare che attuativa, interpretazioni che "vadano oltre lo stretto significato normativo".

L’art. 106, comma 3, lett. d) n. 2 del TUF, individua come ipotesi "sanzionabile" con l’incremento del prezzo dell’OPA la "collusione tra l’Offerente e le persone che agiscono di concerto con il medesimo e uno o più venditori".

L’art. 47 octies del Regolamento Emittenti stabilisce a sua volta che il prezzo dell’OPA può essere aumentato qualora dalla collusione accertata tra l’Offerente o le persone che agiscono di concerto con il medesimo, e uno o più venditori, emerga il riconoscimento di un corrispettivo più elevato di quello dichiarato dall’Offerente.

Nel caso di specie, tuttavia, Consob:

- avrebbe ritenuto accertato il preteso accordo collusivo non già sulla base di evidenze certe, bensì sulla scorta di meri elementi indiziari, ricavati dalla lettura (secondo la ricorrente "unidirezionale"), di alcuni isolati atti e comportamenti, senza considerare il reale riferimento fattuale e temporale (e senza considerare la ricostruzione offerta dai diretti interessati);

- non avrebbe rinvenuto, neppure a livello indiziario, alcun elemento che possa consentire di individuare l’esistenza della comune finalità di deprimere il prezzo dell’OPA, tra la ricorrente, coloro che avrebbero agito di concerto con essa, e il venditore;

- avrebbe riconosciuto, senza trarne le dovute conseguenze, l’estraneità all’accordo collusivo dei venditori delle azioni Pirelli (Allianz e Fonsai), e cioè dei soggetti che, secondo la ricostruzione dell’Autorità, avrebbe consentito ad MCI di ricavare dalla vendita delle azioni Camfin un corrispettivo maggiore dalla vendita di azioni Camfin, in termini di sconto sulle azioni Pirelli;

- avrebbe errato nel ritenere che il maggior corrispettivo di cui avrebbe beneficiato MCI non dovesse necessariamente corrispondere ad un maggiore esborso dell’Offerente.

In sostanza, la Consob avrebbe violato il carattere tassativo della disposizioni della direttiva OPA e, comunque, il divieto di "gold plating".

L’interpretazione data dall’Autorità si porrebbe poi in contrasto con gli stessi lavori preparatori che hanno preceduto le modifiche del Regolamento Emittenti, da cui si evince che il criterio ispiratore dell’attuazione alle deleghe legislative in materia di correzione del prezzo dell’OPA è stato quello di "limitare il grado di discrezionalità della Consob nelle valutazioni da compiere. Tale approccio mira a ridurre il grado di incertezza del mercato in corso di OPA e a non introdurre elementi distorsivi nel comportamento di venditori ed offerenti, quale l’aspettativa di un diverso corrispettivo di offerta".

Ad ogni buono conto, nell’ipotesi in cui le disposizioni attuative ed i provvedimenti impugnati, siano ritenuti conformi all’art. 106 del TUF, nella parte di interesse, Lauro invoca la disapplicazione di tali disposizioni, per contrasto con la direttiva 2004/25/CE.

In subordine chiede che venga sottoposa alla Corte di Giustizia una questione pregiudiziale, ai sensi dell’art. 267 TFUE.

Il testo del quesito è stato precisato dalla ricorrente nella memoria depositata il 9.11.2011, e risulta del seguente tenore: "Se osti o meno alla corretta applicazione dell’art. 5, comma 4, della direttiva 2004/25/CE la previsione dell’art. 106, comma 3, lett. d) n. 2 del d.lgs. n. 58 del 1998 e dell’art. 47 - octies del Regolamento Consob n. 11971 del 1999 nella parte in cui autorizzano la Consob ad aumentare il prezzo delle azioni in caso di offerta pubblica di acquisto ove riscontri accertata una collusione tra l’offerente e le persone che agiscono di concerto con il medesimo e uno o più venditori, senza individuare le specifiche condotte costituenti la collusione ovvero senza individuare criteri specifici atti ad individuare la condotta collusiva".

C. SULLA ERRATA INDIVIDUAZIONE DEGLI ELEMENTI COSTITUENTI LA FATTISPECIE REGOLATA DALLE NORME INVOCATE, SUL TRAVISAMENTO DEI DOCUMENTI ACQUISITI E SULLA ERRATA E FUORVIANTE RICOSTRUZIONE DEI COMPORTAMENTI ADDEBITATI AI SOGGETTI PRETESAMENTE COLLUSI.

III. VIOLAZIONE E FALSA APPLICAZIONE DELL’ART. 106, COMMA 3, LETT. D) N. 2, DEL TUF E DELL’ART. 47 OCTIES DEL REGOLAMENTO EMITTENTI. ECCESSO DI POTERE PER FALSO PRESUPPOSTO, DIFETTO DI ISTRUTTORIA, TRAVISAMENTO DEI FATTI, ERRATA O CONTRADDITTORIA MOTIVAZIONE, ILLOGICITÀ, INGIUSTIZIA MANIFESTA E SVIAMENTO.

Secondo la Consob, la vendita delle azioni Camfin da MCI alla ricorrente e la vendita delle azioni Pirelli da Allianz e Fonsai ad MCI sono due componenti di una operazione unitaria ("l’operazione poi conclusasi comprende, anzi si fonda, su un accordo con MCI che ha, come presupposto negoziale essenziale – civilisticamente riconducibile alla "causa del contratto" più che ai "motivi" – l’acquisizione da parte di MCI di una partecipazione in Pirelli").

Tuttavia l’Autorità avrebbe travisato l’evoluzione della complessa vicenda del contenzioso esistente tra MCI ed MTP inerente le partecipazioni possedute in Camfin e GPI.

Al riguardo, parte ricorrente ha offerto la propria ricostruzione di tali vicende nella nota presentata in data 19.9.2013 (pagg. 5 – 12), allegata al provvedimento finale.

In tale nota è stato evidenziato, in particolare, che l’originaria proposta di MCI di porre in essere un’operazione unitaria, sostanzialmente costituita da uno scambio di azioni Camfin con azioni Pirelli (che ha avuto definitiva formalizzazione con l’invio del "contratto preliminare di permuta di azioni" del 30.5.2013), si era definitivamente infranta per la mancata condivisione di tale proposta da parte di MTP (comunicazione mail dell’1.6.2013), che aveva manifestato, in tal senso, una "volontà non negoziabile".

A fronte di tale volontà, MCI ha quindi mutato obiettivo, decidendo, da un lato, di negoziare l’acquisto delle azioni Pirelli con le compagnie assicurative (Allianz, Fonsai, e Generali), che da tempo avevano manifestato la propria volontà di smobilitare la partecipazione, e, dall’altro, negoziando separatamente e autonomamente la cessione delle azioni delle partecipazioni in GPI e Camfin ad una società da designarsi da parte dei compratori (poi individuata nella ricorrente).

Inoltre, sarebbe la stessa MCI che avrebbe continuato ad operare affinché le due distinte operazioni si sviluppassero con tempistiche tra loro coerenti, ma ciò – prosegue la ricorrente – non comporta che anche per la ricorrente e i suoi soci tale obiettivo fosse prioritario e che potesse condizionare l’obiettivo di lanciare l’OPA sulle azioni Camfin al prezzo di euro 0,80 per azione.

In sostanza, il rifiuto opposto da MTP l’1.6.2013, segnerebbe una sorta di "cesura" di tutte le ipotesi via via elaborate in precedenza, di talché, anche l’incontro svoltosi il 28.5.2013 tra MCI e l’AD di Unicredit, in data 28.5.2013, e il successivo documento elaborato dagli uffici interni dell’Istituto, debbono essere riguardati in tale prospettiva e non potrebbero assumere alcun rilievo ai fini dell’accertamento dell’esistenza di un accordo collusivo.

A partire dall’1.6.2013, MCI avrebbe posto in essere due autonome e distinte negoziazioni con soggetti diversi, ciascuno dei quali ha perseguito i propri legittimi interessi ed effettuato le proprie autonome valutazioni di carattere economico ed imprenditoriale.

La ricostruzione operata dalla ricorrente non è stata contrastata dalla Consob, la quale, nel provvedimento finale, si sarebbe invece appiattita sull’ipotesi elaborata nel Provvedimento di avvio.

La Consob, altresì, ha ritenuto che MCI ed MTP (soggetto concertante con la ricorrente) avrebbero convenuto un prezzo di cessione delle azioni Camfin articolato in due componenti, di cui una costituita dal prezzo di 0,80 per azioni, corrisposto da Lauro ad MCI, ed un’altra, costituita dal minor prezzo che MCI avrebbe pagato ad Allianz e Fonsai per l’acquisto delle azioni Pirelli.

Tuttavia, Consob non avrebbe adeguatamente considerato che:

- non vi è alcuna prova dell’esistenza di uno "sconto" sulle azioni Pirelli, né risulta che uno sconto sia stato chiesto e/accordato da MTP e/o Unicredit rispetto ad un ipotetico "giusto prezzo" diversamente stabilito con MCI.

I provvedimenti impugnati ritengono di individuare tale sconto nella differenza tra il prezzo di euro 7,80 e il prezzo di euro 8,00 che "MCI avrebbe dovuto pagare per le azioni Pirelli ‘nella logica della conversione’".

Tuttavia, il prezzo di euro 8,00 per le azioni Pirelli, non è stato oggetto di alcun accordo o intesa, neppure preliminare, tra MCI, Lauro 61 e i suoi soci, neppure nella fase di interlocuzione antecedente al 30.5.2013;

- ancora al 30.5.2013 non vi era alcuna parvenza di accordo, non soltanto in termini di una operazione complessiva, ma neppure in termini di percorso attraverso il quale addivenire ad una qualsiasi conclusione di acquisto di azioni Pirelli da parte di MCI.

In particolare sarebbe documentalmente provato che:

- in data 28.5.2013 da parte di Unicredit vi era stato il tentativo di tradurre le aspettative di MCI in un documento ("Linee guida di una possibile operazione") nel quale euro 8,00 per azione Pirelli era il prezzo indicato da MCI come il "prezzo massimo" al quale la stessa avrebbe forse accettato di concludere un’operazione su azioni Camfin e GPI;

- il 29.5.2013, da parte di MTP, vi era totale incertezza circa la possibilità che vi fossero controparti disponibili a vendere a MCI azioni Pirelli a non più di euro 8,00;

- nella stessa data il dott. Tronchetti Provera (con Allianz e Generali) e di dott. Ghizzoni (con Fonsai), trasmettevano – evidentemente in via esplorativa – l’indicazione circa la possibile esistenza di una opportunità di cessione immediata di azioni Pirelli, indicando il prezzo di euro 7,80 per azione, in coerenza con le indicazioni provenienti da MCI;

- ancora in data 30.5.2013, l’intendimento di MCI circa la possibile soluzione della controversia, si manifestava tramite la citata proposta di permuta della propria partecipazione in GPI e Camfin con azioni Pirelli e Prelios;

- tale ipotesi di permuta, però, era immediatamente rigettata, senza che nessuna intesa, quindi, sia mai intervenuta;

- a valle di tale rigetto, l’acquisto delle azioni Pirelli non è stato oggetto di alcuna ulteriore valutazione negoziale tra MCI e i rappresentanti di Lauro 61;

- solo dopo essersi manifestata la disponibilità di Allianz e Fonsai a concludere una vendita di azioni Pirelli (alle condizioni indicate da MCI, in data 1.6.2013), le stesse potenziali venditrici si sono messe in contatto diretto con MCI e i suoi advisor legali e finanziari, affinché si determinassero, in totale autonomia, i termini e le modalità della possibile cessione;

- mai la ricorrente, MTP o Unicredit hanno negoziato il prezzo delle azioni Pirelli né può essere qualificata quale negoziazione la mera trasmissione dell’informazione circa l’esistenza di una possibile opportunità di acquisto.

Inoltre, i soggetti venditori (Allianz e Fonsai) sono soggetti indipendenti che non hanno agito in accordo o di concerto con i promotori dell’OPA Camfin, né sarebbe credibile che Allianz e Fonsai abbiano operato una liberalità a favore di MCI.

In particolare:

- il prezzo pagato da MCI ad Allianz e Fonsai, è stato determinato e valutato in piena autonomia da ciascuna di esse;

- non sussiste né vi è stata alcuna compensazione diretta o indiretta a favore di Allianz e Fonsai da parte della ricorrente, o di suoi soci, o di terzi, a fronte di supposte condizioni di favore che in ipotesi Allianz e Fonsai avrebbero riservato a MCI.

Secondo parte ricorrente, inoltre, il "riconoscimento di un corrispettivo", frutto della collusione, non può che essere versato dall’Offerente.

Nella vicenda in esame è tuttavia pacifico che, ammesso che MCI abbia conseguito uno sconto nell’acquisto di azioni Pirelli, tale sconto non può essere ricondotto a Lauro 61, ovvero ai soggetti che agiscono di concerto con essa.

Consob confonde l’obiettivo conseguimento di interessi di talune parti coinvolte (ad esempio, l’interesse di MCI a reinvestire in azioni Pirelli, l’interesse di Allianza e Fonsai alla liquidazione dell’investimento in Pirelli, l’interesse di alcuni partner finanziari ad evitare il perdurare di contenziosi, etcc.) con un accordo volto a deprimere il prezzo dell’OPA.

La Consob ritiene altresì che la collusione prefigurata dalle norme in rubrica ricomprenda "una vasta gamma di fenomeni, caratterizzati principalmente dall’obiettivo che si mira a realizzare e comprende, pertanto, ogni tipo di accordo che riesca a riconoscere al venditore un corrispettivo per le azioni dal medesimo cedute più alte di quello pagato dall’offerente".

Tale accezione violerebbe il principio di tassatività della determinazione della fattispecie collusiva, la quale, peraltro rimane comunque caratterizzata dal perseguimento di un obiettivo comune da parte di tutti i partecipanti alla collusione, costituito dalla condivisa volontà di determinare un prezzo dell’OPA più basso.

Di tale comune volontà, tuttavia, non vi è traccia in alcuno dei documenti, degli atti e delle dichiarazioni acquisite nel corso del procedimento.

In merito all’errata configurazione della "collusione" la Ricorrente si è ampiamente soffermata nella nota del 19.9.2013, allegata al provvedimento finale (pagg. 21 – 25), senza che la Consob (sostiene) abbia saputo adeguatamente controdedurre.

Lauro 61, infine, ha spiegato domanda di risarcimento del danno, reputazionale e di immagine, che ritiene di avere subito a causa del provvedimento finale e della larga eco che esso ha avuto sugli organi di informazione, anche non specializzati.

Si è costituita, per resistere, l’amministrazione intimata.

Sono intervenuti, ad adiuvandum la Marco Tronchetti Provera & C. s.a.p.a. e Unicredit s.p.a..

Sono intervenuti, ad opponendum, i "Fondi Antares".

In data 27 settembre 2013 si è concluso il periodo di adesione all’OPA.

Successivamente alla proposizione del ricorso, prima con provvedimento monocratico, poi con ordinanza collegiale n. 3946 del 9 ottobre 2013, questo TAR ha sospeso gli effetti dei provvedimenti impugnati,

In data 11 ottobre si è conclusa anche la fase di riapertura dei termini per l’adesione all’OPA (nell’ambito della quale sono state apportate complessive n. 254.578.238 azioni, pari all’88,914% delle azioni oggetto dell’Offerta e al 32,475% del capitale sociale dell’Emittente).

Il successivo 18 ottobre Lauro ha proceduto alla liquidazione del corrispettivo originariamente offerto per le azioni Camfin portate in adesione, per un esborso pari a euro 203.662.590,40.

L’offerente è venuta così a detenere una partecipazione pari al 95,95% del capitale sociale di Camfin e ha proceduto al delisting della società, così come previsto nel documento di offerta.

In data 30 ottobre Lauro ha dato corso alla procedura congiunta di adempimento dell’obbligo di acquisto, ai sensi dell’art. 108, comma 1, del TUF, e di esercizio del diritto di acquisto, ai sensi dell’art. 111 del TUF, che ha avuto ad oggetto un numero di azioni pari a 31.741.839 per un controvalore complessivo (al prezzo originario di euro 0,80 per azione), di euro 25.393.471,20.

Nel frattempo l’Autorità, a seguito dell’istanza di accesso del 26.9.2013, ha osteso (in data 22 ottobre), le relazioni per la Commissione (del 27 agosto, dell’11 settembre e del 25 settembre 2013 ed i relativi allegati), nonché la nota del 16 settembre 2013, di risposta di UBS Italia Sim s.p.a., alla richiesta di informazioni della Consob ai sensi dell’art. 115 del TUF del 10 settembre 2013.

In tale sede, la ricorrente ha formulato un’ulteriore istanza di accesso ai verbali dei lavori della Commissione aventi ad oggetto l’esame delle relazioni per la Commissione dell’11 settembre e del 25 settembre 2013 (tale richiesta è stata esaudita in data 31 ottobre 2013).

Lauro 61, gli interventori ad adiuvandum e l’amministrazione resistente, hanno depositato copiosa documentazione e articolate memorie.

Alla pubblica udienza del 22 gennaio 2014, il ricorso è stato trattenuto per la decisione.

DIRITTO

1. L’operazione in relazione alla quale è intervenuto il provvedimento di aumento del prezzo oggetto di impugnativa è un’offerta pubblica di acquisto obbligatoria (l’"Offerta") promossa da Lauro sessantuno s.p.a. (l’ "Offerente"), su azioni Camfin s.p.a. (l’ "Emittente").

L’Offerente è un veicolo societario costituito da Marco Tronchetti Provera & C. s.p.a. ("MTP"), tramite alcune società dallo stesso controllate, il fondo Clessidra (tramite Lauro cinquantaquattro s.r.l.) (L54), Intesa San Paolo s.p.a.("Intesa") e Unicredit s.p.a. ("Unicredit") al fine della realizzazione dell’offerta, a seguito della sottoscrizione in data 4 giugno 2013 di apposito accordo di investimento e patti parasociali tra i soci sopra indicati.

In data 5 giugno 2013 l’Offerente acquisiva una partecipazione di maggioranza in Camfin, pari al 60,99% del capitale sociale tramite:

i) il conferimento da parte di MTP di azioni Camfin, rappresentanti circa il 35,41% del capitale sociale della stessa;

ii) l’acquisto da Malacalza Investimenti s.p.a. ("MCI") di azioni Camfin rappresentanti circa il 12,37% del capitale sociale della stessa (oltre che della partecipazione in GPI detenuta da MCI);

iii) l’acquisto da MTP di azioni Camfin rappresentanti circa il 13,20% del capitale sociale della stessa.

Per effetto dell’acquisto della partecipazione di maggioranza, Lauro 61 promuoveva l’Offerta.

In esito a siffatte iniziative, Consob ha avviato, in data 12 settembre 2013, il procedimento per l’aumento del prezzo dell’Offerta ai sensi degli articoli 102, 106, comma 1 e 109 del TUF nonché dell’art. 47 – octies del Regolamento Emittenti, aumento poi deciso in data 25 settembre 2013, con delibera che reca le seguenti conclusioni:

"RITENUTO che, alla luce delle considerazioni contenute nell’atto di accertamento allegato che costituisce parte integrante e necessaria della presente delibera, è accertato che:

- le due compravendite di azioni Camfin e Pirelli realizzate il 5 giugno 2013 sono funzionalmente collegate;

- l’acquisto di azioni Camfin che ha costituito il presupposto dell’Offerta ha avuto come corrispettivo non soltanto il pagamento in denaro di euro 0,80 per azione ma anche la garanzia per il venditore di acquistare con la liquidità ricevuta (integrata dalla quota di spettanza del debito Camfin) poco meno del 7% di azioni Pirelli al prezzo unitario di euro 7,80;

- la collusione fra l’Offerente, il socio di controllo dell’Offerente e un altro socio operante di concerto con l’Offerente, da una parte, ed il venditore, dall’altra, ha avuto ad oggetto il riconoscimento a quest’ultimo di un corrispettivo diverso e maggiore rispetto a quello di euro 0,80 per azione;

- il riconoscimento di tale maggior prezzo è avvenuto grazie ad un’operazione unitaria che realizza a fronte dell’uscita di MCI da Camfin, che è quantitativamente il principale componente del Sindacato di Blocco Azioni Pirelli & C. S.p.A. ("Patto Pirelli"), una riduzione, a favore di MCI, della partecipazione complessiva detenuta dallo stesso Patto Pirelli, in presenza di un autonomo interesse alla conclusione dell’operazione complessiva dei componenti del Patto Pirelli venditori, nonché delle relazioni soggettive fra gli stessi e il socio di controllo dell’Offerente e altri soggetti che agiscono di concerto con l’Offerente sopra dettagliatamente delineate;

- il maggior corrispettivo è costituto, quanto meno, dalla differenza tra il prezzo di euro 8,00 per azione Pirelli che, secondo i calcoli dei partecipanti alle trattative contenuti nella documentazione acquisita, emergeva in trasparenza dalla valorizzazione a euro 0,80 delle azioni Camfin ed il prezzo di euro 7,80;

- a tale maggior corrispettivo equivale, secondo i calcoli contenuti nella Comunicazione (che in questa sede si ritengono confermati), un maggior valore per azione Camfin pari a euro 0,03 con la conseguenza che il prezzo accertato nell’ambito della suddetta collusione è pari a euro 0,83.

DELIBERA:

Sussistono, sulla base di quanto dettagliatamente indicato nell’atto di accertamento allegato che costituisce parte integrante e necessaria della presente delibera, elementi sufficienti a ritenere accertata una collusione tra Malacalza Investimenti S.r.l. e Lauro Sessantuno S.p.A. e i soggetti che

agiscono di concerto con il medesimo da cui emerge il riconoscimento a Malacalza Investimenti S.r.l. di un corrispettivo per la cessione delle azioni dal medesimo detenute in Camfin S.p.A. più elevato di quello di euro 0,80 pagato da Lauro Sessantuno S.p.A..

Il prezzo accertato nell’ambito della collusione è pari a euro 0,83.

Pertanto, il prezzo dell’offerta pubblica di acquisto avente ad oggetto la totalità delle azioni emesse da Camfin S.p.A. promossa dal Lauro Sessantuno S.p.A. è rettificato in aumento a euro 0,83, ai sensi degli artt. 106, terzo comma, lett. d), numero 2), del decreto legislativo n. 58 del 24 febbraio 1998 e 47-octies, del Regolamento Emittenti.".

1.1. In via preliminare, debbono respingersi le eccezioni in rito svolte dalla Consob ed aventi riguardo all’ammissibilità dell’intervento ad adiuvandum spiegato dalle società Unicredit ed MTP, il cui interesse sarebbe, secondo l’Autorità, di "mero fatto".

E’ infatti quasi elementare il rilievo secondo cui, nel processo amministrativo (in base ad una consolidata tradizione pretoria, oggi recepita nell’art. 28, comma 2 del Codice del processo amministrativo), anche l’interesse di mero fatto può essere alla base dell’intervento adesivo, c.d. dipendente (cfr., ex multis, Cons. St,, sez. V^, sentenza n.. 6702 del 20.12.2011).

Piuttosto, appare al Collegio opinabile la natura effettivamente "dipendente" di tale intervento, in quanto le due società, essendo agenti "di concerto" con l’Offerente Lauro ai fini della promozione dell’OPA, e degli obblighi ad essa correlati, debbono ritenersi legittimate a proporre un ricorso autonomo (come poi hanno effettivamente fatto con le impugnative iscritte ai nn.11102/2013 e 1114/2013, passate anch’esse in decisione all’odierna camera di consiglio) in qualità di "cointeressate" di Lauro 61.

In linea generale, anche nel processo amministrativo, come nel processo civile, può distinguersi un intervento adesivo autonomo o litisconsortile (con il quale il terzo interveniente propone una domanda propria, sebbene connessa con quella principale), e un intervento adesivo dipendente (con il quale il terzo si limita a chiedere l'accoglimento della domanda già proposta dal ricorrente, senza ampliare in alcun modo il thema decidendum, proponendo autonomi motivi di ricorso).

E’ evidente però che, mentre il primo tipo di intervento, traducendosi nella proposizione di un vero e proprio ricorso, deve essere dispiegato nel termine di decadenza previsto per impugnare in via autonoma, il secondo tipo di intervento (quello adesivo dipendente), non consentendo la proposizione di motivi autonomi, può avvenire anche quando il termine per impugnare in via principale sia già decorso, in quanto, in tale ultimo caso, l'interveniente non propone un autonomo ricorso, ma si limita a chiedere l'accoglimento di quello proposto in via principale, accettando il processo nello stato e nel grado in cui si trova (TAR Lazio, sez. I^, 3 luglio 2012, n. 6028).

Tali principi sono stati oggi espressamente recepiti dal Codice del processo amministrativo, là dove è chiaramente prescritto che "Chiunque non sia parte del giudizio e non sia decaduto dall’esercizio delle relative azioni, ma vi abbia interesse, può intervenire accettando lo stato e il grado in cui il giudizio si trova" (art. 28, comma 2).

Alla luce di quanto testé rilevato, il Collegio reputa che l’intervento ad adiuvandum di Unicredit ed MTP sia ammissibile, in quanto:

- l’atto di intervento è stato proposto in un momento in cui le due società non erano decadute "dall’esercizio delle relative azioni" e quindi nella pendenza del termine per impugnare la delibera n. 18662/2013 e gli atti presupposti;

- gli interventori si sono comunque riservati di spiegare un ricorso autonomo;

- l’intervento (al pari del ricorsi successivamente depositati) non contiene censure sostanzialmente diverse da quelle sollevate da Lauro 61, ma si limita ad offrire una ricostruzione "alternativa" a quella della Consob, con particolare riguardo al ruolo svolto dalle due società.

Per le stesse (speculari) ragioni appena evidenziate, il Collegio reputa ammissibile anche l’intervento ad opponendum dei Fondi Antares.

Infatti, a differenza di quanto inizialmente eccepito dalla ricorrente:

- gli interventori (nel corso del processo) hanno documentato la propria qualità di azionisti di minoranza di Camfin;

- essi si sono comunque riservati di spiegare un’impugnativa autonoma (che hanno poi effettivamente proposto e che è stata pur essa introitata all’odierna camera di consiglio);

- l’intervento non contiene censure autonome ma si limita ad aderire, per quanto riguarda l’accertamento relativo all’esistenza un accordo "collusivo", alle conclusioni di Consob e a preannunciare il contenuto della successiva impugnativa, imperniata, invece, sulla determinazione del prezzo.

2. Il primo gruppo di rilievi svolto da Lauro 61 attiene a vizi di natura procedimentale.

2.1. La società ha in primo luogo sostenuto che la comunicazione di avvio del procedimento avrebbe dovuto essere effettuata nei confronti di tutti i soggetti di cui gli Uffici avevano ipotizzato la partecipazione all’accordo collusivo e, pertanto, ai propri soci (nonché agenti di concerto ai fini della promozione dell’OPA), Allianz e Fonsai, gli ulteriori aderenti al patto Pirelli, nonché la stessa MCI.

Tali soggetti, a dire della ricorrente, subiscono gli effetti diretti dei provvedimenti impugnati o, comunque, ricevono pregiudizio dagli stessi.

2.1.1. Il Collegio rileva che Lauro 61 è carente di interesse a coltivare una censura che, semmai, avrebbe dovuto essere svolta in proprio dai soggetti nei confronti dei quali, in ipotesi, l’Autorità ha omesso di comunicare in via individuale l’avvio del procedimento di rettifica del prezzo dell’OPA.

Tanto ciò è vero che Unicredit ed MTP, dopo avere spiegato intervento ad adiuvandum nel presente giudizio, hanno poi correttamente riformulato la medesima censura all’interno di un ricorso autonomo.

Ad ogni buon conto, il rilievo è, a parere del Collegio, infondato.

Al riguardo, occorre preliminarmente chiarire quale sia la reale natura del procedimento in esame.

Le censure di Lauro e le osservazioni degli interventori ad adiuvandum si fondano sull’assunto per cui il procedimento di rettifica del prezzo dell’OPA avrebbe natura afflittiva e perseguirebbe lo scopo di sanzionare l’illecito plurisoggettivo rappresentato da un accordo "collusivo" finalizzato a deprimere il prezzo dell’OPA, o, comunque, ad eludere la normativa in materia.

Il Collegio reputa invece che l’esame della normativa comunitaria e interna evidenzi chiaramente come l’intervento dell’Autorità sia in realtà un provvedimento amministrativo di natura "rimediale" con cui la Commissione interviene in via autoritativa a modificare la volontà negoziale espressa nel documento di offerta dai soggetti promotori dell’OPA, nella misura necessaria a tutelare gli azionisti di minoranza, nei casi in cui, a tanto, non sia sufficiente la regola del "prezzo più alto pagato", così come declinata nelle ipotesi tipizzate dalla direttiva 2004/25/CE e dal TUF.

Né ovviamente il carattere afflittivo può essere fatto coincidere con la semplice imposizione coattiva del prezzo, essendo l’esecutorietà e autoritatività caratteristiche naturali di tutti i provvedimenti amministrativi e non soltanto di quelli sanzionatori.

Se, infatti, lo scopo della norma fosse quello di "punire" gli autori di un illecito, non si capirebbe perché alcuna misura punitiva, o, comunque, previsione "afflittiva" sia stabilita nei confronti dell’altro necessario partecipe dell’accordo collusivo, ovvero del venditore.

Al fine di comprendere la reale differenza esistente tra i due tipi di provvedimento, può portarsi ad esempio quanto avviene in materia di tutela della concorrenza, in cui l’Autorità Garante non ha (a differenza delle Autorità di settore), il potere di intervenire a correggere le distorsioni del mercato indotte da illeciti concorrenziali, bensì soltanto quello di emettere ordini inibitori ed, eventualmente, di applicare sanzioni amministrativa pecuniarie.

In tale ambito, perciò, la tutela del mercato è affidata alla repressione degli accordi (ovvero delle pratiche concordate) che abbiano per oggetto o anche solo per effetto l'impedire, il restringere o il falsare in maniera consistente il gioco della concorrenza all'interno del mercato nazionale o in una sua parte rilevante, e al valore deterrente delle sanzioni amministrative pecuniarie, di importo, spesso, assai elevato (cfr., ex plurimis, Cons. St., sez. VI , 9.2.2011, n.896).

Nel caso in esame, invece, l’accertamento dell’esistenza di un accordo collusivo (sulla cui esatta definizione, ci si soffermerà più oltre) è il presupposto di fatto per l’esercizio del potere di rettifica del prezzo, la cui finalità è esclusivamente quella di ristabilire una situazione di equità a tutela degli azionisti di minoranza, facendo ad essi conseguire lo stesso vantaggio spuntato dal possessore di una partecipazione rilevante o di controllo.

Il Collegio non ignora che, secondo la dottrina, l’attribuzione alla Consob di potestà sanzionatorie rappresenta il naturale completamento del sistema di regolazione, in quanto ne rafforza i poteri di controllo e costituisce un mezzo "indiretto" di governo dello specifico settore.

La continuità, ovvero complementarità, tra misure regolatorie e misure sanzionatorie non elide tuttavia il fatto che esse siano concettualmente distinte e autonomamente disciplinate sul piano sostanziale e procedimentale.

La differenza, per così dire, sistematica, tra i poteri esercitabili, per quanto qui interessa, ai sensi dell’art. 106 del TUF (in combinato disposto con il precedente art. 91) a tutela degli investitori, dell’efficienza, e della trasparenza del mercato azionario, e quelli, invece, relativi all’applicazione delle sanzioni, pecuniarie ed interdittive, nei confronti degli esponenti aziendali (in particolare, ai sensi dell’art. 192 del TUF), è oggi plasticamente evidenziata dal differente assetto delle giurisdizioni, scaturito dalla nota sentenza della Corte Costituzionale n. 162 del 27 giugno 2012 che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale degli articoli 133, comma 1, lettera l), 135, comma 1, lettera c), e 134, comma 1, lettera c), del Codice del processo amministrativo nella parte in cui attribuivano alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo con cognizione estesa al merito e alla competenza funzionale del TAR Lazio, sede di Roma, le controversie in materia di sanzioni irrogate dalla Consob, sia di natura pecuniaria che di tenore interdittivo.

Pertanto, al giudice amministrativo residua, oggi, la sola competenza, in sede di legittimità, a verificare il corretto esercizio dei poteri di regolazione e di vigilanza sui mercati finanziari

E’ appena il caso di aggiungere che, nel caso in esame, non risulta nemmeno che, dopo l’accertamento della "collusione" posta alla base della rettifica del prezzo dell’OPA, siano stati avviati procedimenti sanzionatori ai sensi del TUF nei confronti di Lauro 61, dei suoi soci, ovvero del venditore MCI.

Chiarito dunque che il provvedimento all’odierno esame non ha natura "punitiva", occorre ricordare che, ai sensi dell’art. 7 della legge sul procedimento, la comunicazione di avvio deve essere data ai soli soggetti nei cui confronti il provvedimento finale è destinato a produrre effetti diretti, ovvero ai soggetti (individuati ovvero facilmente individuabili), che dai suddetti provvedimenti possano ricevere un pregiudizio.

Al riguardo, è parere del Collegio che anche tale pregiudizio debba essere obiettivamente apprezzabile e che debba comunque derivare dal provvedimento in sé, inteso quale fonte di effetti "tipizzati" e non anche di effetti riflessi, derivanti, ad esempio, dalla sua divulgazione.

Diversamente opinando, la platea dei soggetti che hanno diritto alla comunicazione diventerebbe indeterminata, o, comunque, altamente opinabile, con notevole pregiudizio per il principio di efficacia dell’azione amministrativa, che, al pari delle garanzie partecipative, costituisce il cardine della l. n. 241/990

Nel caso in esame, ad esempio, se il lamentato "danno reputazionale" fosse davvero elemento scriminante ai fini del sorgere dell’obbligo di comunicazione dell’avvio del procedimento, avrebbero dovuto ricevere la comunicazione anche i singoli esponenti aziendali i cui atti e comportamenti hanno formato oggetto di analisi e di valutazione nel corso dell’istruttoria.

Come già evidenziato, invece, la rettifica del prezzo di offerta è l’unico effetto tipico, proprio del procedimento disciplinato dall’art. 47 – octies del Regolamento Emittenti di cui qui si verte.

Al più, una distinta, ulteriore comunicazione, avrebbe potuto ipotizzarsi nei soli confronti dei soggetti che hanno agito di concerto con l’Offerente ai fini della promozione dell’OPA (e cioè Unicredit, MTP, Intesa e Clessidra) in quanto "solidalmente tenuti agli obblighi previsti dagli articoli 106 e 108" del TUF (così l’art. 109 del d.lgs. n. 58 del 1998).

Anche in questo caso, però, i rilievi di Lauro appaiono del tutto formali.

La società ricorrente costituisce infatti, come già chiarito, un società "veicolo", creata all’esclusivo fine di realizzare l’operazione di cui trattasi.

Essa è stata costituita (come dichiarato nell’ambito del presente giudizio, e come risulta dal documento di offerta), da Marco Tronchetti Provera & C. s.p.a., tramite alcune società dallo stesso controllate, il fondo Clessidra (tramite Lauro cinquantaquattro s.r.l.), Intesa San Paolo s.p.a. e Unicredit s.p.a. al fine della realizzazione dell’offerta, a seguito della sottoscrizione in data 4 giugno 2013 di apposito accordo quadro e di patti parosociali tra i soci sopra indicati (per i cui dettagli si rinvia al documento di offerta, visionabile anche sul sito internet dell’Autorità).

Ne deriva che, a parere del Collegio, la comunicazione effettuata alla società era idonea a tutelare anche gli interessi dei soci, specie se, come nel caso di specie, essi detengano partecipazioni rilevanti (Unicredit) o di controllo (MTP).

Inoltre, nel corso del procedimento, la Consob ha, da un lato, rivolto specifiche richieste di informazioni (ai sensi dell’art. 115 del TUF) ai soggetti di cui veniva ipotizzata la possibile partecipazione ad un accordo collusivo (tra cui MTP, Unicredit e MCI), dall’altro ha reso noto al mercato di avere avviato un procedimento per il rialzo del prezzo dell’OPA sulle azioni Camfin con comunicato del 12 settembre 2013.

Tale comunicazione ha messo in grado i soggetti attinti dalla richiesta di informazioni (tra i quali, i soci finanziatori dell’Offerente), di intervenire nel procedimento, così come previsto dall’art. 9 della l. n. 241/90 ("Qualunque soggetto, portatore di interessi pubblici o privati, nonché i portatori di interessi diffusi costituiti in associazioni o comitati, cui possa derivare un pregiudizio dal provvedimento, hanno facoltà di intervenire nel procedimento"), e di conseguire piena conoscenza degli elementi al vaglio dell’Autorità attraverso l’esercizio del diritto disciplinato dall’art. 10, lett. a) della legge sul procedimento (cfr., sulla valenza sostanziale e non formale del rispetto delle garanzie partecipative, Cons. St., sez. IV, sentenza n. 4764 del 26.9.2013).

Lauro 61 ha poi collegato l’ambito soggettivo dell’adempimento prescritto dall’art. 47 –sexies del Regolamento emittenti, al carattere "necessariamente plurisoggettivo" della collusione per cui l’Offerente non potrebbe contrastare efficacemente gli addebiti a carico di terzi senza la loro partecipazione al procedimento.

Anche in questo caso l’argomentazione risente dell’errata prospettiva "sanzionatoria" da cui muove la ricorrente, laddove, come già chiarito, l’accertamento di un’operazione rilevante ai fini dell’esercizio del potere di rettifica del prezzo di offerta non ha rilievo in sé, ma solo quale presupposto per l’eventuale intervento rettificativo della Consob.

In tale ipotesi, l’adeguatezza dell’istruttoria è assicurata non già dal contraddittorio procedimentale bensì dal corretto esercizio degli ampi poteri officiosi all’uopo attribuiti alla Commissione, tra i quali spiccano, oltre quelli disciplinati dal già citato art. 115, quelli elencati dall’art. 187 – octies del TUF.

Nel caso in esame, peraltro, tutti i soggetti che, secondo l’Offerente, avrebbero dovuto essere messi in condizione di partecipare al procedimento, sono stati previamente interessati da una dettagliata richiesta di "informazioni", con la conseguenza che, venuti a conoscenza della successiva, effettiva apertura di un procedimento per la rettifica del prezzo di offerta (attraverso l’apposita comunicazione al mercato), ove avessero ritenuto opportuna la propria partecipazione, avrebbero potuto agevolmente formulare una richiesta di intervento.

Con specifico riferimento alla posizione di Unicredit ed MTP - nella misura in cui i rilievi svolti dalle società possano considerarsi un’autonoma censura (comunque, riproposta anche nel corpo dei rispettivi ricorsi) - va poi ricordato che, ormai, è ampiamente consolidato l’orientamento secondo cui "sebbene, la norma di cui all'art. 21 - octies, comma 2, della cit. l. n. 241 del 1990 ponga in capo all'amministrazione (e non del privato) l'onere di dimostrare, in caso di mancata comunicazione dell'avvio, che l'esito del procedimento non poteva essere diverso, tuttavia, onde evitare di gravare la p.a. di una probatio diabolica (quale sarebbe quella consistente nel dimostrare che ogni eventuale contributo partecipativo del privato non avrebbe mutato l'esito del procedimento), risulta preferibile interpretare la norma in esame nel senso che il privato non possa limitarsi a dolersi della mancata comunicazione di avvio, ma debba anche quantomeno indicare o allegare quali siano gli elementi conoscitivi che avrebbe introdotto nel procedimento ove avesse ricevuto la comunicazione.

Solo dopo che il ricorrente ha adempiuto questo onere di allegazione (che la norma implicitamente pone a suo carico), la p.a. sarà gravata del ben più consistente onere di dimostrare che anche ove quegli elementi fossero stati valutati, il contenuto dispositivo del provvedimento non sarebbe mutato" (Cons. St., sez. VI, 29 luglio 2008 , n. 3786; cfr. anche, da ultimo, sez. V, 20.8.2013, n. 4192).

Nel caso di specie, né MTP né Unicredit hanno allegato quali elementi di novità (non vagliati dall’Autorità) avrebbero introdotto nel procedimento ove avessero ricevuto una comunicazione individuale.

Ciò posto, deve correlativamente escludersi che l’art. 47 sexies, comma 4, del Regolamento Emittenti, che prevede la comunicazione di avvio del procedimento per l’aumento del prezzo dell’OPA al solo Offerente, sia in contrasto con la l.n. 241/90, o che, comunque, siffatta disciplina debba essere adattata alla peculiare ipotesi di "collusione" 106, comma 3, lett. d), n. 2 del TUF.

Semmai, la norma deve essere interpretata nel senso che l’espressione "offerente" comprende anche le "persone che agiscono di concerto" ai sensi dell’art. 109, in quanto solidalmente tenute agli obblighi previsti dagli artt. 106 e 108 del TUF, e, pertanto, nella stessa posizione dell’offerente.

Nel caso in esame, peraltro, come già evidenziato, sia Unicredit che MTP, pur non avendo ricevuto una comunicazione individuale, sono state comunque messe in grado di intervenire nel procedimento e quindi di esercitare le facoltà disciplinate dal successivo comma 5, che, a ben vedere, costituisce semplicemente la trasposizione nell’ordinamento di settore della norma contenuta nel già citato art. 9 della l. n. 241/90.

Debbono ritenersi irrilevanti, invece, nella materia di cui trattasi, ulteriori e diverse disposizioni regolamentari (quali la delibera Consob n.18388/2012 recante il Regolamento generale sui procedimenti amministrativi di competenza dell’Autorità), non solo in quanto pariordinate rispetto al Regolamento Emittenti, ma, soprattutto in quanto pienamente derogabili da quest’ultimo, stante il carattere speciale della relativa disciplina.

Per quanto occorrer possa, il Collegio osserva che l’art. 1, comma 2, della delibera n. 18388/2012, fa espressamente salva la "disciplina specifica di singoli procedimenti contenuta in altre disposizioni di legge, di regolamento o di atto a contenuto generale".

Inoltre, nella parte relativa alla comunicazione di avvio del procedimento, essa si limita a statuire che "Dell'avvio del procedimento è data comunicazione personale agli interessati. Con le stesse modalità ne è fornita notizia ai controinteressati".

In sostanza, la delibera non ha valenza sostitutiva della disciplina procedimentale contenuta nell’art. 47 – sexies del Regolamento Emittenti, bensì, meramente integrativa.

2.2. Con ulteriore ordine di rilievi, parte ricorrente ha poi lamentato di non avere potuto compiutamente esercitare il diritto di prendere visione degli atti del procedimento, ai sensi dell’art. 10, comma 1, lett. a), della l. n. 241/90.

2.2.1. In materia di accesso agli atti della Consob, l’orientamento giurisprudenziale è ormai consolidato, e può essere riassunto nei termini che seguono (cfr., in particolare, TAR Lazio, sez. I^, sentenza n. 13895 del 28.5.2010).

In primo luogo, è stato chiarito che anche in materia di accesso agli atti della Commissione, nel bilanciamento di interessi che connota la relativa disciplina, il diritto di accesso prevale sull'esigenza di riservatezza del terzo ogniqualvolta venga in rilievo per la cura o difesa di interessi giuridici del richiedente, salvo che non si tratti di dati personali (c.d. dati sensibili) o di atti idonei a rivelare lo stato di salute o la vita sessuale di terzi, nel qual caso l'art. 16, co. 2, del D.Lgs. 135/1999 (ora art. 60 D. Lgs. 196/2003) prescrive che l'accesso è possibile solo se il diritto che il richiedente deve far valere o difendere è di rango almeno pari a quello della persona cui si riferiscono i dati stessi (cfr, Cons. Stato, VI, 26 aprile 2005 n. 1896).

L'art. 4, co. 10, del D.Lgs. 58/1998 dispone che tutte le notizie, le informazioni e i dati in possesso della Consob in ragione della sua attività di vigilanza sono coperti dal segreto d'ufficio anche nei confronti delle pubbliche amministrazioni, ad eccezione del Ministro dell'economia e delle finanze; sono fatti salvi i casi previsti dalla legge per le indagini relative a violazioni sanzionate penalmente.

La Corte costituzionale, con la sentenza interpretativa di rigetto n. 460 del 3 novembre 2000, ha dichiarato non fondata, nei sensi di cui in motivazione, la questione di legittimità costituzionale di tale norma in riferimento agli artt. 2, 3, 11, 21, 24, 97, co. 1, e 98, co. 1, Cost.

La questione di legittimità costituzionale era stata sollevata dal Consiglio di Stato, con ordinanza in data 26 febbraio 1999, relativamente alla parte in cui la norma preclude indiscriminatamente l'accesso a qualsiasi notizia, informazione e dato venuti in possesso della Consob in connessione con la sua attività di vigilanza, pur quando questi dati, notizie ed informazioni siano evocati a fondamento dell'avvio di un procedimento disciplinare contro un soggetto operante nel settore "retto" dalla predetta Commissione.

Il supremo giudice delle leggi, premesso che vengono in considerazione, in maniera assorbente e nel loro congiunto operare, il diritto di difendersi (art. 24 Cost.), la trasparenza e l'imparzialità della pubblica amministrazione, anche nell'esercizio della potestà sanzionatoria (art. 97 Cost.), e la non discriminazione, nei procedimenti disciplinari, dei cittadini che svolgono attività lavorative o di libera professione (art. 3 Cost.), ha evidenziato che l'art. 4, co. 10, del D.Lgs. 58/1998, interpretato alla lettera e avulso da ogni altra disposizione o principio legislativo e dagli stessi principi costituzionali richiamati, sembrerebbe in effetti deporre nel senso che le notizie, le informazioni e i dati che la Consob possiede in ragione della sua attività di vigilanza siano coperti dal segreto d'ufficio anche, indistintamente, nei confronti dei terzi, compresi i soggetti operanti nel settore sottoposto a vigilanza, pur quando siano coinvolti in un procedimento disciplinare instaurato dalla medesima Consob.

Peraltro, sulla base di una interpretazione sistematica della norma, la Corte ha desunto che la sfera di applicazione dell'art. 4, co. 10, D.Lgs. 58/1998, quale che ne sia l'effettiva estensione, con certezza non comprende gli atti, le notizie e i dati in possesso della Commissione in relazione alla sua attività di vigilanza, posti a fondamento di un procedimento disciplinare, sicché questi nei confronti dell'interessato non sono affatto segreti e sono invece pienamente accessibili non solo nel giudizio di opposizione alla sanzione disciplinare ma anche nello speciale procedimento di accesso regolato dall'art. 25 L. 241/1990, strumento esperibile anche dall'incolpato nei procedimenti disciplinari, per orientare preventivamente l'azione amministrativa onde impedirne eventuali deviazioni.

Con sentenza n. 32 del 26 gennaio 2005, la Corte ha nuovamente dichiarato non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 4, co. 10, del D.Lgs. 58/1998 sollevata dal Consiglio di Stato con ordinanza del 5 luglio 2002, in riferimento agli artt. 3, 24, 76 e 97 Cost., nella parte in cui la norma assoggetta al segreto d'ufficio l'intera documentazione in possesso della Consob in ragione della sua attività di vigilanza.

In tale occasione la Corte ha avuto modo di chiarire che in nessun caso la protezione di un interesse costituzionale, quale certamente è la stabilità dei mercati finanziari, riconducibile nell'ambito tematico dell'art. 47 Cost., può giungere a legittimare la sostanziale segretezza nei confronti dello stesso interessato dei documenti che fondano un procedimento a suo carico.

La giurisprudenza costituzionale, quindi, ha indicato che la norma in discorso, letta alla luce dell'ordinamento complessivo, non assoggetta al segreto d'ufficio, sempre e comunque, l'intera documentazione in possesso della Consob in ragione dell'attività di vigilanza.

Pertanto, così come nel caso di procedimento disciplinare ex art. 196 del D.Lgs. 58/1998, anche in presenza di un procedimento sanzionatorio ex art. 195 dello stesso testo di legge, ovvero, come nel caso di specie, di un provvedimento di "vigilanza", non può essere esclusa ex ante, nei confronti dei soggetti interessati, la possibilità di visionare tutti gli atti del procedimento in quanto in tal caso la trasparenza amministrativa è principalmente funzionale a tutelare il diritto di difesa in senso stretto.

Nella stessa direzione, come già evidenziato, milita l'art. 16 della L. 15/2005 che, nel sostituire l'art. 24 della L. 241/1990, ha previsto alla lett. a) del primo comma l'esclusione del diritto di accesso, tra l'altro, nei casi di segreto o di divieto di divulgazione espressamente previsti dalla legge, stabilendo però al successivo settimo comma che deve comunque essere garantito ai richiedenti l'accesso ai documenti amministrativi la cui conoscenza sia necessaria per curare o per difendere i propri interessi giuridici.

D'altra parte, a fronte di un eventuale uso improprio delle indicazioni ritraibili dalla documentazione rispetto alla quale viene sollecitato l'accesso, ben potrebbero venire in considerazione le altre difese ordinamentali poste a tutela della riservatezza dei terzi, della stabilità dei mercati finanziari o comunque degli ulteriori interessi che rilevano nella fattispecie.

Le indicazioni sistematiche della Corte Costituzionale sono state recepite anche dall'ordinamento positivo (sia pure con specifico riguardo ai veri e propri provvedimenti sanzionatori).

In particolare, l'art. 195 del d.lgs. n. 58/98, nel testo sostituito dall'art. 9, comma 2, della l. 18 aprile 2005, n. 62, stabilisce, al comma 2, che "Il procedimento sanzionatorio è retto dai princìpi del contraddittorio, della conoscenza degli atti istruttori, della verbalizzazione nonché della distinzione tra funzioni istruttorie e funzioni decisorie".

Ancora più chiaramente l'art. 24 della l. 28.12.2005, n. 262 ("Disposizioni per la tutela del risparmio e la disciplina dei mercati finanziari") prevede che "I procedimenti di controllo a carattere contenzioso e i procedimenti sanzionatori sono inoltre svolti nel rispetto dei princìpi della facoltà di denunzia di parte, della piena conoscenza degli atti istruttori, del contraddittorio, della verbalizzazione nonché della distinzione tra funzioni istruttorie e funzioni decisorie rispetto all'irrogazione della sanzione".

La giurisprudenza amministrativa ha altresì precisato, relativamente alla pertinenza della documentazione richiesta all’esercizio del diritto di difesa, che la cit. decisione della Corte Costituzionale, n. 460 del 2000, ha indicato un criterio di "rilevanza" legalmente tipizzato, laddove, nell'escludere l'incondizionata rilevanza del segreto d'ufficio ai sensi dell'art. 4, comma 10, D.lgs. 58/1998, nei confronti dell'interessato destinatario di un provvedimento sanzionatorio, ha richiamato, ai sensi del rinvio di cui all'art. 196, co. 3, del D.lgs. medesimo, le disposizioni della legge 24 novembre 1981, n. 689, tra cui la prescrizione dell'art. 23, co. 2, s.l. in base alla quale, nel giudizio di opposizione, l'Autorità deve produrre "copia del rapporto con gli atti relativi all'accertamento".

Se l'accertamento, dunque, discende da un'attività ispettiva nei confronti di un soggetto determinato, "è da ritenere che la relazione che, in un unico contesto documentale, dia conto delle indagini e delle attività di presa di conoscenza che abbiano poi dato luogo a delle contestazioni ai fini di un procedimento sanzionatorio, non possa non definirsi "atto relativo all'accertamento", ancorché solo parte dell'attività ispettiva sia posta a base delle contestazioni poi effettuate. La relazione ispettiva unitariamente redatta, e gli atti (es. nota tecnica) che ne conseguono, infatti, non sono, in linea di principio, scindibili alla stregua di un atto avente contenuto plurimo, perché tale attività istruttoria è comunque, ai fini delle esigenze difensive dell'interessato, caratterizzata da un'unitarietà dei soggetti incaricati, delle metodologie di indagine in concreto utilizzate, e, risulta quale manifestazione unitaria della potestà ispettiva, capace di indicare un "modus operandi" dell'Autorità procedente che, complessivamente, costituisce la premessa di un'attività selettiva dei dati acquisiti, globalmente rilevante nei confronti dell'interessato." (Cons.St, sez. VI, 7 novembre 2006, n. 6562).

Rimane tuttavia salva la possibilità per l’amministrazione di indicare, specificamente, l'autonomia fattuale e valutativa di una parte della contestuale attività ispettiva, ai fini dell'instaurazione di un distinto procedimento a carico di terzi ovvero ai fini di un possibile ulteriore procedimento a carico dello stesso interessato, che però necessiti di un completamento, ai fini della formalizzazione di eventuali addebiti (così ancora Cons. St., sentenza n. 6562/2006, cit.).

2.2.2. Nella fattispecie, parte ricorrente ha sostenuto che, nonostante le plurime richieste avanzate, sia prima che dopo la conclusione del procedimento, non sarebbe riuscita ad ottenere tutto il materiale raccolto in sede ispettiva, e che, comunque, le sarebbe stato fornito solo il materiale previamente "selezionato", vuoi dallo stesso Ufficio ispettivo, vuoi dall’Ufficio Opa che ha condotto l’istruttoria.

Dagli atti del procedimento risulta tuttavia che:

- già a partire dal secondo accesso, avvenuto in data 18 ottobre 2013, Consob ha messo a disposizione della ricorrente tutti gli elementi documentali trasmessi dalla Divisione Ispettorato agli Uffici di Vigilanza, ivi comprese le relazioni di trasmissione;

- nell’accesso del 25 settembre 2013 sono stati forniti gli elenchi dell’intera documentazione acquisita in sede ispettiva (anche di quella non trasmessa agli Uffici di vigilanza);

- dopo tale acquisizione, Lauro 61 non ha saputo individuare gli specifici documenti (non utilizzati dall’Ufficio di Vigilanza) che avrebbero comunque potuto essere di proprio interesse, sebbene non confluiti agli atti del procedimento, né ha richiesto proroghe per formulare osservazioni.

Il Collegio rileva altresì che non è stato fornito dalla ricorrente alcun elemento idoneo a supportare la tesi che l’Ufficio ispettivo, contrariamente alle disposizioni organizzative interne della Consob, abbia effettuato una propria "ricostruzione" dei fatti, inviando all’Ufficio Opa il solo materiale ritenuto utile a sostenere l’ipotesi accusatoria, né che tale selezione sia stata effettuata da quest’ultimo Ufficio in sede di accesso.

Relativamente, poi, agli atti ostesi solo successivamente alla conclusione del procedimento (quali le relazioni alla Commissione predisposte dagli Uffici, ovvero i verbali dei lavori della Commissione), è importante sottolineare che, dopo la relativa acquisizione, parte ricorrente non ha ritenuto di svolgere motivi aggiunti (come pure aveva preannunciato).

Tale circostanza, conferma che la non immediata conoscenza delle proposte degli Uffici ovvero dei lavori della Commissione, non ha in realtà arrecato alcun "vulnus" al suo diritto di partecipazione e di difesa.

Deve poi condividersi quanto fatto evidenziare dal patrocinio della Consob circa il fatto che tali documenti sono stati richiesti solo con la quarta richiesta di accesso (avanzata quando il provvedimento era stato ormai adottato) e che solo successivamente, con altra istanza, sono stati richiesti i verbali dei lavori della Commissione aventi ad oggetto l’esame delle predette relazioni.

Per quanto occorrer possa (considerato che, come già evidenziato, non sono stati svolti formali motivi aggiunti), sicuramente alcun pregiudizio può avere arrecato alla ricorrente il fatto di non aver potuto valutare che, già in data 27 agosto 2013, e cioè prima ancora di concludere gli accertamenti istruttori, gli Uffici avessero rappresentato alla Commissione, come dato certo ed acquisito, la sicura esistenza dei fatti posti alla base della delibera.

E’ infatti del tutto naturale che gli Uffici debbano procedere ad una ipotesi ricostruttiva sufficientemente dettagliata, tale da consentire alla Commissione di assumere una decisione pienamente consapevole.

Né rileva che detta ricostruzione sia simile a quella contenuta nella successiva Relazione predisposta ai fini della decisione sull’effettivo avvio del procedimento, in quanto tale evenienza è verosimilmente conseguenza del fatto che l’ulteriore attività istruttoria nel frattempo compiuta (tra cui l’acquisizione delle prime controdeduzioni fornite dalle parti), non aveva apportato elementi di novità tali da modificare l’ipotesi ricostruttiva operata dagli Uffici.

Neppure rileva la circostanza che parte ricorrente sia venuta a conoscenza solo dopo la conclusione del procedimento della richiesta avanzata da uno dei Commissari, nella seduta del 12.9.2013, circa l’avvenuto espletamento di accertamenti relativi all’esistenza di possibili flussi finanziari intercorrenti tra l’Offerente ed Allianz e Fonsai o soggetti agli stessi riconducibili, onde rilevare eventuali trasferimenti di utilità economiche.

Infatti, anche in questo caso, la mancata conoscenza, in una fase precedente all’adozione del provvedimento impugnato, dell’esistenza di siffatta richiesta (o, comunque, circa eventuali perplessità esistenti in seno alla Commissione relativamente alla ricostruzione operata dagli Uffici) non ha arrecato alcun vulnus alla ricorrente, la quale, sia in sede procedimentale, che nella presente sede processuale, ha comunque ampiamente argomentato in ordine alla tesi relativa alla necessità che, ai fini dell’accordo collusivo, l’esborso economico relativo al compenso aggiuntivo conseguito dal venditore debba essere sopportato dall’Offerente.

Va comunque evidenziato che i verbali relativi alle decisioni della Commissione, in quanto rappresentativi del processo decisionale interno, non sono documenti utilizzati ai fini dell’accertamento.

Essi, quindi, non potevano formare oggetto di accesso nel corso del procedimento ma, semmai, come effettivamente avvenuto, solo successivamente, ai fini dell’impugnativa in sede giurisdizionale.

2.3. L’ultima censura di carattere strettamente procedimentale riguarda la violazione del principio di separazione tra funzioni istruttorie e decisorie sancito dall’art. 24 della l. n. 262/2005.

La censura è stata poi ulteriormente approfondita e coltivata nella memoria di Lauro del 4.11.2011, in cui la ricorrente ha fatto riferimento alla delibera Consob n. 15086 del 21.6.2005 (recante il "Regolamento sul procedimento sanzionatorio della Consob"), secondo la quale l’attività istruttoria sui comportamenti passibili di sanzioni è affidata alla Divisione operativa competente, mentre la valutazione delle risultanze dell’istruttoria è attribuita alla competenza dell’Ufficio sanzioni amministrative.

E’ evidente che le argomentazioni di parte ricorrente risentono dell’impostazione "punitiva" del procedimento per la correzione del prezzo di offerta che si è, in precedenza, già confutata.

Deve pertanto convenirsi con la Consob che, attesa la pacifica inapplicabilità delle specifiche disposizioni organizzative dettate in materia sanzionatoria, nel caso in esame la ripartizione delle attività istruttorie e valutative rientra nell’esclusiva autonomia organizzativa della Commissione, e non assume rilevanza esterna.

Vale infine la pena di evidenziare come la circostanza che la valutazione delle risultanze istruttorie sia stata condotta in seno alla medesima Divisione operativa, non ha comunque potuto conculcare le competenze della Commissione, alla quale compete, in via esclusiva, la vera e propria attività deliberativa.

3. Nell’ordine logico delle questioni, vanno poi esaminate le argomentazioni attraverso cui parte ricorrente ha sostenuto che l’attività della Commissione, nella materia di cui trattasi, avrebbe dovuto ispirarsi al c.d. "divieto di gold plating" ovvero al divieto di introdurre, nel recepimento di direttive comunitarie, adempimenti aggiuntivi rispetto a quelli previsti dalle direttive stesse così come previsto dall’art. 15, comma 2, della legge 12 novembre 2011, n. 183.

3.1. Osserva in primo luogo il Collegio che il divieto di "gold plating" è stato inserito nell’ordinamento da una norma di legge (ordinaria) successiva al recepimento delle modifiche della direttiva OPA, qui in esame, nonché alle conseguenti modifiche del Regolamento emittenti.

Ne deriva che l’invocato divieto può rilevare, semmai, solo come principio direttivo dell’esercizio delle potestà di cui è attributaria l’Autorità, le quali debbono conformarsi ai canoni della idoneità, necessarietà e proporzionalità agli scopi che la legge persegue.

Nel caso di specie, esso si riduce soltanto a verificare se la Commissione abbia correttamente applicato la disciplina in materia di OPA, la quale, nella declinazione datane dal TUF, si ispira espressamente al canone della "proporzionalità" dell’attività amministrativa.

Al riguardo, l’art. 106, comma 3, lett. d) del d.lgs. n. 58/98, rimette infatti al prudente apprezzamento della Commissione di valutare se, ricorrendo una delle ipotesi elencate, l’aumento del prezzo dell’OPA sia effettivamente necessario "alla tutela degli investitori".

In sostanza, la rettifica del prezzo non è una conseguenza vincolata dell’accertamento dell’esistenza di un accordo "collusivo" bensì scaturisce da una valutazione discrezionale della Commissione.

Questione diversa è invece quella della conformità delle norme del TUF relative alla "collusione", alla direttiva 2004/25/CE, poiché Lauro ha sostenuto (sviluppando tale argomentazione con successive memorie), che esse violano i canoni della "certezza" e della "predeterminazione" ai quali Stati membri debbono ispirarsi nel disciplinare ulteriori ipotesi (rispetto a quelle esemplificate dalla stessa direttiva) di rettifica del prezzo.

Al riguardo, valga quanto segue.

3.2. Il potere della Consob di modificare in aumento il prezzo di un’offerta pubblica di acquisto è previsto dall’art. 106, comma 3, lettera d), del TUF, che delega la stessa Autorità di vigilanza a disciplinare in via regolamentare le ipotesi in cui "l’offerta, previo provvedimento motivato della Consob, è promossa ad un prezzo superiore a quello più elevato pagato purché ciò sia necessario per la tutela degli investitori e ricorra almeno una delle seguenti circostanze:

1) l'offerente o le persone che agiscono di concerto con il medesimo abbiano pattuito l'acquisto di titoli ad un prezzo più elevato di quello pagato per l'acquisto di titoli della medesima categoria;

2) vi sia stata collusione tra l'offerente o le persone che agiscono di concerto con il medesimo e uno o più venditori;

[...]

4) vi sia il fondato sospetto che i prezzi di mercato siano stati oggetto di manipolazione".

L’ipotesi prevista dal numero 2 di tale disposizione è stata poi ulteriormente disciplinata dal Regolamento Emittenti adottato dalla Consob il cui art. 47- octies prevede la rettifica in aumento del prezzo di offerta allorché "dalla collusione accertata tra l’offerente o le persone che agiscono di concerto con il medesimo e uno o più venditori emerga il riconoscimento di un corrispettivo più elevato di quello dichiarato dall’offerente. In tal caso, il prezzo dell’offerta è pari a quello accertato".

Nel provvedimento impugnato la Consob ricorda come nel documento di consultazione che ha preceduto l’adozione delle modifiche regolamentari, tale norma ha previsto l’occorrenza della fattispecie nel presupposto "che l’operazione oggetto di collusione abbia determinato, di fatto, un’acquisizione di titoli ad un prezzo superiore a quello più elevato pagato dall’offerente e dalle persone che agiscono di concerto con il medesimo […]. Si fa riferimento, ad esempio, alle situazioni in cui parte del corrispettivo per l’acquisizione della partecipazione di controllo è stato "nascosto" con contratti collaterali al contratto di compravendita delle azioni (ad es. con la compravendita di un immobile a prezzi superiori a quelli di mercato per celare parte del corrispettivo relativo alla partecipazione di controllo)".

Come già evidenziato, "il potere di modificare il prezzo di un’offerta pubblica di acquisto, è stato introdotto nell’ordinamento interno in sede di recepimento della Direttiva 2004/25/CE sulla base di una facoltà dalla stessa concessa agli Stati membri – in deroga alla regola generale (art. 5, paragrafo 4, primo alinea) che fissa il prezzo equo in quello ‘massimo pagato per gli stessi titoli dall’offerente, o da persone che agiscono di concerto con lui’– di autorizzare, ‘le autorità di vigilanza a modificare il prezzo di cui al comma precedente in circostanze e secondo criteri chiaramente determinati. A tale scopo, possono redigere un elenco di circostanze nelle quali il prezzo massimo può essere modificato, verso l’alto o verso il basso, come ad esempio se il prezzo massimo è stato concordato tra l’acquirente ed un venditore, se i prezzi di mercato dei titoli in oggetto sono stati manipolati, se i prezzi di mercato in generale o in particolare sono stati influenzati da eventi eccezionali, o per permettere il salvataggio di un’impresa in difficoltà’ (art. 5, paragrafo 4,secondo alinea)".

E’ sempre la Commissione a ricordare che "la Direttiva (e così il legislatore interno) ammette, dunque, che vi siano circostanze le cui peculiarità non consentono di ritenere ‘equo’ il prezzo individuato secondo la regola generale del prezzo più alto pagato dall’offerente e che, pertanto, in tali casi esso debba essere diversamente determinato".

Va ancora soggiunto che la direttiva 2004/25/CE, è una direttiva c.d. di "armonizzazione minima", la quale, come si legge nell’art. 1 "stabilisce misure di coordinamento delle disposizioni legislative, regolamentari, amministrative, dei codici di condotta e degli altri regimi degli Stati membri".

Essa cioè persegue lo scopo non già di rendere uniformi gli ordinamenti, quanto di creare un insieme di garanzie minime "equivalenti" in tutta la Comunità ed un "contesto chiaro e trasparente a livello comunitario per quanto riguarda i problemi giuridici da risolvere nel caso di offerte pubbliche di acquisto" al fine di "prevenire distorsioni nei processi di ristrutturazione societaria a livello comunitario causate da diversità arbitrarie nelle culture di regolamentazione e di gestione" (considerando n. 1 e n. 3).

Pur nel contesto di tali garanzie minime, la direttiva lascia liberi gli Stati di "autorizzare le autorità di vigilanza a modificare il prezzo di cui al comma precedente [n.d.r.: il prezzo massimo pagato per gli stessi titoli dall’offerente in un periodo predeterminato] in circostanze e secondo criteri chiaramente determinati [...]".

Il canone di "certezza" richiamato dalla direttiva deve poi essere rapportato (come emerso già nei lavori preparatori delle modifiche del Regolamento Emittenti), alla necessità di "ridurre il grado di incertezza del mercato in corso di OPA" allo scopo "di non introdurre elementi distorsivi nel comportamento di venditori ed offerenti, quale l’aspettativa di un diverso corrispettivo di offerta".

In sostanza, il livello di determinatezza richiesto dalla disciplina comunitaria ha esclusivo riguardo al comportamento dei mercati, con la conseguenza che, nel recepimento della direttiva, non vi era alcuna necessità che il legislatore delineasse fattispecie di intervento dell’Autorità di Vigilanza aventi lo stesso grado di tipicità richiesto dalle norme incriminatrici penali ovvero da quelle che configurano illeciti amministrativi.

E’ anzi noto che, proprio nel campo della regolazione e della vigilanza sui mercati e/o nell’ambito della tutela della concorrenza, è assai frequente l’adozione di "concetti indeterminati" che spetta alle Autorità indipendenti, in quanto dotate di un alto tasso di discrezionalità tecnica, interpretare e applicare in concreto.

In altre parole è all’Autorità che spetta, attraverso l’attività di regolazione e di vigilanza, di "contestualizzare" il contenuto delle regole e dei divieti posti dal legislatore, fornendo in tal modo a tutti gli operatori economici indicazioni utili a valutare, ex ante, la liceità dei propri comportamenti.

Nel caso in esame, la stessa direttiva 2004/25/CE, nell’elencare le ipotesi esemplificative "nelle quali il prezzo massimo può essere modificato, verso l'alto o verso il basso", descrive fattispecie quali la "manipolazione del prezzo di mercato" dei titoli, ovvero la pattuizione di un "prezzo massimo tra collusione e venditore", che non hanno sicuramente un grado di dettaglio maggiore dell’ipotesi di "collusione" introdotta dal legislatore italiano (sulla scia, peraltro, dei lavori preparatori della direttiva e del "Winter Report").

Appare dunque pienamente condivisibile l’analisi contenuta nell’atto di accertamento secondo cui "dalla lettura delle norme comunitarie sembrerebbe emergere che – posta l’esigenza di soddisfare i principi di parità di trattamento tra azionisti e di tutela di quelli titolari di partecipazioni di minoranza in caso di cambio del controllo (cfr. art. 1, lettera a), della Direttiva OPA40) – in taluni casi di cessione di pacchetti di maggioranza, più corretto si rivela il riferimento non al prezzo ‘pagato’ dall’acquirente ma a quello ‘concordato’ tra questi e il venditore e corrispondente al vantaggio economico effettivamente ‘incassato’ da quest’ultimo.

La descritta ricostruzione trova conferma nelle raccomandazioni formulate nella relazione conclusiva del gruppo di esperti ad alto livello in materia di diritto societario sotto la presidenza del professore Jaap Winter (cd. Winter Report) di cui si è avvalsa la Commissione europea nella redazione della Direttiva.

Nel Winter Report era stata, in effetti, raccomandata la previsione di una regola generale che individuasse il prezzo dell’offerta obbligatoria in quello più alto pagato dall’offerente in un dato periodo di tempo; tuttavia – posta l’esistenza di particolari situazioni in cui tale regola non si rivela in grado di garantire un’effettiva parità di trattamento tra gli azionisti e dunque l’individuazione di un prezzo ‘giusto’ – era stata contestualmente proposto di concedere agli Stati membri la facoltà di indicare un elenco di situazioni che non garantivano tale principio e alle quali l’applicazione di tale regola avrebbe condotto. Proprio in tali situazioni la regola del prezzo più alto pagato avrebbe dunque potuto essere superata dall’individuazione di un diverso prezzo avente come obiettivo la garanzia di un trattamento equivalente agli azionisti di minoranza.

Si noti che, tra gli esempi di circostanze in cui la regola del prezzo pagato non conduce alla determinazione del prezzo giusto, il Winter report cita espressamente il caso in cui il prezzo più alto pagato è stato determinato per mezzo di una ‘collusione’ definita come un accordo con il venditore volto all’elusione della regola del prezzo più alto pagato (‘the highest price paid was set by collusion (i.e. an agreement with the vendor aimed at evading the highest price paid rule’).

In effetti, laddove il prezzo effettivamente incamerato dal venditore di un pacchetto di controllo in ragione della cessione non dovesse corrispondere a quello pagato dall’acquirente di tale partecipazione (che si riverbera sul prezzo dell’OPA offerto alla totalità degli azionisti) il cessionario percepirebbe un premio di controllo’ non ‘spalmabile’ sugli altri azionisti, ad evidente detrimento degli stessi, creando così una delle situazioni definite nella letteratura gius-economica quale ‘estrazione di benefici privati dal controllo’. È noto, infatti, che una delle caratteristiche dell’istituto dell’obbligo di OPA è individuabile proprio nella concessione, in casi di cambio del controllo, agli azionisti di minoranza di un diritto di exit dalla stessa a condizioni equivalenti a quelle godute dal titolare del pacchetto di controllo ceduto.

La finalizzazione alla ‘tutela degli investitori’ (ex art. 106, comma 3, lettera d), del TUF) dell’esercizio del potere di innalzamento del prezzo d’offerta ad opera della Consob risponde, dunque, proprio all’esigenza di individuare un prezzo al quale gli azionisti di minoranza possano fruire, nell’exit dalla società, di condizioni equivalenti a quelle godute dal proprietario di un pacchetto rilevante nell’ambito della cessione che ha dato luogo (o contribuito) al sorgere dell’obbligo di OPA.".

Pertanto, "la scelta del legislatore di usare la nozione di ‘collusione’ va nel senso di dare rilievo ad una vasta gamma di fenomeni, caratterizzati principalmente dall’obiettivo che si mira a realizzare e comprende, pertanto, ogni tipo di accordo che riesca a ‘riconoscere’ al venditore un corrispettivo per le azioni dal medesimo cedute più alto di quello pagato dall’offerente.

Tale impostazione – scelta dal legislatore, nel momento in cui ha dato rilievo ad ogni ‘collusione’ e non dalla Consob – non collide con la Direttiva 2004/25/CE in materia di offerte pubbliche di acquisto, in quanto è chiaramente indicato agli operatori e al mercato che non è consentito attribuire al venditore alcuna utilità ulteriore o vantaggio economicamente apprezzabile che sia funzionalmente collegato alla vendita, senza poi farlo rientrare nel prezzo d’offerta; pertanto, l’ipotesi è, pur nella sua ampiezza, determinata" (atto di accertamento, pag. 42).

3.2.1 Per quanto appena esposto, il Collegio reputa che non sia necessario rimettere alla Corte di Giustizia la questione pregiudiziale posta da Lauro 61 (e da Unicredit), in quanto la normativa comunitaria non dà adito ad alcun ragionevole dubbio sulla soluzione da dare alla questione sollevata (Corte di Giustizia CE, 6 ottobre 1982, in causa C- 283/81, Cilfit),

Per completezza va ancora evidenziato come nessuno dei documenti allegati da Lauro a sostegno della tesi dell’ indeterminatezza della fattispecie collusiva prevista dalla normativa italiana, risulti idoneo a scalfire le argomentazioni dell’Autorità..

Si tratta, in particolare, di un "report" della Commissione al Parlamento Europeo sull’applicazione della direttiva 2004/25(CE (allegato n. 30 alla memoria in data 9.10.2013) e di una decisione della Efta Court (all. 31), in data 10 dicembre 2012 (caso Periscopus).

Il primo è un documento meramente ricognitivo, nel quale vengono menzionati, tra gli altri, gli "additional cases" rispetto a quelli esemplificati dalla Direttiva, in cui gli Stati membri hanno conferito alle rispettive Autorità di vigilanza il potere di rettifica del prezzo dell’OPA.

Per quanto si è potuto rilevare, in nessuna parte del documento esibito viene espresso un qualche giudizio circa il potenziale contrasto di tali variegate previsioni con le disposizioni della direttiva.

Il caso deciso dalla Efta Court (in disparte il fatto che tale Organismo ha giurisdizione limitatamente agli Stati aderenti all’Associazione europea di libero scambio), non riguarda una fattispecie di accordo collusivo analogo a quello disciplinato dal TUF, bensì un caso in cui, ai fini della rettifica del prezzo dell’OPA, la legislazione norvegese si limitava a richiamare un criterio del tutto generico quale il "prezzo di mercato", senza ulteriori specificazioni.

La Corte, in proposito, ha osservato che "a reference to the ‘market price at the time when the obligation to make a bid arises’ cannot be considered to constitute circumstances and criteria which are clearly determined, as required by the second subparagraph of article 5 (4) of the directive. Such a rule does not enable a prudent investor to be informed about the exent of his rights and obligations in such a way as to allow an adjustment of the equitable price established according to the main rule under the first subparagraph of Article 5 (4)".

Conseguentemente "further clarification is needed whether or not the ‘market price’ must be calculated on the basis of a volume – weighed average, whether actual trades are necessary or standign buy or sell order suffice in order to establish a market price and on the time rilevant for determining the market price".

Per quanto occorrer possa, è interessante il rilievo svolto dalla difesa dell’Autorità secondo cui in questa stessa decisione si ammette che non è comunque possibile imporre agli Stati membri di prevedere in anticipo nelle proprie normative interne di dettaglio ogni specifica situazione che possa verificarsi in concreto ("Indeed, in any EEA State is to have the possibility to deal in a flexible way with the new circumstances as they arise, it cannot be required to describe in detail each specific situation in advance")

4. In sede di ricorso, come peraltro già fatto in sede procedimentale, Lauro ha poi sostenuto che Consob avrebbe comunque fatto malgoverno della disciplina primaria e secondaria in materia di rettifica del prezzo di offerta, in quanto:

i) l’accordo collusivo sarebbe stato accertato sulla base di meri elementi indiziari;

ii) non sono state rinvenute prove (o indizi), di una comune finalità collusiva volta a deprimere il prezzo dell’OPA;

iii) l’Autorità ha riconosciuto, senza trarne le dovute conseguente, l’estraneità all’accordo collusivo di Allianz e Fonsai;

iv) l’Autorità ha ritenuto che il maggior corrispettivo potesse non essere pagato dall’offerente.

4.1 Anche tali rilievi sono stati puntualmente confutati nella sede procedimentale, in cui, Consob ha evidenziato, ad esempio, come "l’espressione ‘collusione accertata’ utilizzata nel Regolamento Emittenti all’art. 47-octies debba intendersi nel senso di comprendere anche il riferimento, come di prassi nell’accertamento di condotte diverse da quelle pubblicamente dichiarate, a casi di ricorso al metodo presuntivo: metodo riconosciuto in via generale utilizzabile dalla Consob sia nell’attività di vigilanza (cfr., ad esempio, Tar del Lazio n. 13744/2009, caso Magiste International) sia in sede sanzionatoria (cfr. ex multis, Corte di Cassazione, Sez. Unite, 30-09-2009, n. 2093746). )"

Nella risposta alle controdeduzioni, la Commissione ha poi soggiunto che "si ha ‘accertamento’ in ogni caso in cui l’Autorità ritiene che un determinato fatto si sia verificato sia in materia sanzionatoria, che nell’individuazione della ricorrenza dei presupposti di un’offerta pubblica di acquisto obbligatoria, o di comportamenti degli intermediari o degli offerenti su cui l’Autorità ha il potere di intervenire con provvedimenti amministrativi. Ogni ‘accertamento’ ha proprie caratteristiche e particolarità [...] È, comunque, con riguardo al fenomeno dell’accertamento e non ad altri che la giurisprudenza ordinaria e amministrativa ha, ormai pacificamente, riconosciuto la possibilità per l’autorità di ricorrere, come di prassi nell’accertamento di condotte diverse da quelle pubblicamente dichiarate, a "presunzioni" e ragionamenti logico-deduttivi [...]".

Inoltre "nell’esercizio del potere di aumento del prezzo dell’OPA non si tratta di ricostruire contenuti civilistici di un contratto al fine di chiedere l’adempimento di una prestazione, ma di ricostruire ex post ad opera non di una parte ma di un’ ‘autorità terza’ se vi sia stato un comportamento diverso da quello dichiarato. Tale considerazione non esclude, peraltro, che nel caso di specie vi siano comunque elementi ‘gravi, precisi e concordanti’ che fanno ritenere intervenuta la collusione, sulla base di quanto già riferito in fatto e di quanto più avanti si dirà circa la nozione di ‘collusione’. Va in proposito considerato che la "collusione" è una fattispecie prevista dall’ordinamento [...] e che, nel caso in esame, la Consob non ha proceduto ad alcuna interpretazione ‘analogica’ o ‘estensiva’, ma ha proceduto a verificare, in fatto, se la condotta posta in essere dalle parti coinvolte nell’operazione integrasse una ipotesi di ‘collusione’ tra l’Offerente (o i soggetti con il medesimo agenti di concerto) e il venditore. Come già rappresentato nella Comunicazione la scelta del legislatore di usare la nozione di ‘collusione’ va nel senso di dare rilievo ad una vasta gamma di fenomeni, caratterizzati principalmente dall’obiettivo che si mira a realizzare e comprende, pertanto, ogni tipo di accordo che riesca a ‘riconoscere’ al venditore un corrispettivo per le azioni dal medesimo cedute più alto di quello pagato dall’offerente. Tale impostazione – scelta dal legislatore, nel momento in cui ha dato rilievo ad ogni ‘collusione’ e non dalla Consob – non collide con la Direttiva 2004/25/CE in materia di offerte pubbliche di acquisto, in quanto è chiaramente indicato agli operatori e al mercato che non è consentito attribuire al venditore alcuna utilità ulteriore o vantaggio economicamente apprezzabile che sia funzionalmente collegato alla vendita, senza poi farlo rientrare nel prezzo d’offerta; pertanto, l’ipotesi è, pur nella sua ampiezza, determinata [...]. La rilevata ampiezza della nozione di collusione rilevante consente di farvi rientrare anche determinati casi in cui il riconoscimento di un vantaggio ulteriore al venditore non è direttamente praticato dall’offerente ma da soggetti diversi, ove sussistano tra i ‘terzi’ e l’Offerente (o soggetti operanti di concerto con lui) relazioni speciali che possano, in casi specifici, far ritenere le operazioni, fra i terzi e il venditore, esecutive della collusione realizzata tra l’Offerente e il venditore".

4.2. A conforto delle valutazioni esposte dalla Commissione, il Collegio osserva quanto segue.

4.2.1. In primo luogo, come già anticipato, il riferimento alla "collusione" contenuto nel TUF non può essere letto alla luce del significato attribuito a tale espressione in altri settori dell’ordinamento (ad esempio, in campo civile o penale).

Lo scopo della norma, chiaramente evincibile dalla disciplina comunitaria di cui costituisce attuazione, è quello di individuare ogni tipo di comportamento, accordo e/o transazione dai quali emerga il riconoscimento al venditore di un corrispettivo maggiore di quello formalmente dichiarato nel documento di offerta.

La nozione di "collusione" prescinde dalla sussistenza di obbligazioni giuridicamente rilevanti (cfr., in materia antitrust, TAR Lazio, sez. I^, sentenza n. 6833 del 2.8.2006), e va ricostruita esclusivamente alla luce delle finalità perseguita di assicurare il rispetto del principio di equità e di tutela degli azionisti di minoranza.

Inoltre, il motivo per cui, né la direttiva né i lavori preparatori (come il Winter Report) descrivono esattamente tale fattispecie, risiede nel fatto che nessuna norma potrà mai essere congegnata in maniera così analitica da cogliere tutta la complessità del reale, o, comunque, in modo tale da non richiedere un intervento applicativo – interpretativo.

Diversamente opinando, una vasta serie di accordi (o comportamenti concordati), non preventivamente tipizzabili ma comunque idonei ad attribuire al venditore un corrispettivo per le azioni dal medesimo cedute più alto di quello formalmente riconosciuto dall’offerente, sfuggirebbe al potere di rettifica della Commissione, frustrando la finalità di tutela perseguita dal legislatore comunitario.

Del resto, è proprio per tale ragione che i poteri in esame, anche in altri Stati membri, sono stati affidati ad Autorità indipendenti.

Un intervento correttivo sul mercato finanziario esige infatti, oltre che un’elevata competenza tecnica, anche un alto tasso di imparzialità o, comunque, di "neutralità" rispetto al potere esecutivo.

Quanto, poi all’uso di elementi indiziari nell’accertamento del fatto, si tratta, a ben vedere, di una tecnica del tutto comune, sia nell’esercizio dell’attività amministrativa che di quella giurisdizionale, Nel provvedimento impugnato si richiama ad esempio l’orientamento elaborato da questo stesso TAR a partire dalla sentenza n. 13744/1999, caso Magiste International, nella quale si è condivisibilmente evidenziato, analogamente a quanto accade in materia antitrust, come anche nel settore in esame il "ricorso al metodo presuntivo [...] si rivela uno strumento non solo legittimo, ma addirittura necessario, pena l’inevitabile svilimento delle funzioni di vigilanza sul mercato mobiliare attribuite alla Consob, ove l’accertamento sia, come nella fattispecie in esame, costituito da fenomeni che solo in rare ipotesi possono essere provati attraverso una prova diretta e documentale dell’accordo".

Tuttavia, la circostanza che la prova sia indiretta (o indiziaria) non comporta necessariamente che la stessa sia meno forte (Cons. St., sez. VI, 25 marzo 2009 n. 1794).

Infatti, ciò che determina l'attendibilità del convincimento sul fatto ignoto (l’accordo collusivo) non è la categoria in cui la prova può essere collocata, ma "è il contenuto ed il fondamento della regola di inferenza posta a garanzia delle argomentazioni accolte; pertanto, la prova indiretta ben può presentare attitudine dimostrativa pari, se non superiore, a quella diretta quando faccia applicazione di una regola fondata su criteri universalmente accettati o comunque adeguatamente motivati con argomentazioni non contraddette" (sentenza n. 1794/2009, cit.).

Pur essendo onere dell'Autorità fornire tutti gli elementi probatori a sostegno delle contestazioni mosse alle imprese, in presenza di alcuni concorrenti elementi spetta a queste ultime prospettare ipotesi alternative.

Sull’attendibilità della ricostruzione fornita dalla Commissione, nel caso di specie, si rinvia peraltro alle argomentazioni di cui al par. n.5 della presente decisione.

4.3. Relativamente alla struttura del fenomeno "collusivo", pare poi al Collegio che non sia invocabile la ricerca di una comune finalità delle parti volta a deprimere il prezzo dell’OPA.

Tanto, per il semplice fatto che tale scopo è sicuramente estraneo al venditore il quale, pur essendo parte necessaria della collusione, mira soltanto a trarre il massimo profitto dalla cessione del pacchetto di controllo posseduto.

L’elemento qualificante della fattispecie, sotto il profilo volitivo, è invece la consapevolezza, e quindi la volontà, di porre in essere un’operazione (o un insieme di operazioni collegate tra loro) che abbia, non necessariamente come oggetto, ma anche soltanto quale effetto, l’elusione delle norme che presidiano la fissazione del prezzo dell’OPA obbligatoria.

In sostanza, non è necessario che l’Autorità dimostri che il comportamento delle parti sia volontariamente diretto ad eludere la normativa in materia di OPA ma solo che esso sia obiettivamente idoneo a conseguire tale effetto, in virtù del riconoscimento al venditore di un corrispettivo maggiore di quello formalmente dichiarato ai fini dell’OPA.

Tale essendo la struttura del fenomeno collusivo, ne consegue, nel caso di specie, che l’Autorità non era nemmeno tenuta a provare il consapevole coinvolgimento nell’accordo collusivo di Allianz e Fonsai, essendo esclusivamente rilevante il fatto che la vendita delle loro azioni a MCI sia avvenuta nel quadro dell’assetto di interessi concordato tra quest’ultima e l’Offerente e, comunque, grazie all’impegno dalla stessa profuso (nonché dai suoi soci) per il buon fine della complessiva operazione.

Inoltre, come esattamente osservato dalla difesa dalla Consob, non è l’eventuale sacrificio economico sopportato dall’Offerente a giustificare l’esigenza di parità di trattamento degli azionisti di minoranza, quanto il fatto che il venditore di una partecipazione rilevante, in virtù degli accordi con l’Offerente, sia riuscito ad ottenere una "additional compensation", o comunque, un vantaggio, che, in quanto espressione del valore reale delle azioni cedute, deve essere redistribuito anche agli azionisti di minoranza.

Al riguardo, debbono perciò condividersi le argomentazioni contenute nell’atto di accertamento, secondo cui:

- (pag. 19 e ss.) "non si rinviene né nei testi normativi (Direttiva, normativa primaria e Regolamento Emittenti) né nei lavori preparatori agli stessi alcun riferimento alla circostanza che la Consob debba accertare che il prezzo ‘riconosciuto’ (così art. 47-octies, Regolamento Emittenti) al venditore (e, quindi, da questi effettivamente ‘ricevuto’) debba essere stato corrisposto dall’offerente" o che, comunque "il vantaggio economico del venditore coincida con l’esborso effettivamente sopportato in termini finanziari dall’offerente apparendo possibile ipotizzare che il ‘maggior prezzo’ emerga da transazioni concluse da soggetti ‘terzi’ che intrattengano con quello rapporti anche di diversa natura (ad esempio, rapporti di affari preesistenti e/o condivisione di interessi economici)";

- (pag. 29 e ss.) "appare in linea con il quadro normativo una situazione come quella in esame in cui, sinteticamente:

- la vendita di azioni Pirelli a MCI era un aspetto essenziale dell’operazione, senza cui lo stesso non avrebbe, a sua volta, venduto azioni Camfin all’Offerente e non si sarebbe avuto il superamento del conflitto esistente;

- la trattativa con MCI sulle azioni Pirelli è stata, fin nei minimi dettagli, gestita da Unicredit e MTP che hanno incontrato MCI e hanno insieme esaminato varie ipotesi di accordo e concluso lo stesso;

- i venditori effettivi (Allianz e Fonsai) e potenziali (Generali), invece, non hanno mai incontrato (prima della definizione dell’accordo complessivo) MCI (né il suo intermediario, UBS) né trattato con lo stesso ma soltanto ricevuto ipotesi già definite in dettaglio che potevano accettare o rifiutare;

- la vendita non poteva avvenire senza l’assenso del Patto e in tale ambito, del principale pacisciente (MTP) che si è adoperato per facilitare l’iter;

- i venditori sono stati individuati da MTP e Unicredit come gli unici in grado di garantire il buon esito delle negoziazioni in ragione delle loro peculiarità sopra descritte";

- (pag. 42 e ss.): "sussistono diverse peculiarità che fanno ritenere rilevante, ai fini del riconoscimento di un corrispettivo a MCI, la vendita operata dai pattisti su Pirelli Allianz e Fonsai.

Rileva in proposito che l’operazione in esame realizza il riassetto del controllo su Pirelli attraverso la riconduzione della principale partecipazione sindacata (quella detenuta da Camfin) al controllo (solitario di diritto) di MTP (affiancato da partner finanziari e industriali) ed il rafforzamento del peso di Camfin sul patto.

In tale ambito, l’accordo con MCI costituisce un obiettivo funzionalmente perseguito non soltanto da quei pattisti Pirelli (e loro alleati) che stanno realizzando l’operazione su Camfin ma anche da tutti i pattisti Pirelli, in quanto il superamento dei contrasti in corso è alla valorizzazione della loro partecipazione (sia che intendano vendere sia che intendano restare nel patto e nell’azionariato).

E’ in questo contesto che, come già chiarito nella Comunicazione, il Patto Pirelli, nel suo complesso (all’interno del quale MTP gioca un ruolo decisivo e di cui è componente anche Intesa, che agisce di concerto con l’Offerente su Camfin, oltre a società facenti capo ai sigg.ri Benetton, Lucchini e Moratti, anche azionista Camfin, di cui era nota la ‘vicinanza’ alla gestione di Pirelli da parte di MTP) si determina a porre in essere tutto ciò che è necessario per risolvere il conflitto con MCI e svincolare la vendita, accettando di diluirsi complessivamente a favore di MCI, ritenendo comunque preferibile la composizione della situazione.

Pertanto la vendita di Allianz e Fonsai non è la vendita di terzi estranei ma di soggetti terzi che sono oggettivamente interessati alla definizione dell’accordo complessivo e possono vendere soltanto con l’assenso di MTP e di ogni altro paciscente su Pirelli.

A tale ultimo proposito, è corretto ritenere che dal punto di vista giuridico i venditori non sono del tutto liberi nelle loro determinazioni sulla partecipazione detenuta in Pirelli, dal momento che per i vincoli pattizi che hanno accettato la loro volontà di vendere non può inverarsi in un negozio se non con l’autorizzazione del Patto e di ciascun paciscente e, dunque fra gli altri di MTP. Non possono contraddire tale dato fattuale le lettere scambiate tra MTP ed Allianz, visto che il patto era ancora vigente; tali lettere semmai confermano che nella fase delle trattative MTP agiva nella piena consapevolezza di poter contare sulla ‘quota’ dell’assicurazione tedesca; in tal senso depone anche la circostanza che le trattative con MCI sono state svolte per conto di MTP da Lazard, il cui presidente in Italia è anche il presidente di Allianz Italia. L’unica libertà di movimento che i venditori di Pirelli hanno nel quadro fattuale emergente è quella di non vendere se il prezzo di euro 7,80 non li soddisfa; nel caso di specie tale libertà ha consentito ad Allianz e Fonsai di vendere in ragione delle loro condizioni soggettive in termini di iscrizione in bilancio o di copertura del rischio (Fonsai) e di ‘governance’ (Allianz aveva già manifestato l’intenzione di uscire con atti a rilevanza esterna; Fonsai ha un socio di controllo solitario ed è partecipata in misura rilevante da Unicredit, che ne è anche il principale finanziatore).

Gli elementi fattuali e di contesto sopra delineati si integrano con le già più volte citate risultanze fattuali e istruttorie, da cui emerge in sintesi che:

(i) l’acquisto del 7% di Pirelli al prezzo di euro 7,80 era la condizione di MCI per vendere le azioni Camfin a euro 0,80;

(ii) tale condizione non è un motivo interno ma entra chiaramente a far parte della negoziazione;

(iii) la negoziazione – anche per la partecipazione Pirelli viene fatta fino alla conclusione dei particolari di entrambe le operazioni tra i soci dell’Offerente, anche per conto dell’Offerente, e MCI.

Inoltre, chi conduce la trattativa individua i venditori sulla base delle informazioni che già ha della propensione alla vendita di ognuno; li contatta e ferma la sua attività non appena raggiunge l’obiettivo, modificando i quantitativi quando Generali rifiuta; opera in modo da velocizzare e semplificare il più possibile l’iter di dismissione, facendo pesare, nel caso di MTP, il proprio ruolo di soggetto determinante. In sostanza, agisce in modo coerente con la sussistenza di un impegno assunto con MCI a realizzare una vendita a quelle condizioni.

Su questa basi, alla luce della nozione di collusione sopra delineata, sussistono elementi sufficienti per ritenere realizzata una ‘collusione’ consistente in un accordo i cui impegni reciproci sono i seguenti: (i) da una parte l’Offerente e i soggetti agenti di concerto con il medesimo pagano euro 0,80 per azione Camfin e fanno sì che venga venduta a MCI da parte di soci appartenenti al patto Pirelli la partecipazione voluta da MCI a un prezzo inferiore a quello in trasparenza discendente dal valore di euro 0,80 attribuito a Camfin; (ii) dall’ altra MCI vende a loro le azioni Camfin.

E’ ad esito di tale accordo che MCI vende le azioni Camfin solo dopo aver acquistato azioni Pirelli a quel determinato prezzo da lui voluto, determinando i presupposti per l’OPA obbligatoria su Camfin.

Non modifica tale conclusione, quanto sostenuto nella Memoria Difensiva circa il lancio di un’OPA volontaria, che sarebbe avvenuto anche qualora non fossero stati trovati i ‘venditori’ a quel prezzo, posto che si tratta di un’ipotesi non verificabile in presenza di un’operazione effettivamente realizzata ed annunciata al mercato soltanto quando tutte le fasi della descritta complessiva operazione sono state definite".

5. Il terzo gruppo di censure svolto da Lauro concerne "l’errata individuazione degli elementi costitutivi la fattispecie".

Al riguardo, reputa il Collegio che la valutazione della "ricostruzione alternativa" fornita dalla ricorrente, nonché da Unicredit ed MTP, debba avvenire alla luce della sistematizzazione operata dal Consiglio di Stato (a partire dalla sentenza della sez. VI, 25 marzo 2009 n. 1794, cit.), la quale, sebbene elaborata con riguardo all’attività di accertamento in materia antitrust, può agevolmente trovare applicazione anche nella fattispecie, in cui, come già evidenziato, l’accertamento della fattispecie collusiva è avvenuta sulla base della stessa tecnica "indiziaria" usata dall’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato nell’individuazione e repressione degli illeciti concorrenziali.

Il criterio guida per prestare consenso all'ipotesi ricostruttiva formulata dall'Autorità deve individuarsi nella c.d. congruenza narrativa, in virtù del quale l'ipotesi sorretta da plurimi indizi concordanti può essere fatta propria nella decisione giudiziale quando sia l'unica a dare un senso accettabile alla "storia" che si propone per la ricostruzione della fattispecie.

Il tasso di equivocità del risultato (dipendente dal meccanismo a ritroso con cui si procede all'accertamento del fatto e dal carattere relativo della regola impiegata) è suscettibile di essere colmato attraverso una duplice operazione, interna ed esterna:

- la corroboration, che consiste nell'acquisire informazioni coerenti con quella utilizzata nell'inferenza;

- e la cumulative redundancy, che consiste nella verifica di ipotesi alternative.

Se la prima operazione fornisce un riscontro alla conclusione, la seconda ne aumenta la probabilità logica grazie alla falsificazione di interpretazioni divergenti degli elementi acquisiti.

In tale quadro i vari "indizi" costituiscono elementi del modello globale di ricostruzione del fatto, coerenti rispetto all'ipotesi esplicativa, coincidente con la tesi "accusatoria".

Unitamente all'acquisizione di informazioni congrue rispetto alle contestazioni mosse (riscontri), deve altresì essere esclusa l'esistenza di valide ipotesi alternative alla tesi seguita dall'Autorità: la tesi accusatoria potendo essere considerata vera quando risulti l'unica in grado di giustificare i vari elementi, o sia comunque nettamente preferibile rispetto ad ogni ipotesi alternativa astrattamente esistente (Cons. St., sez. VI, 20 febbraio 2008 n. 594).

5.1. Nel caso di specie, la ricostruzione "alternativa" fornita da Lauro (cfr. le pagg. 5 – 12 della nota del 19 settembre 2013, allegata all’atto di accertamento) è la seguente.

Viene anzitutto proposta una diversa ricostruzione dell’evoluzione del contenzioso tra MCI ed MTP, iniziato nell’estate 2012.

Le parti sottolineano che MCI manifesta per la prima volta la volontà di acquisire azioni Pirelli solo nel maggio 2013 mentre in precedenza si era lavorato sulla diversa ipotesi della scissione di GPI.

Nel frattempo, MTP, Clessidra, Intesa e Unicredit (gli attuali soci dell’Offerente) individuavano congiuntamente uno schema di operazione che, con l’appoggio di alcuni azionisti storici di Camfin vicini ad MTP, avrebbe assicurato ai soci medesimi l’acquisizione del controllo su Camfin.

Tale schema ipotizzava che, contestualmente ed in parallelo alla appena richiamata scissione in GPI (con contestuale definitiva separazione di MTP ed MCI) una società all’uopo costituita dai soci (Lauro Sessantuno, di seguito "NewCo"), acquisisse più del 50% del capitale sociale di Camfin.

All’esito delle operazioni previste, GPI e Newco avrebbero detenuto congiuntamente più del 50% del capitale di Camfin, e avrebbero promosso l’offerta pubblica di acquisto su tutte le restanti azioni Camfin (comprese quelle detenute da MCI direttamente e tramite GPI II).

Nell’ambito di tale scenario i soci dell’Offerente avevano ritenuto che fosse corretto offrire per l’Opa successiva all’acquisto del controllo di Camfin, un prezzo di euro 0,80 per azione.

Ciò sia tenuto conto dei prezzi di mercato del titolo che della finalità di ottenere il massimo successo dell’OPA in termini di risposta del mercato.

Pertanto, la valorizzazione delle azioni Camfin al prezzo di euro 0,80 era stata definita ben prima che si prospettasse la fattibilità della diversa operazione poi realizzata, e, comunque, prima ancora che si ipotizzasse l’acquisto delle azioni di proprietà di MCI.

La determinazione a portare avanti l’operazione anche senza l’adesione della famiglia Malacalza, trapelava, il 21 maggio 2013, anche da indiscrezioni di stampa.

L’operazione studiata dai soci e presentata verso la metà di maggio alla Commissione, era stata costruita sull’assunto che MCI avrebbe accettato la scissione di GPI (e così la separazione da MTP) - la quale le avrebbe consegnato una partecipazione diretta in Camfin pari al 25% - dal momento che tale scissione era stata prospettata dalla stessa MCI in sede giudiziaria onde assicurare il superamento del contenzioso in essere.

Avviata la scissione, l’acquisizione del controllo di Camfin da parte della Newco sarebbe stato assicurato da acquisti e conferimenti che avrebbero interessato soggetti diversi da MCI, la cui partecipazione (o meno), non avrebbe potuto incidere sulla presa di controllo da parte di Newco su Camfin.

Di particolare rilievo, sarebbe il verbale della riunione del 21 maggio 2013 del Principal Investments Committee di Unicredit, dalla Consob, invece, assunto a prova del fatto che, all’interno dell’Istituto si nutrivano perplessità in ordine al successo dell’operazione senza lo scioglimento del contenzioso con i Malacalza ("Should MC decide not to tendere his shares in the MTO, facing a blocking minority might prove very troublesome with significant risks of filibustering (ostruction and delaying tacties)"

Consob non avrebbe adeguatamente considerato il fatto che la citazione riferisce il rischio di "filibustering" non all’esecuzione dell’operazione bensì alla successiva gestione in caso di mancata partecipazione all’Opa, a causa della presenza di un socio "ostruzionista" (laddove il 25% non dà alcun diritto di veto in una società, quotata o meno).

In ogni caso, lo stesso verbale dimostra che la reazione di MCI non era ritenuta di intralcio all’operazione ("MTP stated he’s not afraid of MCI moves") e che, comunque, si prevedeva l’adesione anche di MCI considerato che essa avrebbe comunque potuto realizzare un exit pari a due volte l’investimento originario.

Il Comitato esprimeva la sua opinione favorevole con riguardo alla struttura originaria dell’operazione, senza alcun condizionamento legato alla condotta di MCI.

Tale conclusione, non sarebbe smentita dagli ulteriori documenti indicati da Consob (relativi ad esempio, alla posizione di Clessidra), da cui si ricava che la positiva valutazione dell’investimento era comunque legata alla definizione del contenzioso in essere con MCI.

L’operazione allo studio prevedeva infatti che l’accordo con MCI (relativamente alla scissione di GPI), fosse ormai imminente, con la conseguenza che sin dalla metà di maggio 2013 i soci avevano individuato una struttura dell’operazione efficiente ed eseguibile indipendentemente da MCI.

Nei giorni seguenti, accadeva, in effetti, che MCI si dichiarasse non più interessata alla scissione per il timore che l’operazione in corso di definizione, secondo quanto trapelato anche da notizie di stampa, la mettesse all’angolo, privando la partecipazione del 25% in Camfin di reale valore strategico.

Tuttavia Consob non avrebbe considerato che:

i) il 20 luglio 2013 sarebbero scaduti i patti tra MTP, GPI ed MCI, e, con essi, i vincoli sulle azioni Camfin e le prerogative di MCI come socio di minoranza di GPI e indirettamente di Camfin;

ii) scaduti i patti il 20 luglio 2013, MTP sarebbe stata libera nel controllo di Camfin, nella formazione dei suoi organi e nelle decisioni concernenti la sua attività;

iii) infatti, sebbene lo statuto di GPI concedesse ad MCI alcune protezioni in termini di veto esprimibile su operazioni straordinarie di GPI, non fissava alcun vincolo sulla formazione delle liste per la nomina del CdA di Camfin, su operazioni della stessa Camfin o sulla stipula di patti parasociali con altri azionisti di Camfin; in pratica, Newco avrebbe potuto promuovere l’OPA su Camfin potendo contare sulle azioni di GPI e sulle ulteriori azioni apportate dagli azionisti storici.

In sostanza, l’operazione era certamente eseguibile, anche indipendentemente da MCI. Successivamente al rifiuto sopra indicato, MCI contattava Unicredit (nella persona del dr. Ghizzoni), per chiedere di fissare un incontro in data 28 maggio 2013.

In tale occasione l’ing. Malacalza rappresentava la propria volontà di uscire dalla compagine GPI/Camfin e di acquistare una partecipazione nel capitale sociale di Pirelli.

Già alcune indiscrezioni di stampa, avevano reso noto che l’obiettivo del gruppo era quello di ottenere un pacchetto del 7% in Pirelli.

Successivamente a tale incontro, MCI forniva una preliminare indicazione delle proprie richieste, prospettando il proprio interesse ad acquisire una partecipazione non inferiore al 6,7% del capitale sociale di Pirelli.

In tale contesto si colloca l’appunto valorizzato dall’Autorità (le "Linee guida"), inviato da Unicredit ad MCI, in data 28 maggio 2013, per sintetizzare gli elementi dell’operazione dallo stesso MCI auspicata nel corso dell’incontro.

MCI, in tale contesto, avrebbe rappresentato il suo interesse all’uscita dall’investimento in GPI e Camfin nonché il reinvestimento dei relativi proventi in azioni ordinarie Pirelli, da acquistare da alcune importanti compagnie assicurative aderenti al Patto Pirelli.

In seguito MCI e l’advisor dalla stessa impegnato (UBS), intrattenevano ulteriori contatti, nel corso dei quali precisavano a Unicredit l’interesse di MCI di acquisire un numero di azioni Pirelli complessivamente rappresentativo del 6,885% del capitale sociale della stessa.

Ricevuta detta informazione, Unicredit si sarebbe limitata a segnalare l’interesse di MCI a Lazard e a Fondiaria SAI.

Nessun impegno è mai stato discusso e/o assunto da Lauro 61 o dai suoi soci in relazione alle azioni Pirelli.

Anzi, quando MCI ha cercato di impegnare l’Offerente e i suoi soci in un programma negoziale di permuta di azioni Camfin – Pirelli, essi lo hanno rifiutato espressamente.

In sostanza, il 1° giugno 2013, data nella quale Consob afferma che già era stato raggiunto un accordo che precedeva la cessione delle azioni Camfin di MCI contro l’acquisto di azioni Pirelli, a prezzo scontato, in realtà sarebbe documentalmente provato che non vi era alcun accordo.

Inoltre, nessun impegno è stato assunto dall’Offerente (e dai suoi soci) in ordine all’acquisto di azioni Pirelli.

La trattativa (come risulterebbe confermato anche dalla risposta data da MCI a Consob in data 16 luglio 2013) si sarebbe "disarticolata" perché MCI ha dato incarico ad UBS di negoziare l’acquisto di azioni Pirelli (fino alla concorrenza di un quantitativo complessivo pari a circa il 7% del capitale sociale della medesima) dalla compagnie di assicurazione che avevano pubblicamente manifestato il loro interesse alla vendita.

Vi sarebbe, altresì, chiara prova del fatto che lo svolgimento delle negoziazioni tra acquirente e venditori sarebbe avvenuto solo tra i diretti interessati.

Unicredit, in particolare, richiama la nota di risposta di UBS alla richiesta di informazioni ex art. 115 TUF nella parte in cui l’advisor afferma di avere avuto evidenza della parziale conferma della disponibilità alla vendita al prezzo di euro 7,80 da parte di Allianz e Fonsai solo dal 2 giugno (attraverso una conversazione telefonica) e che poi il corrispettivo è stato confermato verbalmente in una riunione congiunta tenutasi il 3 giugno 2013 negli uffici di Milano di UBS.

Sempre Unicredit, richiama poi il verbale del Comitato Esecutivo di Allianz del 1° giugno 2013, allegato alla nota di risposta della società del 1° giugno 2013, nel quale si precisa che la controparte dell’operazione sarebbe stato un soggetto giuridico riferibile al gruppo Malacalza "come appena comunicato per le vie brevi da UBS [...]".

Malacalza, nella nota di risposta, ha confermato che i contatti di UBS con Allianz e Fonsai si sono sviluppati tra il 2 e il 5 giugno sino a definire l’operazione.

L’Offerente e i suoi soci si sarebbero in definitiva limitati a trasmettere informazioni ed indicazioni altrui.

Sarebbe altresì rilevante il fatto che, dal gennaio 2013, Allianz poteva contare su un "orientamento" già indicatole dagli altri pattisti in senso favorevole alla cessione delle azioni sindacate (di conseguenza, anche Fonsai poteva contare sul medesimo trattamento).

In altre parole, le compagnie assicurative sarebbero stata sostanzialmente libere di vendere in epoca precedente alla formazione del preteso accordo collusivo.

Né Allianz né Fonsai hanno effettuato "liberalità" ma hanno venduto al prezzo da esse ritenuto congruo.

Fonsai, nella propria nota di risposta, ha evidenziato, ad esempio, come non fosse percorribile una vendita all’interno del Patto tenuto conto del fatto che in tale ambito i potenziali acquirenti erano anch’essi interessati alla dismissione; inoltre, il prezzo di 7,80 per azione Pirelli era coerente con le valutazioni compiute dalla socieà, già coperta in derivati rispetto all’oscillazione della quotazione del titolo al rialzo.

Analoghe considerazioni sono state svolte da Allianz, la quale era da tempo interessata a cedere le sue partecipazioni.

In definitiva:

i) la composizione del contenzioso tra MTP ed MCI non ha mai costituito un (preteso) presupposto dell’operazione su Camfin;

ii) l’Offerente e/o gli altri soci non hanno mai svolto alcuna trattativa relativa alle azioni Pirelli;

iii) il desiderio di MCI di ottenere dall’Offerente e dai suoi soci azioni Pirelli è stato espressamente respinto dall’Offerente in data 1°giugno 2013;

iv) non è mai esistita un’unica trattativa né una richiesta di sconto. Le evidenze documentali comproverebbero che a seguito della "disarticolazione delle trattative" la compravendita di azioni Pirelli si è svolta per il tramite di UBS che ha negoziato con Allianz e Fonsai. Nessuno sconto è stato accordato dai venditori;

v) i partecipanti al Patto Pirelli non sono stati posti a conoscenza di alcuna operazione e non hanno ricevuto alcuna richiesta dai Soci. Anche Consob esclude una qualsivoglia "eterodirezione" su Allianz e Fonsai";

vi) i venditori e l’acquirente hanno svolto trattative dirette;

vii) la compravendita di azioni Pirelli non è stata autorizzata dal Patto Pirelli. Al limite, ciascun pattista ha autorizzato lo svincolo delle azioni Pirelli dal Patto;

viii) sarebbe inconferente l’ipotesi di un asserito obiettivo comune dei pattisti Pirelli, in quanto Consob avrebbe dovuto fornire prova della collusione di tutti i pattisti. Tra di essi non è mai esistita alcuna forma di coordinamento né azione comune.

Consob, inoltre, avrebbe trascurato:

i) la risposta di Allianz del 20 giugno 2013, in cui si dava atto delle analisi e delle corrette modalità di determinazione del prezzo delle azioni Pirelli, nonché dei rapporti intercorsi direttamente con UBS (advisor di MCI);

ii) la risposta di Fondiaria SAI, in cui si forniva una chiara ricostruzione delle valutazioni di convenienza svolte;

iii) il riferimento fatto da MCI nella propria risposta alla "disarticolazione delle trattative", a seguito del rifiuto proposto dall’Offerente alla proposta di permuta;

iv) la risposta di MCI dell’11 settembre, in cui viene dato conto delle trattative intercorse direttamente tra la stessa MCI, UBS, Allianz e Fonsai;

v) l’analoga risposta fornita da UBS.

5.1.1. Il Collegio rileva, in primo luogo, che la ricostruzione fornita dalle parti è inficiata da un vizio logico, costituito dalla circostanza che la stessa si fonda sulla "decontestualizzazione" e/o sulla valorizzazione di singoli elementi fattuali e non sull’elaborazione di una vera ipotesi alternativa.

Essa, peraltro, risulta confutata già nella delibera impugnata, con argomentazioni che, per la loro chiarezza, giova riportare (pag. 36 e ss. dell’atto di accertamento):

"2.1.1. Le considerazioni formulate dall’Offerente nella Memoria Difensiva al punto A relativo alla "documentazione utilizzata dalla Consob" e posta a fondamento della ricostruzione dell’operazione e al punto I circa l’effettiva sussistenza di un "doppio corrispettivo", volte essenzialmente ad evidenziare una ricostruzione alternativa dello svolgimento delle trattative e la non riconducibilità ad un’unica operazione delle due compravendite, non appaiono condivisibili alla luce del quadro fattuale risultante agli atti.

Infatti, dalla documentazione acquisita dalla Consob, emerge in sintesi che si è svolta una trattativa articolata nei seguenti passaggi:

1. già nel maggio 2012, erano intercorsi tra il sig. Tronchetti Provera e il sig. Vittorio Malacalza incontri e scambi di bozze di un possibile accordo volto a far uscire MCI dalla compagine sociale di Camfin e a far acquistare alla stessa MCI azioni Pirelli (da soggetti terzi, aderenti o esterni al Sindacato di Blocco Azioni Pirelli & C. S.p.A., "Patto Pirelli") e a definire una reciproca collaborazione tra le due parti direttamente nella società quotata industriale; sebbene tale ipotesi di operazione non sia poi andata a buon fine in tutti i termini indicati per il serio deterioramento delle relazioni fra le parti, da tali pattuizioni si evince la volontà, immanente sin da principio, di MCI di acquisire le azioni Pirelli a fronte della dismissione di azioni Camfin;

2. nel periodo dicembre 2012–marzo 2013, hanno avuto luogo incontri con MCI e sono state elaborate da MTP e Unicredit diverse ipotesi di possibili operazioni in grado di consentire la definizione della situazione di stallo dovuta al crescente disaccordo tra le parti;

3. nei mesi di aprile e maggio 2013, è stata presa in esame un’ulteriore ipotesi di operazione nella quale sono stati coinvolti, in qualità di investitori, Unicredit, Intesa e Clessidra, volta al riassetto dell’azionariato di Camfin tramite l’acquisizione da parte di una società veicolo delle partecipazioni della stessa Camfin a un prezzo massimo di euro 0,80 per azione (anche in vista del riverbero di tale prezzo sulla successiva promozione di un’offerta pubblica di acquisto), unita ad una ipotesi di scissione della parte di patrimonio corrispondente alla partecipazione di MCI ;

4. gli investitori avevano individuato quale fattore di rischio dell’operazione la presenza di MCI in quanto socio detentore di una partecipazione rilevante di minoranza con cui esisteva un contenzioso: l’eliminazione di tale rischio era stata prevista quale condizione per il via libera all’operazione da parte del consiglio di amministrazione di Clessidra che in un verbale del 21 maggio 2013, fondato sul conforme parere del Comitato Investimenti di Clessidra (cfr. documento citato a p. 10 della Comunicazione), la propria ‘favorevole valutazione […] sull’assunto che le operazioni propedeutiche all’investimento (che rientrano nella esclusiva responsabilità della controparte e includono la definizione dei rapporti e del contenzioso in essere con Malacalza Investimenti) si realizzino prima dell’assunzione di qualsiasi obbligo contrattuale da parte di Clessidra […] in tempi, con modalità e condizioni compatibili con l’ipotesi di investimento discussa’ (cfr. documento citato a p. 11 della Comunicazione);

5. detta ipotesi di operazione avrebbe dovuto essere presentata a MCI nel corso di una riunione convocata dal sig. Tronchetti Provera per il 23 maggio 2013 (che, in una email dello stesso giorno, già esprime considerazioni relative alla presumibile richiesta di MCI di ricevere azioni Pirelli, cfr. documento citato a p. 11 della Comunicazione); a tale riunione MCI ha rifiutato di partecipare motivando in una lettera del 23 maggio 2013 indirizzata a MTP tale determinazione a non aderire alla proposta formulata sulla base delle "sopravvenute circostanze che hanno mutato radicalmente […] i termini del nostro interesse all’acquisizione delle azioni di Camfin" (cfr. documento citato a p. 11 della Comunicazione);

6. a partire dal 23 maggio 2013, si profila, come nuova ipotesi allo studio delle parti, la possibilità di far acquistare a MCI una quota in Pirelli, di proprietà anche di altri soggetti individuati dalle parti, con i proventi della cessione delle azioni Camfin. In particolare, tale nuova soluzione, è proposta da Unicredit e Clessidra che si adoperano per studiare le modalità più opportune per dar luogo a tale trasferimento in ragione della volontà degli stessi soggetti finanziatori di proseguire le trattative dell’operazione perseguendo una risoluzione del conflitto tra MCI e MTP acuitosi nel corso del tempo e la cui permanenza era ritenuta pericolosa per il buon esito dell’operazione (in proposito, un funzionario di Unicredit con funzioni di responsabilità nell’operazione in una email del 23 maggio 2013 si esprime nei seguenti termini "we have been working on a solution and not on a fight, making it clear that missing certain conditions, we could have changed our committment" – cfr. documento citato a p. 12 della Comunicazione). Detto trasferimento, in uno scambio di email del 23 e 24 maggio 2013 tra funzionari di Unicredit, viene delineato come un vero e proprio scambio di azioni Camfin per azioni Pirelli ("exchange Malacalza stake in C with P shares" – cfr.documento citato a p. 12 della Comunicazione);

7. nel corso di un incontro, in data 28 maggio 2013, con Federico Ghizzoni (Amministratore Delegato di Unicredit), Vittorio Malacalza – come chiarito nelle Note Difensive – ha fornito "una preliminare indicazione delle proprie richieste, prospettando il proprio interesse ad acquisire una partecipazione non inferiore al 6,7% del capitale sociale di Pirelli" (pari a quella precedentemente detenuta in trasparenza) e ribadito – come riferito dalla stessa MCI in una nota di risposta del 16 luglio 2013 ad una richiesta Consob ai sensi dell’art. 115 del TUF, cfr. documento citato a p. 23 della Comunicazione – che "il significato e la finalità industriale del proprio investimento – essenzialmente riferiti a Pirelli […] – escludevano qualsiasi soluzione diversa dalla "conversione" delle proprie partecipazioni in […] Camfin in una proporzionale partecipazione in Pirelli"

8. al termine di tale incontro, Unicredit ha trasmesso al sig. Malacalza il testo della bozza di accordo discusso nel corso della riunione e denominato "Linee Guida di una possibile operazione" in cui si rinveniva la prospettazione sia della cessione delle azioni Camfin che dell’acquisto di azioni Pirelli da parte di MCI con la stessa provvista proveniente dalla cessione di azioni Camfin "ad un prezzo unitario non maggiore di 8 euro" (cfr. documento citato a p. 13 della Comunicazione);

9. nei giorni successivi, come affermato nelle Note Difensive (cfr. documento citato a p. 15 della Comunicazione) "intervenivano ulteriori contatti [di Unicredit] con UBS e MCI in esito ai quali veniva trasferita a Unicredit una più precisa indicazione delle intenzioni di MCI: acquistare un numero di azioni Pirelli complessivamente rappresentative del 6,885% del capitale della società stessa" e, dunque, una percentuale superiore a quella precedentemente detenuta in trasparenza (pari al 6,70%), traendo un vantaggio economico ulteriore dalla transazione rispetto a quanto originariamente prospettato da Unicredit nelle "Linee Guida di una possibile operazione"; che l’obiettivo di MCI che si andava delineando fosse quello di ottenere un beneficio in termini di sconto sul prezzo delle azioni Pirelli (in funzione di acquistarne una percentuale superiore di quella originariamente posseduta in trasparenza tramite Camfin) emerge anche da un documento di sintesi dei termini economici dell’operazione trasmesso il 30 maggio 2013 dall’advisor finanziario di MTP (Lazard S.p.A., "Lazard") a Unicredit da cui si evince altresì che con tale maggiore quota azionaria il correlativo prezzo delle azioni Pirelli sarebbe stato euro 7,80; come si evince dalla corrispondenza interna tra i soci dell’Offerente, tale prezzo ingloba uno sconto a MCI rispetto al prezzo di mercato del momento nonché di quello medio a tre mesi (prezzo indicato dal Patto Pirelli per la possibilità di recedere dallo stesso);

10. successivamente al predetto incontro del 28 maggio 2013, posta anche la dichiarata indisponibilità di MTP a cedere le azioni Pirelli di proprietà di Camfin – per non diluirne la partecipazione – si svolgono ulteriori e intense attività negoziali che coinvolgono Unicredit e MTP (con il proprio advisor finanziario, Lazard) da una parte e MCI (con il proprio advisor UBS) dall’altra. In particolare, MTP e Unicredit individuano tra gli aderenti al Patto Pirelli i potenziali venditori della partecipazione in Pirelli da trasferire a MCI e li contattano per apprenderne l’effettiva disponibilità alla cessione per il quantitativo e al prezzo che stava emergendo dalle trattative in corso. Tali soggetti vengono, identificati in Allianz e Fonsai (e, inizialmente, anche in Generali che ha, poi, rifiutato la proposta trasmessagli da MTP non ritenendo accettabile il prezzo propostogli come dichiarato alla Consob nella nota di risposta ad una richiesta formulata ai sensi dell’art. 115 del Tuf – cfr. documento citato a p. 7 della Comunicazione) e contattati, rispettivamente, da MTP e Unicredit;

11. in data 30 maggio 2013, viene delineata una nuova bozza di "Term Sheet MC UC" in cui sono riassunti i termini essenziali dell’accordo che si va delineando con il sig. Malacalza. In tale documento viene, tra l’altro, delineato: (i) il ruolo svolto da Unicredit che "al fine di realizzare l’Operazione secondo i termini illustrati, […] ha raccolto la disponibilità di alcuni degli attuali aderenti al Sindacato di blocco Pirelli di cedere in tutto o in parte la propria partecipazione nella stessa P&C, a condizioni coerenti con quanto stabilito" e (ii) la previsione che MCI e MTP "rinunceranno con apposita transazione tombale a tutte le cause in essere" (cfr. documento citato a p. 16 della Comunicazione);

12. la sera dello stesso 30 maggio 2013, viene trasmessa da parte di MCI alle proprie controparti il testo di una ulteriore bozza di accordo oggetto di interlocuzione relativo ad un’ipotesi di permuta di azioni Camfin-Pirelli che avrebbe dovuto avere ad oggetto il 6,88% del capitale di Pirelli nonché lo stralcio del contenzioso pendente tra le parti (cfr. documento citato a p. 16 della Comunicazione). Come rappresentato da MCI alla Consob nella nota di risposta ad una richiesta ai sensi dell’art. 115 del Tuf (cfr. documento citato a p. 16 della Comunicazione), "[d]etta proposta non è stata condivisa dalla controparte [...]: per volontà, non negoziabile, del soggetto acquirente delle partecipazioni in GPI e Camfin, l’operazione si è dunque configurata come mera compravendita di tali partecipazioni ed è venuta meno la stessa ipotesi di cessione, da parte del medesimo soggetto, della partecipazione in Pirelli pari al 4,2% del capitale della stessa, che pure, come si è detto, era menzionata nel testo delle "linee guida". D’altra parte, Malacalza Investimenti è rimasta ferma nella propria decisione di non cedere le proprie partecipazioni in GPI e Camfin se non avesse contestualmente acquistato la corrispondente partecipazione in Pirelli";

13. dopo la mancata condivisione della bozza proposta da MCI in data 30.5.2013, la trattativa continua tra le stesse parti, concludendosi successivamente con l’esatta definizione dell’entità della partecipazione in Pirelli da trasferire a MCI e del relativo prezzo, avendo contestualmente acquisito la disponibilità a cedere le rispettive partecipazioni dalle compagnie assicurative componenti del patto Pirelli Allianz (in data 1° giugno 2013) e Fonsai (in data 2 giugno 2013);

14. in questa fase, successivamente al rifiuto di precedenti ipotesi negoziali, MCI alza le proprie pretese chiedendo di acquistare non più il 6,7% ma il 7% circa di Pirelli, con la conseguenza di percepire uno sconto ulteriore rispetto a quello già implicito nella valorizzazione di Pirelli a euro 8,00;

15. fin dal 1° giugno vengono finalizzati i documenti attraverso i quali le tre compagnie assicurative avrebbero dovuto chiedere lo svincolo delle partecipazioni detenute in Pirelli e conferite al Patto e comunicati all’advisor di MCI, UBS, i nominativi dei pattisti cedenti;

16. solo dal 2 giugno, cominciano i contatti tra esponenti di MCI e dei venditori unicamente per l’espletamento delle formalità necessarie al closing (ad esempio, nella risposta alla richiesta ex art. 115 formulata dalla Consob Generali ha dichiarato di non aver avuto alcun contatto con MCI, il che conferma che i contatti sono successivi all’accettazione della proposta da parte dei venditori);

17. a seguito dell’approvazione formale da parte dei consigli di amministrazione delle società coinvolte nella cessione, il 5 giugno 2013, viene dapprima trasferita la partecipazione in Pirelli a MCI al prezzo di euro 7,80 per azione e subito dopo viene concluso il trasferimento da MCI all’Offerente delle azioni Camfin al prezzo di euro 0,80 per azione.

Pertanto:

- la trattativa si è svolta in unica sede tra il socio di controllo dell’offerente nonché presidente e principale socio del patto Pirelli (MTP, anche tramite Lazard) ed Unicredit (socio dell’offerente ed operante di concerto con lui), da un lato, e MCI (anche tramite UBS),

- come emerge dalla semplice descrizione dello svolgimento delle trattative, la vendita di azioni Camfin e l’acquisto di azioni Pirelli sono state sempre considerate unitariamente, come parte della medesima operazione (tale correlazione è, ad esempio, formalizzata nelle "Linee guida di una possibile operazione" inviate il 28 maggio 2013 da Unicredit a MCI);

- fin dal 28 maggio 2013, data di inizio dell’ultima fase delle trattative, MCI ha reso noto a Unicredit che non avrebbe proceduto alla vendita di azioni Camfin in mancanza del contestuale acquisto di una partecipazione in Pirelli "corrispondente alla propria partecipazione "in trasparenza" in tale Società per il tramite di GPI e Camfin"; emerge dai documenti che era circostanza nota a tutte le parti coinvolte nella transazione che MCI non avrebbe venduto le azioni Camfin senza l’accordo su Pirelli;

- in esito alle negoziazioni volte a definire l’assetto finale dell’operazione, al più tardi in data 2 giugno 2013, l’accordo delle parti si è attestato sull’acquisto, da parte di MCI, di una partecipazione in Pirelli pari al 6,98% ad un prezzo pari a euro 7,80;

- l’operazione poi conclusasi comprende (anzi si fonda su) un accordo con MCI che ha, come presupposto negoziale essenziale – civilisticamente riconducibile alla "causa del contratto" più che ai "motivi" – l’acquisizione da parte di MCI di una partecipazione in Pirelli che, ad una data fase delle trattative si delinea in una misura pari a circa il 7% del capitale sociale (inglobando uno sconto rispetto al prezzo attribuito alle stesse azioni implicitamente attraverso la valorizzazione a euro 0,80 di Camfin);

- nella fase delle trattative, come già indicato nella Comunicazione, il dott. Tronchetti

Provera e Unicredit:

a. individuano i venditori di azioni Pirelli tra gli aderenti al Patto (presieduto dal sig. Tronchetti Provera e a cui partecipava la stessa Camfin da lui controllata detenendone la maggioranza relativa, circa 44,64%) che, in ragione dei vincoli pattizi, potevano avere aspettative di vendita ad un prezzo anche inferiore a quello di mercato e che vengono coinvolti solo a valle delle trattative con MCI;

b. conducono autonomamente la trattativa con MCI;

c. definiscono in tale ambito nei minimi dettagli, quantitativi, prezzi nonché la documentazione utile allo svincolo delle azioni Pirelli;

d. comunicano l’esito di tale trattativa ai potenziali venditori i quali non svolgono alcuna autonoma attività negoziale ma possono unicamente accettare o rifiutare;

- gli incontri e gli scambi di documenti tra MTP, Lazard, Unicredit e MCI pervengono nei giorni tra il 28 maggio e al più tardi il 2 giugno a stabilire tutti i dettagli della vendita (quantitativi, controparti, attribuzione dei quantitativi ai venditori, prezzo); tali dettagli vengono comunicati ai venditori (senza ufficialmente fare disclosure dell’identità del compratore fino al 30 maggio a Fonsai e fino al 1° giugno ad Allianz) che fanno sapere, prima di prendere contatti con MCI ed UBS la propria intenzione di accettare; i contatti intercorsi con UBS sono successivi alla chiusura delle trattative e puramente esecutivi dell’accordo già raggiunto;

- in questo contesto le bozze non accettate (quale, ad esempio, quella sulla permuta del 30.5.2013) sono indizio dell’oggetto della trattativa in corso e non dell’effettiva sua conclusione che, comunque, avviene in quella sede e non successivamente con Allianz e Fonsai;

- nel riassetto della struttura proprietaria di Camfin, è stato perseguito e poi realizzato l’intento di una composizione del conflitto in essere fra MTP e MCI, voluta in particolare dai soggetti finanziatori che vedevano in tale conflitto un fattore di rischio dell’operazione;

- il trasferimento da MCI all’Offerente delle azioni Camfin al prezzo di euro 0,80 per azione avviene solo successivamente al buon fine dell’operazione di trasferimento della partecipazione in Pirelli a MCI al prezzo di euro 7,80 per azione, posta la assoluta inscindibilità per MCI tra le due operazioni (come riportato in una mail del 4 giugno 2013 tra Ghizzoni e un funzionario con responsabilità operative di Unicredit, "finche non vedevano le azioni Pirelli […] [i Malacalza] non firmavano. Contratti sul tavolo…").

5.2. Le conclusioni svolte dall’Autorità, alla luce del metodo di verifica in precedenza illustrato, risultano non solo coerenti con il complesso della documentazione acquisita, ma anche l’unica spiegazione logicamente accettabile delle risultanze istruttorie e del comportamento delle parti.

Ad ogni buon conto, pur volendo seguire le ricorrenti nella parte in cui, sostanzialmente, "decontestualizzano" alcuni momenti della complessa trattativa che ha preceduto il lancio dell’OPA, il Collegio rileva quanto segue.

5.2.1 Lauro ed MTP hanno sottolineato l’importanza, a loro dire trascurata dall’Autorità, dei documenti riportati a pag. 8 della relazione ispettiva del 28 giugno 2013, i quali sarebbero invece utili ad inquadrare correttamente la posizione di MTP nei confronti delle richieste di MCI.

Si tratta di mail scambiate tra il dott. Marco Tronchetti Provera e i suoi collaboratori, dalle quali si evince, in particolare che:

- MCI doveva essere pagata per la partecipazione in Camfin né più né meno di quanto sarebbe stato riconosciuto al mercato;

- MCI avrebbe potuto trovare azioni Pirelli, eventualmente anche in quantità maggiore di quella ricavabile dal reimpiego dei proventi della cessione di azioni Camfin, ma per "proprio conto e spesa";

- non vi è alcuna disponibilità a negoziare da parte di MTP.

Orbene, in disparte il fatto che tale scambio di mail risale al 27 maggio 2013, e cioè ad un momento in cui la trattativa era ancora in evoluzione, dalla documentazione esibita emerge pure, come fatto rilevare dalla difesa della Consob, che l’Offerente e i suoi soci erano comunque pronti sin dall’inizio a garantire a MCI con il ricavato della vendita delle proprie azioni Camfin l’acquisto del 4% dell’azionariato di Pirelli, vale a dire la partecipazione che equivale esattamente al ricavato della vendita delle azioni Camfin dedotta la quota di indebitamento di Camfin di pertinenza di MCI.

Tutta la documentazione acquisita (tra cui, in primis, le note di risposta di MCI), attesta poi come quest’ultima, dal momento in cui è tramontata l’ipotesi di scissione di GPI, abbia pervicacemente condizionato il proprio assenso alla cessione di azioni Camfin all’acquisizione di azioni Pirelli, nella misura e al prezzo da essa stessa determinate.

Tale obiettivo non è stato però conseguito da MCI in via autonoma bensì nel quadro delle intese raggiunte con l’Offerente e/o dei suoi soci, e, comunque, grazie al loro impegno, fattuale e/o giuridico (come nel caso dell’assenso allo svincolo delle azioni Pirelli),

5.2.2. Relativamente, poi, al documento IC – Minutes – Investment in Camfin/Pirelli del 21 maggio 2013, citato da Unicredit, reputa il Collegio che esso, a ben vedere, dimostri soltanto che 0,80 era il prezzo che i finanziatori dell’Offerente erano disposti a sborsare ai fini dell’OPA.

Tale prezzo deve però essere posto a raffronto con l’incertezza sul successo di tale operazione venutasi a profilare nel momento in cui è apparso chiaro come MCI fosse indisponibile alla cessione della propria partecipazione in Camfin senza conseguire una corrispondente partecipazione in Pirelli.

In sostanza, deve ancora una volta convenirsi con la difesa della Consob che è proprio il fatto che il prezzo delle azioni Camfin costituisse un dato non negoziabile (in ragione delle intese con i soci finanziatori), ad aver comportato la necessità di reperire, da soggetti vicini all’Offerente e a coloro che con questo operavano di concerto, le azioni necessarie a soddisfare le pretese di MCI.

Inoltre, nello stesso documento citato da Unicredit (cfr. la pag. 46 dell’atto di accertamento) viene riportato espressamente che, tra i rischi che l’operazione avrebbe potuto comportare per la banca, vi era proprio la permanenza di MCI nell’azionariato Camfin con la conseguenza che "facing a blocking minority might prove very troublesome, with significant risks of filibustering (obstruction and delaying tacties)".

5.2.3. Pure decontestualizzato appare il riferimento al documento denominato "Linee guida" di una possibile operazione trasmesso da Unicredit ad MCI, che pone esplicitamente in correlazione la cessione delle azioni GPI e Camfin, detenute dalla famiglia Malacalza con l’acquisto di azioni Pirelli.

Da tale documento, secondo Unicredit, non si evincerebbe alcuna sua garanzia (o impegno) a finanziare l’acquisto di azioni Pirelli da parte di MCI.

Tale evenienza è però, a parere del Collegio, inconferente, atteso che, ai fini della configurazione giuridica della collusione non rileva la circostanza che il maggior corrispettivo sia riconosciuto al venditore dallo stesso Offerente quanto che quest’ultimo si adoperi per procurarglielo.

5.2.4. Non vi, infine, alcuna prova del fatto che la trattativa relativa all’acquisto delle azioni Pirelli dalle società assicuratrici aderenti al sindacato di blocco Pirelli sia stata autonomamente condotta da UBS, per conto di MCI.

Risulta, infatti, dalla documentazione in atti, e dalla stessa risposta di UBS del 10 settembre 2013 che l’instaurazione dei primi contratti diretti tra l’advisor e le compagnie assicurative è intervenuta solo dal 2 giugno 2013 mentre fino a quel momento la negoziazione dei termini dell’acquisizione di MCI in Pirelli era avvenuta esclusivamente a cura dei soci dell’Offerente (cfr., in particolare, le mail scambiate tra il 30 maggio e il 2 giugno, citate nell’atto di accertamento alla pag. 14, nota 23; pag. 15, nota 27; pag. 16, nota 30 etcc.).

Un altro documento, attentamente analizzato dalla difesa della Consob, è poi il verbale del Regional Financial Committee di Allianz, che ha approvato l’operazione di cessione della partecipazione Pirelli al prezzo di euro 7,80 (allegato dalla compagnia alla propria nota di risposta).

Da tale documento risulta come sia stato lo stesso l’ing. Marco Tronchetti Provera a contattare direttamente il presidente di Allianz per informarlo che le negoziazioni con un potenziale acquirente (di cui non viene rivelata l’identità) avevano subito un’accelerazione e che si era ormai prossimi al raggiungimento di un accordo.

Anche tale documento, pertanto, sebbene non citato nell’atto di accertamento, conforta le conclusioni della Consob secondo cui la cessione di azioni Camfin da parte di MCI è avvenuta grazie all’impegno (fattuale e/o giuridico) di Unicredit ed MTP, volto a soddisfare la pretesa di quest’ultima di acquisire contestualmente azioni Pirelli.

Anche la nota di risposta di UBS (pervenuta dopo la comunicazione di avvio del procedimento) risulta in linea con la ricostruzione della Consob.

Ed infatti:

- secondo UBS tra il 28 maggio e il 2 giugno 2013 l’approccio negoziale di MCI è stato quello di richiedere una conversione delle partecipazioni detenute dalla stessa in GPI e Camfin;

- tra il 29 e il 31 maggio il dott. Mereghetti di Unicredit informa il dott. Mulone di UBS che alcuni partecipanti al sindacato di blocco Pirelli (specificamente Generali, Allianz e Fonsai) avrebbero potuto vendere azioni Pirelli ad un prezzo inferiore ad euro 8,00, valore che avrebbe consentito ad MCI di avvicinarsi all’obiettivo di detenere il 7% di azioni Pirelli;

- sempre secondo UBS la definizione del corrispettivo è avvenuta tra il 28 maggio e il 2 giugno durante i contatti intercosi tra i soggetti "sottoindicati", tra i quali figura anche il dott. Mereghetti di Unicredit;

- l’instaurazione dei primi contatti negoziali diretti con Allianz e Fonsai, è avvenuta solo dal 2 giugno (Consob sottolinea che ciò risulta dalle risposte fornite direttamente dai venditori ed è comunque compatibile con la nota di UBS che indica solo un arco temporale);

- a quella data rimaneva solo la possibilità di ratificare o meno le trattative svolte da Unicredit;

- anche UBS specifica che i contatti telefonici svoltisi tra il 31 maggio e il 1° giugno attenevano a meri dettagli tecnici che le compagnie richiedevano per supportare il proprio processo decisionale interno.

5.2.5. Unicredit ha, infine, stigmatizzato il fatto che la Commissione non abbia accertato se gli esponenti aziendali le cui mail o annotazioni vengono riportate nell’atto di accertamento fossero legittimati ad "impegnare" la volontà dell’Istituto.

In disparte il fatto che Unicredit non nega che tali soggetti fossero comunque legittimati a condurre le trattative per suo conto, il Collegio osserva che la nozione di "accordo collusivo", come già in precedenza evidenziato, prescinde dall’assunzione di obbligazioni giuridicamente rilevanti, o, comunque, dal raggiungimento di intese formali, e richiede soltanto che il comportamento delle parti evidenzi una forma di coordinamento tra loro, idonea a realizzare la fattispecie di elusione della normativa sull’OPA che si è, in precedenza, tratteggiata.

6. Relativamente al prezzo delle azioni di Pirelli, anche in sede di ricorso, Lauro e gli interventori hanno evidenziato come non vi sarebbe alcuna prova di uno sconto accordato da Allianz e Fonsai, ovvero che tale sconto sia stato chiesto e/o accordato da MTP e/o Unicredit, rispetto ad un ipotetico giusto prezzo diversamente stabilito.

Al riguardo, si è già in precedenza osservato che, ai fini del perfezionamento della fattispecie collusiva presupposto dell’aumento del prezzo dell’OPA, non rileva tanto la volontà delle compagnie assicurative di accordare uno "sconto" ad MCI, quanto la propensione di tali società a vendere al prezzo e alle quantità necessarie a perfezionare l’operazione, nella misura voluta da MCI per cedere le azioni Camfin al prezzo di 0,80 euro per azione.

Infatti, come riportato nell’atto di accertamento (pag. 43 e ss.) "dal punto di vista giuridico i venditori non sono del tutto liberi nelle loro determinazioni sulla partecipazione detenuta in Pirelli, dal momento che per i vincoli pattizi che hanno accettato la loro volontà di vendere non può inverarsi in un negozio se non con l’autorizzazione del Patto e di ciascun paciscente e, dunque fra gli altri di MTP. Non possono contraddire tale dato fattuale le lettere scambiate tra MTP ed Allianz, visto che il patto era ancora vigente; tali lettere semmai confermano che nella fase delle trattative MTP agiva nella piena consapevolezza di poter contare sulla ‘quota’ dell’assicurazione tedesca; in tal senso depone anche la circostanza che le trattative con MCI sono state svolte per conto di MTP da Lazard, il cui presidente in Italia è anche il presidente di Allianz Italia. L’unica libertà di movimento che i venditori di Pirelli hanno nel quadro fattuale emergente è quella di non vendere se il prezzo di euro 7,80 non li soddisfa; nel caso di specie tale libertà ha consentito ad Allianz e Fonsai di vendere in ragione delle loro condizioni soggettive in termini di iscrizione in bilancio o di copertura del rischio (Fonsai) e di ‘governance’ (Allianz aveva già manifestato l’intenzione di uscire con atti a rilevanza esterna; Fonsai ha un socio di controllo solitario ed è partecipata in misura rilevante da Unicredit, che ne è anche il principale finanziatore).

Gli elementi fattuali e di contesto sopra delineati si integrano con le già più volte citate risultanze fattuali e istruttorie, da cui emerge in sintesi che:

(i) l’acquisto del 7% di Pirelli al prezzo di euro 7,80 era la condizione di MCI per vendere le azioni Camfin a euro 0,80;

(ii) tale condizione non è un motivo interno ma entra chiaramente a far parte della negoziazione;

(iii) la negoziazione – anche per la partecipazione Pirelli viene fatta fino alla conclusione dei particolari di entrambe le operazioni tra i soci dell’Offerente, anche per conto dell’Offerente, e MCI.

Inoltre, chi conduce la trattativa individua i venditori sulla base delle informazioni che già ha della propensione alla vendita di ognuno; li contatta e ferma la sua attività non appena raggiunge l’obiettivo, modificando i quantitativi quando Generali rifiuta; opera in modo da velocizzare e semplificare il più possibile l’iter di dismissione, facendo pesare, nel caso di MTP, il proprio ruolo di soggetto determinante. In sostanza, agisce in modo coerente con la sussistenza di un impegno assunto con MCI a realizzare una vendita a quelle condizioni.".

In precedenza, nella comunicazione di avvio, l’Autorità aveva evidenziato che:

"7.1. I venditori della Partecipazione Pirelli sono stati da ultimo individuati in Allianz e Fonsai, i quali erano in condizione di accettare un apparente mancato guadagno rispetto al prezzo di mercato per ragioni connesse alla loro modalità di iscrizione in bilancio e gestione dal punto di vista del rischio della partecipazione e anche perché la cessione è avvenuta:

- a un prezzo (Euro 7,80) prossimo a quello (Euro 7,95) che avrebbero ottenuto in caso di vendita ad altri partecipanti al Sindacato (unica possibilità di dismissione in costanza di Patto) e

- in anticipo rispetto alla data di possibile esercizio del diritto di recesso dal Sindacato (15 dicembre 2013-15 gennaio 2014), opzione quest’ultima che pure avrebbe comportato l’automatica offerta agli altri partecipanti ad un prezzo convenzionale (quello medio degli ultimi tre mesi) e solo in caso di mancato esercizio del diritto di rilievo da parte degli altri pattisti la possibilità di cedere liberamente a terzi le azioni (subendo in entrambi i casi, sia pure in modo diverso, l’alea dell’andamento futuro dei corsi del titolo) [...]".

6.1. In definitiva, a parere del Collegio, i rilievi svolti dalla ricorrente e dagli interventori circa il ruolo di Allianz e Fonsai, sono, da un lato, non totalmente corrispondenti alla realtà, dall’altro, non rilevanti ai fini dell’accertamento della collusione.

Non è vero che le società venditrici fossero totalmente libere nella loro determinazione di vendere, posto che, a tal fine, dovevano conseguire, in costanza del Patto Pirelli, l’assenso degli altri Pattisti.

Come già chiarito, è poi irrilevante che le compagnie assicurative abbiano agito nel perseguimento di un proprio interesse economico e non già per "spirito di liberalità".

Si è visto infatti che il ruolo attribuito dall’Autorità ad Allianz e Fonsai non è quello di soggetti partecipi dell’accordo collusivo quanto di "strumento", individuato da MTP, Unicredit ed MCI, per il perseguimento dei rispettivi interessi, nel quadro delle trattative in corso.

Non era necessaria alcuna "compensazione" nei confronti dei venditori, in quanto il prezzo al quale è avvenuta la cessione delle azioni Pirelli, era comunque, per le ragioni ben spiegate dall’Autorità, di loro convenienza.

7. In definitiva, per quanto appena argomentato, il ricorso deve essere respinto.

La novità delle questioni giustifica, peraltro, l’integrale compensazione delle spese di giudizio e degli onorari di difesa.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio, sede di Roma, sez. II^, definitivamente pronunciando sul ricorso di cui in premessa, lo respinge.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 22 gennaio 2014 con l'intervento dei magistrati:

[…omissis…] Presidente
[…omissis…] Consigliere
[…omissis…] Consigliere, Estensore

DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 19/03/2014