Comunicazione comunicazione cg n. 0106341 - AREA PUBBLICA
Bollettino
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(*) Avverso la Comunicazione, Vivendi aveva proposto ricorso; il Tar del Lazio con sentenza n. 04990/2019 del 15.1.2019/17.4.2019 ha respinto il ricorso. Il 16.7.2019 Telecom Italia ha proposto ricorso innanzi al Consiglio di Stato per l'annullamento della sentenza del Tar del Lazio n. 0499/2019 e della Comunicazione Consob. Anche Vivendi il 17.7.2019 ha proposto ricorso innanzi al Consiglio di Stato per l'annullamento della sentenza del Tar del Lazio n. 0499/2019 e della Comunicazione Consob. Con sentenza n. 07972/2020 del 15.10.2020 e 7.12.2020 pubblicata il 14.12.2020 il Consiglio di Stato, accogliendo il ricorso di Telecom Italia, ha annullato il provvedimento. [...prosegue...]
Successivamente la Corte di Cassazione, in relazione al ricorso promosso dalla Consob avverso la sentenza del Consiglio di Stato, con ordinanza dell'11 ottobre 2022 ha dichiarato il ricorso inammissibile.
Comunicazione n. 0106341 del 13-9-2017
Inviata a: Telecom Italia S.p.A.; Collegio Sindacale di Telecom Italia S.p.A; VIVENDI S.A.
Oggetto: Telecom Italia S.p.A.– Qualificazione del rapporto partecipativo di Vivendi S.A. in Telecom Italia S.p.A. ai sensi della disciplina in materia di operazioni con parti correlate, dell'art. 2359 del codice civile e dell'art. 93 del d.lgs. n. 58/1998 (“TUF”).
1. Si fa riferimento alla corrispondenza intercorsa con Telecom Italia S.p.A. (“TIM” o “la Società”) e con il Collegio Sindacale circa la qualificabilità del socio Vivendi S.A. (“Vivendi”) come soggetto controllante di TIM ai fini della disciplina in materia di operazioni con parti correlate e ai pareri al riguardo acquisiti da TIM e dal Collegio Sindacale.
Quanto alla disciplina in materia di operazioni con parti correlate, con comunicazione del 20 gennaio 2017, il Collegio Sindacale ha rappresentato alla Consob di aver concluso che Vivendi è parte correlata di Telecom in quanto socio di controllo, secondo la definizione contenuta nel Regolamento Consob adottato in materia. I pareri acquisiti dalla Società concludono invece nel senso che Vivendi non detiene il controllo di TIM secondo la definizione contenuta nel sopra menzionato Regolamento.
Si fa riferimento, in particolare, alla nota inviata dalla Consob in data 20 aprile 2017 avente ad oggetto la questione concernente la qualificabilità del socio Vivendi come soggetto controllante di TIM ai fini della disciplina in materia di operazioni con parti correlate, con particolare riferimento alla fattispecie di controllo prevista dalla lett. d) della definizione di controllo prevista nell’Allegato 1 del Regolamento Consob adottato con delibera 17221/2010 (“Regolamento Consob OPC”). Con la predetta comunicazione la Scrivente ha rappresentato, tra l’altro, che “l’assetto proprietario e di governance di Telecom, nonché le circostanze fattuali segnalate dal Collegio Sindacale a più riprese, assumono particolare rilievo come indici di una crescente influenza da parte del socio Vivendi sulla gestione del gruppo Telecom” e che tali circostanze fattuali comportavano la necessità di procedere tempestivamente ad una valutazione ai sensi dell’ art. 4, comma 2, del Regolamento Consob OPC. Nella citata nota si precisava, infine, che “qualora a seguito dell’Assemblea dei soci di Telecom - convocata per il 4 maggio 2017 e avente ad oggetto il rinnovo del Consiglio di Amministrazione mediante voto di lista - Vivendi dovesse venire a detenere “il potere di esercitare la maggioranza dei diritti di voto nelle sedute” del predetto Consiglio, la Società dovrà obbligatoriamente procedere ad una rivalutazione della posizione della stessa Vivendi”.
In occasione dell’assemblea del 4 maggio 2017, il Consiglio di Amministrazione (“CdA”) della Società è stato rinnovato e i relativi consiglieri sono stati tratti in maggioranza dalla lista presentata da Vivendi.
Si fa altresì riferimento alla decisione, adottata a maggioranza dal CdA di TIM del 1° giugno 2017, di escludere che “anche a valle dell’Assemblea del 4 maggio 2017, Vivendi disponga del “potere di esercitare la maggioranza dei diritti di voto nelle sedute” consiliari […] e dunque si siano integrate le condizioni per qualificare il titolo di correlazione intercorrente tra Vivendi e Tim in termini di controllo, ai sensi della specifica disciplina”. Al riguardo: (i) la Società ha acquisito dei pareri integrativi circa la qualificabilità di Vivendi come socio di controllo di TIM che escludono la sussistenza di tale fattispecie sia ai fini della disciplina parti correlate che ai sensi degli artt. 2359 del codice civile e dell’art. 93 del TUF; (ii) in data 7 giugno 2017, il Collegio Sindacale ha inviato una comunicazione alla Consob nella quale ha rappresentato che - ad esito dell’Assemblea del 4 maggio - risulta ormai pacifica la qualificazione di Vivendi come socio di controllo di Telecom ai fini della disciplina parti correlate.
Si fa infine riferimento al comunicato stampa del 1° giugno 2017, nel quale la Società ha reso noto, tra l’altro, che il Consiglio di Amministrazione in pari data “ha rivisto e ampliato su base volontaria, acquisito il parere favorevole dei Consiglieri indipendenti, l’ambito di applicazione della Procedura [parti correlate “Procedura OPC”], sostituendo la clausola con cui in data 3 maggio 2017 aveva proceduto a un primo ampliamento, e decidendo di equiparare totalmente il socio di riferimento Vivendi a una società controllante, ai fini dell’individuazione del perimetro delle parti correlate” di Telecom.
2. Si fa riferimento ai comunicati stampa diffusi da TIM:
- in data 27 luglio 2017, ove è stato reso noto che “il Consiglio di Amministrazione della Società ha preso atto dell’inizio dell’attività di direzione e coordinamento da parte di Vivendi SA”;
- in data 4 agosto 2017 in cui si rappresenta, tra l’altro, che il CdA, “nel prendere atto dell’inizio dell’attività di direzione e coordinamento, non ha trattato il profilo della sussistenza o meno di controllo ex art. 2359 cod. civ. di Vivendi su TIM”.
[Omissis]
Si fa altresì riferimento al comunicato stampa diffuso da Vivendi, su richiesta della Consob, in data 7 agosto 2017, nel quale “conferma di non esercitare alcun controllo di fatto su Telecom Italia ai sensi dell’art. 93 del Testo unico della finanza e dell’art. 2359 del codice civile: la partecipazione detenuta in Telecom Italia, infatti, non è sufficiente a determinare alcuno stabile esercizio di una influenza dominante sulle assemblee dei soci di Telecom Italia”. In particolare, Vivendi ha sottolineato che:
- non si ravvisa una posizione di controllo della stessa Vivendi nelle assemblee ordinarie dei soci di TIM a decorrere dal 22 giugno 2015;
- l’attività di direzione e coordinamento “non può essere considerata, in forza degli applicabili principi dell’ordinamento italiano, quale evidenza della sussistenza di una posizione di controllo di fatto ai sensi dell’art. 2359 del codice civile” distinguendo tra i diversi piani di rilevanza delle due normative, ovverosia rispettivamente “a livello manageriale” e “a livello assembleare”.
Si fa riferimento, altresì, al parere acquisito da Vivendi in data 13 agosto 2017 che esclude la sussistenza del controllo ai sensi dell’art. 2359 c.c. e dell’art. 93 del TUF.
Si fa riferimento, inoltre, alle note del 7 e del 22 agosto 2017, trasmesse alla Consob dalla Società in data 31 agosto 2017 a seguito di richiesta ex art. 115 del TUF del 30 agosto 2017. Con le suddette note, TIM ha fornito riscontro alla comunicazione della Presidenza del Consiglio dei Ministri di avvio del procedimento nei confronti di Vivendi e di TIM volto ad accertare la sussistenza degli obblighi di notifica previsti dalla disciplina in materia di c.d. “golden power” e, in particolare, dagli articoli 1 e 2 del decreto legge 15 marzo 2012, n. 21. [Omissis]
Con le predette note del 7 e 22 agosto 2017 TIM ha inoltre trasmesso alla Presidenza del Consiglio dei Ministri, dei pareri datati 6 agosto 2017 e 10 agosto 2017, in cui si afferma che, anche a seguito dell’assemblea del 4 maggio 2017, Vivendi non controlla TIM ai sensi degli artt. 2359 del codice civile e 93 del TUF e che l’attività di direzione e coordinamento esercitata da Vivendi non implicherebbe una variazione degli assetti proprietari e, in particolare, un mutamento della titolarità del controllo.
Si fa riferimento alla nota inviata alla Consob in data 5 settembre 2017 dal Collegio Sindacale di TIM, con la quale il Collegio medesimo ha rappresentato di aver terminato l’istruttoria volta a verificare la sussistenza del controllo di Vivendi in TIM ai fini degli artt. 93 del TUF e 2359 del codice civile, nonché ai fini dell’IFRS 10. Nella suddetta nota si rappresenta che “In esito alle analisi svolte, a conclusione di un’approfondita e articolata disamina della complessa questione, il Collegio Sindacale, all’unanimità dei suoi componenti, ritiene che allo stato ricorrano le condizioni per qualificare Vivendi come controllante di Telecom Italia, ai sensi dell’art. 93, comma 1, del TUF e dell’art. 2359, comma 1, n. 2, del codice civile, nonché dell’IFRS n. 10”. In particolare, come riportato nella nota, “è stato valutato che Vivendi sia qualificabile come controllante c.d. «di fatto» della Società, ai sensi dell’art. 2359, comma 1, n. 2, del codice civile, in quanto titolare di un «pacchetto azionario» idoneo ad «orientare la volontà dell’assemblea ordinaria» di Telecom Italia”. Le valutazioni del Collegio Sindacale, inoltre, “discendono da e trovano conferma nel concorso di diverse circostanze riscontrate […] di fatto e di diritto, considerate […] idonee ad integrare la ricorrenza di una fattispecie di controllo c.d. di fatto codicistico” riconducibili al periodo precedente l’assemblea del 4 maggio 2017, agli esiti della stessa e alla situazione attuale.
Si fa, infine, riferimento, al parere acquisito dalla Società il 12 settembre 2017.
* * *
Questa Commissione è pervenuta alla conclusione che – a seguito dell’assemblea dei soci del 4 maggio 2017 con la quale Vivendi ha nominato la maggioranza dei consiglieri di amministrazione di TIM – la medesima Vivendi esercita il controllo su TIM ai sensi degli artt. 2359, comma 1, n. 2, del codice civile e 93 del TUF, nonché ai sensi del Regolamento Consob OPC. Tali conclusioni sono state raggiunte, per le considerazioni di seguito esposte, tenendo conto di quanto rappresentato nella corrispondenza intercorsa tra TIM, il Collegio Sindacale e Vivendi con questa Commissione in merito alla vicenda in oggetto, nonché sulla base dell’esame degli eventi concernenti TIM fino ad oggi intervenuti.
1. QUALIFICAZIONE DI VIVENDI COME CONTROLLANTE DI FATTO AI SENSI DELL’ART. 2359 DEL CODICE CIVILE E DELL’ART. 93 DEL TUF
1.1. La Comunicazione Consob n. DEM/3074183 del 13 novembre 2003 avente ad oggetto la “Qualificazione dei rapporti partecipativi intercorrenti tra Pirelli S.p.A. e Olimpia S.p.A. nonché tra Olimpia S.p.A. e Olivetti S.p.A.”
1.1.1. In via preliminare, occorre chiarire il contenuto della Comunicazione Consob n. DEM/3074183 del 13 novembre 2003 in materia di controllo (“Comunicazione” o “Comunicazione Consob”), avente ad oggetto i rapporti partecipativi all’epoca intercorrenti tra Pirelli S.p.A., Olimpia S.p.A. e Olivetti S.p.A. (ora TIM).
Benché tale Comunicazione sia risalente nel tempo e precedente all’introduzione nel TUF del sistema del voto di lista per l’elezione dell’organo di amministrazione (introdotto con la legge n. 262/2005, c.d. Legge sul Risparmio), la stessa rappresenta ancora una pronuncia attuale della Consob sugli indici per l’identificazione del controllo di fatto e di diritto, ai sensi dell’art. 2359 del codice civile e dell’art. 93 del TUF, e che viene presa in considerazione dalla dottrina e dal mercato con riferimento agli emittenti quotati.
Dopo aver preso in considerazione gli indici contenuti in tale Comunicazione occorre rileggerla alla luce dell’introduzione per le società quotate del sistema del voto di lista per l’elezione dell’organo amministrativo, a decorrere dalle assemblee convocate dopo il 1° luglio 2007.
1.1.2. Come indicato nella Comunicazione medesima, la nozione di controllo sulla base della quale la Consob valuta i rapporti partecipativi tra azionisti e società quotate è quella di cui all’art. 93 del TUF che detta, in via generale, la definizione di controllo con riferimento alla parte IV del Testo Unico, relativa alla “Disciplina degli emittenti”[1]. In base a tale norma, “sono considerate imprese controllate, oltre a quelle indicate nell’art. 2359, primo comma, numeri 1 e 2[2], c.c., anche:
a) le imprese, italiane o estere, su cui un soggetto ha il diritto, in virtù di un contratto o di una clausola statutaria, di esercitare un’influenza dominante, quando la legge applicabile consenta tali contratti o clausole;
b) le imprese, italiane o estere, su cui un socio, in base ad accordi con altri soci, dispone di voti sufficienti a esercitare un’influenza dominante nell’assemblea ordinaria”.
La suddetta previsione rappresenta una delle numerose definizioni di controllo contenute in leggi speciali a carattere settoriale che, nel tempo, si sono venute ad affiancare alla nozione civilistica di cui all’art. 2359 c.c.. Tali leggi talvolta fissano criteri particolari per l’individuazione di una situazione di controllo svincolati dall’art. 2359 c.c., ma per lo più presentano delle presunzioni volte ad agevolare l’accertamento del controllo già definito dall’art. 2359 c.c..
Più precisamente, la maggior parte delle predette definizioni, tra le quali quella contenuta nel citato art. 93 del TUF[3], ruotano intorno al concetto di influenza dominante fissato dall’art. 2359 c.c..
L’influenza dominante rappresenta, quindi, l’essenza stessa del controllo, il denominatore comune a tutte le ipotesi di controllo che la richiamano.
In particolare, l’art. 93 del TUF richiama i nn. 1 e 2, comma 1, dell’art. 2359 c.c, escludendo il n. 3 che prevede il c.d. controllo esterno di fatto. Ai fini delle norme in esame, pertanto, è rilevante esclusivamente il controllo c.d. interno o azionario, di diritto (n. 1, art. 2359 c.c.) o di fatto (n. 2, art. 2359 c.c.). Le ulteriori previsioni contenute nel medesimo art. 93 sarebbero delle presunzioni dell’influenza dominante di cui al punto n. 2, comma 1, dell’art. 2359 c.c.. In particolare, secondo la dottrina maggioritaria, la fattispecie del controllo solitario tramite patto di sindacato sarebbe già ricompresa nell’art. 2359 c.c., come del resto la previsione del controllo in virtù di un “contratto o di una clausola statutaria quando la legge applicabile consenta tali contratti o clausole”.
Come rappresentato nella Comunicazione Consob, presupposto comune ad entrambe le forme di controllo (controllo di diritto e di fatto) è la “disponibilità” di diritti di voto in misura tale da avere la maggioranza nelle assemblee ordinarie e, quindi, “la possibilità di scelta della maggioranza se non della totalità degli amministratori e la possibilità di generale indirizzo della gestione attraverso l’approvazione annuale del bilancio. In altri termini, l’individuazione del controllo dipende dalla capacità del pacchetto azionario posseduto di orientare la volontà dell’assemblea ordinaria. La legge invece non considera necessaria per l’esistenza del controllo l’influenza dominante sulle assemblee in sede straordinaria”.
1.1.3. Come evidenziato nella Comunicazione, l’art. 2359 c.c. rispetto alla versione originale è stato modificato dal d.lgs. n. 127/91 di attuazione delle direttive n. 78/660/CEE e n. 83/349/CEE in materia societaria, relative ai conti annuali e consolidati. In particolare, l’art. 2359 c.c., nella previgente versione, prevedeva il controllo esercitato in virtù di “azioni o quote possedute”; il vigente testo, invece, fa riferimento alla “disponibilità” di voti nell’assemblea ordinaria (“Sono considerate società controllate: 1) le società in cui un’altra società dispone della maggioranza dei voti esercitabili nell’assemblea ordinaria; 2) le società in cui un’altra società dispone di voti sufficienti per esercitare un’influenza dominante nell’assemblea ordinaria”).
Pertanto, ciò che conta al fine dell’individuazione del soggetto controllante non è una particolare situazione formale (la proprietà, ad esempio, di oltre il 50% del capitale ordinario), ma sono le reali posizioni di potere all’interno della società, determinate dal numero di voti che di fatto si possono comunque utilizzare per conseguire l’influenza dominante sulla partecipata attraverso la nomina della maggioranza dei componenti del Consiglio di amministrazione.
Come rappresentato nella Comunicazione, “dopo il proliferare nelle ultime leggi speciali del riferimento espresso ai patti parasociali come strumento per acquisire il controllo e dopo le modifiche apportate dal citato d.lgs. n. 127/91 agli elementi costitutivi del controllo interno, sia di diritto che di fatto, di cui all’art. 2359 c.c., la prevalente dottrina ha affermato che il controllo non deve più essere considerato come un controllo di tipo statico o formale, legato alla proprietà delle azioni, ma un controllo legato all’effettiva gestione della società”.
Si può ritenere, pertanto, che l’influenza dominante sull’assemblea ordinaria non sia da considerare fine a se stessa ma sia da prendere in considerazione in quanto presupposto per esercitare un’influenza dominante sulla gestione ordinaria della società attraverso la possibilità di determinare le decisioni del CdA, organo a cui spetta in via esclusiva la gestione.
Tale considerazione è avvalorata da quanto rappresentato nella citata Comunicazione in tema di accertamento del controllo di diritto di cui all’art. 2359, comma 1, n. 1, c.c. (“Sono considerate società controllate:1) le società in cui un’altra società dispone della maggioranza dei voti esercitabili nell’assemblea ordinaria”).
In particolare, nella citata Comunicazione si rappresenta che “parte della dottrina ha sostenuto che nelle ipotesi in cui un soggetto dispone «della maggioranza dei voti esercitabili nell’assemblea ordinaria» di una società, cioè dispone di più della metà delle azioni con diritto di voto nelle assemblee ordinarie, la possibilità di esercitare un’influenza dominante è in re ipsa, in quanto tale soggetto è in grado, fra l’altro, di nominare gli amministratori della partecipata. Pertanto, se un soggetto possiede il 50% più una azione di una società, quest’ultimo, senza ulteriori accertamenti, dovrà essere considerato controllante: si presume iuris et de iure il controllo.”.
Nella medesima Comunicazione si è altresì rappresentato di non condividere tale dottrina e di ritenere che - tenendo anche conto degli orientamenti secondo i quali, a seguito delle citate modifiche dell’art. 2359 c.c., il controllo non deve più essere considerato come un controllo formale, legato alla proprietà delle azioni, “ma un controllo legato all’effettiva gestione della società” – la fattispecie del controllo connessa alla disponibilità della maggioranza dei diritti di voto esercitabili in assemblea ordinaria debba invece essere considerata una presunzione iuris tantum.
In particolare, “come i patti possono rilevare per attribuire il controllo a chi altrimenti non lo avrebbe, così potrebbe essere possibile che in determinati casi talune pattuizioni parasociali, così come particolari clausole statutarie, o ancora specifiche previsioni normative, possano assumere rilievo per escludere il controllo di un socio che possiede «la maggioranza dei voti esercitabili nell’assemblea ordinaria». Naturalmente, però, in presenza di un patto che depotenzia il soggetto che possiede la maggioranza assoluta dei voti nell’assemblea ordinaria, occorrerà accertare se concretamente le clausole di tale patto siano tali da impedire a tale socio di influire in maniera determinante sulla gestione della società. In particolare, quando, vi è un soggetto titolare della maggioranza assoluta dei voti che designa la maggioranza degli amministratori (dato che viene unanimemente considerato rilevante per stabilire l’esistenza del controllo), per escludere il controllo è necessario accertare che a tale maggioranza di amministratori sia impedita, in forza delle clausole pattizie o statutarie, la possibilità di assumere le decisioni relative alla gestione della società in assenza del consenso degli amministratori espressione della minoranza”[4].
1.1.4. Con specifico riferimento al controllo di fatto di cui all’art. 2359, comma 1, n. 2, c.c. (“Sono considerate società controllate:… 2) le società in cui un’altra società dispone di voti sufficienti per esercitare un’influenza dominante nell’assemblea ordinaria) da parte di un soggetto che non dispone della maggioranza dei diritti di voto nell’assemblea ordinaria nella Comunicazione, in sintesi, si precisa quanto segue.
Il controllo di fatto si ha, come noto, “quando una partecipazione di per sé minoritaria, nel caso concreto, consente ugualmente di determinare le deliberazioni dell’assemblea ordinaria per la polverizzazione dei possessi azionari e l’assenteismo degli altri soci. La quota di partecipazione idonea ad assicurare l’influenza dominante è variabile perché dipende dalla situazione di fatto in cui la società si trova. In particolare, la necessità di un numero maggiore o minore di azioni per esercitare il controllo della società dipenderà dal grado di frazionamento della compagine sociale e dal livello di usuale assenteismo dei soci titolari di quote più esigue”.
Dovranno inoltre essere prese in considerazione le assemblee di maggiore significatività per la vita societaria quali le assemblee in cui si procede alla nomina degli amministratori e che, quindi, influiscono sulla gestione della società per il triennio successivo, ovvero le assemblee di approvazione del bilancio, in cui si esprime il giudizio sulla gestione della società.
“Inoltre, per accertare l’esistenza del controllo di fatto si deve verificare che non si tratti di un controllo occasionale, dovuto ad una situazione contingente o ad un fortuito dominio di un’assemblea dove, ad esempio, uno o più azionisti rilevanti, solitamente presenti, non hanno potuto partecipare per cause impreviste. Si deve trattare, invece, di una situazione giuridica relativamente stabile. Tale relativa stabilità andrà necessariamente accertata attraverso un’analisi dell’andamento delle assemblee della partecipata per un arco di tempo ragionevolmente significativo. Tale arco temporale, tuttavia, non deve essere necessariamente successivo al momento in cui il presunto controllante abbia acquisito la partecipazione, potendosi tenere in considerazione anche le assemblee precedenti al trasferimento della partecipazione in questione. In particolare, occorre effettuare un’indagine anche sulle passate vicende assembleari, per analizzare la percentuale di voti che è stata mediamente necessaria per raggiungere il quorum deliberativo. Ovviamente, tale analisi sul passato sarà rilevante solo nelle ipotesi in cui, oltre all’acquisto della partecipazione rilevante che deve essere valutata ai fini di una sua eventuale qualificazione come partecipazione di controllo, non vi siano stati altri mutamenti sostanziali nell’azionariato. Più precisamente, con riguardo alle società quotate, si dovrà verificare se siano rimasti sostanzialmente immutati gli azionisti rilevanti con partecipazioni superiori al 2%, se quindi il c.d. flottante sia rimasto sostanzialmente il medesimo. In tal modo, si riuscirà a ipotizzare con ragionevole certezza se una partecipazione sarà in grado di assicurare il controllo al suo detentore”.
Infine, con riguardo alla stabilità del controllo, nella Comunicazione si precisa di “non condividere l’affermazione secondo la quale per desumere l’esistenza del controllo di fatto occorrerà attendere che tale situazione di fatto si consolidi in un arco temporale di due o tre esercizi”.
Con riferimento al rapporto tra Olimpia e Olivetti è, infatti, rappresentato che la stabilità del controllo su Olivetti, oltre che dall’esame delle assemblee precedenti l’acquisto della partecipazione da parte di Olimpia, era stata di fatto concretamente confermata dalla nomina dei componenti del Consiglio di amministrazione di Olivetti, almeno fino a quando fosse stata realizzata l’operazione di ristrutturazione Olivetti/Telecom Italia[5].
Inoltre, sempre con riferimento alla relativa stabilità del controllo di fatto, nella Comunicazione si evidenzia “che la possibilità che in future assemblee l’azionista che esercita il controllo di fatto possa essere messo in minoranza da una coalizione di altri soci, costituisce una possibilità sempre insita nel controllo di fatto e che distingue tale controllo, di per sé sempre contendibile, da quello di diritto”.
“In altri termini, la contendibilità e la potenziale modificabilità costituisce un elemento strutturale del controllo di fatto il quale, per quanto stabile, è pur sempre controllo minoritario e, quindi, ribaltabile da nuove maggioranze che si formino in assemblea. Se, per il solo fatto - sempre possibile - che il controllante possa in futuro essere messo in minoranza, si ritenesse non configurabile un controllo di fatto, si perverrebbe ad una sostanziale abrogazione di tale fattispecie normativa”.
1.2. Considerazioni a seguito dell’introduzione della disciplina del voto di lista per la nomina degli organi di amministrazione delle società quotate
Come detto, le considerazioni contenute nella Comunicazione Consob debbono necessariamente essere integrate alla luce della novità del voto di lista per l’elezione dell’organo amministrativo[6] delle società quotate, introdotta nel TUF dalla c.d. Legge sul Risparmio del 2005 ed entrata in vigore a partire dalle assemblee convocate dopo il 1° luglio 2007[7].
In particolare, con tale disciplina per l’elezione del CdA non è più richiesta la disponibilità della maggioranza assoluta dei diritti di voto presenti in assemblea, come previsto per le assemblee ordinarie dall’art. 2368 c.c., comma 1, c.c.[8], ma dalla lista che avrà ottenuto anche un solo voto in più rispetto alla eventuale o alle eventuali ulteriori liste presentate saranno tratti almeno la maggioranza degli amministratori.
Pertanto, con il meccanismo del voto di lista, a fronte della riserva di almeno un posto in CdA a beneficio delle minoranze, la “capacità […] di orientare la volontà dell’assemblea ordinaria” convocata per il rinnovo degli organi sociali e, quindi, la capacità di esercitare l’influenza dominante sulla gestione della società tramite la nomina della maggioranza degli amministratori da parte del soggetto titolare dal pacchetto di maggioranza relativa, si manifesta inevitabilmente con modalità che non richiedono l’espressione della maggioranza assoluta dei diritti di voto presenti in assemblea.
Inoltre, in via generale - ferme le necessarie analisi che devono essere fatte caso per caso in relazione alle concrete fattispecie - occorre prendere in considerazione i seguenti dati di fatto riscontrati dall’esame delle assemblee delle società quotate:
a) negli ultimi anni la partecipazione alle assemblee delle società quotate, in particolare delle società a media alta capitalizzazione, è molto aumentata soprattutto a partire dal 2011, primo anno d’introduzione del meccanismo della c.d. record date[9] in attuazione della direttiva 2007/36/CE in materia di diritti degli azionisti delle società quotate, la c.d. Shareholders’ Rights Directive)[10]; allo stesso modo è aumentato l’attivismo delle minoranze che hanno fatto uso dei diritti loro attribuiti dal TUF e dal codice civile (ad esempio presentazione liste di minoranza, integrazione dell’ordine del giorno delle assemblee, segnalazioni di fatti censurabili al collegio sindacale);
b) tuttavia, le SGR nonché altri investitori istituzionali italiani o esteri, per normativa di riferimento o per regolamenti interni, non possono fare investimenti volti all’acquisizione del controllo delle società partecipate e, pertanto, non presentano liste volte alla nomina della maggioranza degli amministratori ma solo c.d. “liste corte” ovvero volte all’elezione di una minoranza di amministratori. Inoltre, solo la presentazione di liste di minoranza rassicura tali investitori in merito al rischio di vedere accertata un’azione di concerto, con il conseguente obbligo di OPA. Infatti, nell’art. 44-quater (“Azione di concerto”) del Regolamento Emittenti è prevista una espressa previsione sulla non configurabilità, di per sé, di una azione di concerto solo per il caso di presentazione di liste con un numero di candidati inferiori alla metà dei componenti da eleggere ovvero di liste programmaticamente preordinate all’elezione di rappresentanti della minoranza[11];
c) con riferimento alle società di grande e media capitalizzazione (società del FTSE MIB e società del MID CAP), le SGR associate o altri investitori istituzionali italiani o esteri sono soliti partecipare alla presentazione delle liste curate dal Comitato dei gestori di Assogestioni. Tali liste, come in più parti previsto dal “Protocollo dei compiti e delle funzioni del Comitato Corporate Governance e del Comitato dei Gestori”, sono liste per “l’elezione o la cooptazione di candidati di minoranza alle cariche sociali di emittenti quotati partecipati italiani”. I componenti del Comitato dei gestori “presentano esclusivamente liste di minoranza per l’elezione degli organi sociali degli emittenti quotati partecipati. Pertanto le liste per l’elezione degli organi di amministrazione sono composte da un numero di candidati inferiore alla metà di quello dei componenti da eleggere, salvo quando ciò sia impedito da disposizioni statutarie dell’emittente”;
d) pertanto, soprattutto con riguardo alle società a più elevata capitalizzazione con un ampio flottante superiore al 50% del capitale e senza azionisti diversi dagli investitori istituzionali con partecipazioni significative, come la stessa TIM, l’azionista con la partecipazione di maggioranza relativa è sempre riuscito a disporre “di voti sufficienti” a nominare almeno la maggioranza degli amministratori, così ottenendo il risultato tipico dell’esercizio di “un’influenza dominante nell’assemblea ordinaria”;
e) più precisamente, nella prassi applicativa, i fondi hanno sempre presentato liste con un numero di candidati inferiore alla metà dei componenti da eleggere che non potevano, quindi, contendere all’azionista di maggioranza relativa la maggioranza dei posti in CdA. In particolare si sono presentati i seguenti casi: i) nella quasi totalità delle ipotesi, la lista preordinata alla maggioranza dei posti ha avuto la maggioranza dei voti in assemblea e, pertanto, ha ottenuto la maggioranza degli amministratori; ii) in alcune ipotesi la “lista di minoranza”, con un numero di candidati inferiore alla metà di quello dei componenti da eleggere, ha avuto la maggioranza dei voti e ha nominato tutti i suoi candidati ma per completare il collegio sono stati messi alla votazione, ai sensi del citato art. 2368 c.c., i candidati della “lista di maggioranza” rimasti fuori; i rappresentanti degli investitori della “lista di minoranza” si sono allontanati dall’assemblea per consentire al socio che aveva presentato la “lista di maggioranza” di eleggere i restanti consiglieri (e quindi la maggioranza del CdA)[12]; iii) alcuni statuti di società quotate hanno di recente introdotto una previsione statutaria secondo cui, nel caso in cui sia una “lista corta” ad ottenere la maggioranza dei diritti di voto, gli amministratori mancanti saranno automaticamente tratti dalla lista con un numero di amministratori sufficienti ad integrare il collegio[13].
In conclusione, si può ritenere che il meccanismo del voto di lista - in una società con la maggioranza del capitale costituita da flottante e in possesso di investitori istituzionali o retail, con un forte distacco tra il socio di maggioranza relativa e l’eventuale secondo azionista con una partecipazione rilevante – possa far ritenere con ragionevole certezza, al socio che dispone della partecipazione di maggioranza relativa, di ottenere voti sufficienti per nominare la maggioranza degli amministratori e, quindi, conseguire il risultato che caratterizza tipicamente l’esercizio di un’influenza dominante ai sensi dell’art. 2359, comma 1, n. 2), c.c..
1.3. Esame del rapporto partecipativo tra Vivendi e TIM a seguito dell’assemblea di TIM del 4 maggio 2017
Nell’assemblea del 4 maggio u.s. la lista di Vivendi è stata la più votata e ha nominato i 2/3 degli amministratori del CdA di TIM (10 su 15). I restanti amministratori sono stati tratti dalla lista presentata a cura del Comitato dei gestori di Assogestioni per conto di SGR e investitori istituzionali. Vivendi ha promosso una sollecitazione di deleghe di voto con la quale ha raccolto i voti dello 0,15% del capitale ed era presente in assemblea con il 23,94% del capitale, mentre il capitale con diritto di voto presente era pari al 58,75%. La lista di Vivendi è arrivata prima con il voto favorevole del 29% del capitale votante presente in assemblea, mentre per la lista dei fondi ha votato il 28,78% del capitale presente.
Non vi erano liste che avrebbero potuto contendere alla lista di Vivendi la nomina della maggioranza di amministratori; l’unica lista alternativa è stata presentata a cura del citato Comitato dei gestori per conto dei fondi e aveva un numero di candidati inferiore alla metà dei componenti da eleggere, essendo una lista preordinata alla nomina di amministratori di minoranza.
Nell’eventualità di maggiori voti alla “lista di minoranza”, vi sarebbe comunque stata una votazione ai sensi dell’art. 2368 c.c. sui candidati rimasti fuori della lista Vivendi e i rappresentanti dei fondi, considerata la loro volontà/non possibilità di eleggere la maggioranza, non avrebbero interferito nella votazione consentendo a Vivendi di nominare tutti i propri candidati.
Analizzando le assemblee di TIM a partire dal 1° luglio 2007, data di entrata in vigore del voto di lista, si riscontra che in tutte le assemblee aventi ad oggetto il rinnovo del Consiglio di amministrazione[14]:
- la maggioranza degli amministratori è sempre stata espressa dal socio di maggioranza relativa, che aveva presentato la lista di candidati c.d. “di maggioranza” (ossia una lista contenente un numero di candidati pari all’intero CdA o, comunque, un numero di candidati pari alla maggioranza dei posti disponibili);
- dalle liste presentate da un raggruppamento di investitori istituzionali e dal socio rilevante Findim (che ha avuto nel tempo fino ad un massimo del 5%) è stata tratta la quota di amministratori riservata alle minoranze ai sensi di statuto (pari a un quinto e, in un secondo periodo, a un terzo del totale). Più specificamente nelle assemblee del 2011 e del 2014 dalla lista di Findim non è stato nominato alcun amministratore e tutti i posti riservati alle minoranze sono stati presi dai candidati della lista degli investitori istituzionali;
- le liste degli investitori istituzionali e di Findim sono sempre state preordinate alla nomina della minoranza degli amministratori in quanto hanno sempre presentato un numero di candidati inferiore alla metà degli amministratori da eleggere.
Si evidenzia che la lista “di maggioranza” (presentata da Telco) è riuscita a nominare la maggioranza degli amministratori anche nell’unica circostanza (assemblea del 16 aprile 2014) in cui è risultata seconda per numero di voti. In questo caso, infatti, con il sistema del voto di lista sono stati nominati solamente 6 dei 13 amministratori e, in particolare: dalla lista dei fondi, risultata prima per numero di voti, è stato possibile trarre solamente i 3 candidati ivi presenti e dalla lista del socio di maggioranza relativa Telco, risultata seconda per numero di voti, sono stati tratti solo i primi 3 candidati, pari alla quota riservata ai sensi di Statuto alle minoranze. I restanti 7 amministratori necessari per il completamento dell’organo consiliare sono stati nominati al di fuori del sistema del voto di lista, mediante votazione su ciascun candidato a maggioranza semplice dell’assemblea. In particolare, il socio Telco ha proposto i 7 candidati presenti nella propria lista e non eletti e ne è stata approvata la nomina a seguito dell’allontanamento dalla votazione dei rappresentanti dei fondi.
Alla luce delle considerazioni espresse in via generale dalla Consob nella citata Comunicazione del 2003, gli esiti delle precedenti assemblee consentono di affermare la natura stabile del risultato di nomina della maggioranza degli amministratori ottenuto nell’ultima assemblea dal socio Vivendi, anche in quanto il flottante di TIM è rimasto sostanzialmente immutato negli anni. In particolare, dall’esame delle comunicazioni ex art. 120 del TUF risulta che sono rimasti sostanzialmente immutati gli azionisti con partecipazioni rilevanti (superiori alla soglia del 2% o del 3% a partire dal 2016)[15]. Tale circostanza trova riscontro anche nelle evidenze sulla partecipazione assembleare dei soci TIM, la maggioranza dei quali è rappresentata da una pluralità di investitori istituzionali[16].
Si evidenzia inoltre che, ad oggi, il capitale di TIM è caratterizzato dalla presenza di un azionista (Vivendi) titolare di una partecipazioni del 23,9% circa, mentre il restante capitale risulta diffuso e polverizzato tra il pubblico. In particolare, non esistono altri soci legati da patti parasociali e l’unico azionista con una partecipazione rilevante ai sensi dell’art. 120 del TUF, BlackRock Inc., è titolare di un partecipazione pari al 3,10%, significativamente inferiore a quella di Vivendi, e non ha presentato alcuna lista, ma ha votato a favore della lista presentata dal Comitato dei gestori di Assogestioni volta alla nomina della minoranza degli amministratori.
Dai dati sulla composizione del capitale di TIM al 30 giugno 2017 pubblicati sul sito della Società e basati sulle risultanze del libro soci al 30 giugno integrate da altre informazioni a disposizione della stessa, risulta che:
- Vivendi detiene il 23,94%;
- gli investitori istituzionali esteri e italiani detengono il 61,89% del capitale (di cui il 58,13% in mano agli esteri e il 3,76% agli italiani);
- altri azionisti, nessuno con partecipazione rilevante, detengono il 13,09%;
- il gruppo Telecom detiene azioni TIM per l’1,08%.
Ciò rappresentato, si ritiene che Vivendi avesse dall’inizio la ragionevole certezza di poter disporre di voti sufficienti per nominare la maggioranza dei consiglieri di TIM e, quindi, di poter esercitare il controllo sulla gestione della partecipata. Con l’assemblea del 4 maggio u.s. Vivendi ha acquisito tale controllo di fatto in modo relativamente stabile. Infatti, con la nomina della maggioranza degli amministratori Vivendi ha acquisito per un triennio il potere di determinare le decisioni dell’organo amministrativo a cui spetta in esclusiva la gestione ordinaria della Società.
Ovviamente in astratto sarebbe sempre possibile una revoca di tale CdA, come sempre sarebbe possibile in una società ancora contendibile come sono per definizione le società controllate di fatto e non di diritto, ma data la descritta composizione dell’azionariato, ad oggi, questa ipotesi non risulta ragionevolmente realizzabile.
1.4. Dichiarazione dell’esercizio di direzione e coordinamento su TIM da parte di Vivendi
1.4.1. A seguito della nomina della maggioranza (2/3) degli amministratori nella citata assemblea del 4 maggio, è intervenuto un’ulteriore evento rilevante: come già rappresentato, in data 27 luglio u.s., la società Vivendi in persona del dott. de Puyfontaine, Presidente di TIM nonché Amministratore Delegato della stessa Vivendi, ha dichiarato nel corso di un CdA di TIM di esercitare su quest’ultima attività di direzione e coordinamento.
A seguito di una richiesta della Consob inoltrata tramite l’AMF, Vivendi ha reso noto al mercato di non esercitare il controllo ai sensi dell’art. 2359 c.c. e dell’art. 93 del TUF su TIM.
1.4.2. Al riguardo, per le considerazioni di seguito esposte, si ritiene, in sintesi, che non sia possibile esercitare un’attività di direzione e coordinamento su una società partecipata senza disporre del controllo ex art. 2359 c.c. o del controllo rilevante ai fini del consolidamento di bilancio (fattispecie che, ai sensi dell’art. 2497-sexies c.c.[17], costituiscono presunzioni relative di direzione e coordinamento, c.d. gruppo verticale) a meno che non ci siano accordi contrattuali o clausole statutarie che impongano il coordinamento delle due imprese (c.d. gruppo orizzontale ex art. 2497-septies c.c., in cui, a ben vedere, gli strumenti per realizzare direzione e coordinamento coincidono con quelli previsti dall’art. 93, comma 1, lett. a), del TUF[18])[19].
Sicuramente si ritiene non sufficiente per sottoporre a direzione e coordinamento una società partecipata una mera dichiarazione dell’azionista di maggioranza relativa sulla sussistenza della direzione e coordinamento o sulla volontà di esercitare direzione e coordinamento. Nel parere del 6 agosto u.s. trasmesso da TIM alla Presidenza del Consiglio dei Ministri si fa riferimento alla direzione e coordinamento come ad “una modalità di gestione dell’impresa che il socio presceglie” e che l’avvio della direzione e coordinamento di Vivendi è stato “autonomamente e legittimamente deciso da quest’ultimo quale modalità di gestione della propria partecipazione”.
Tale affermazione sembra però trascurare che per avere la possibilità di prescegliere una modalità di gestione (non della propria partecipazione ma) di una società partecipata occorre necessariamente avere contestualmente il potere di influire su tale gestione.
Nel caso di specie non ci sono né accordi contrattuali né clausole statutarie che vincolano TIM alle direttive e al coordinamento con Vivendi, pertanto, non possiamo che trovarci in presenza della fattispecie della direzione e coordinamento in forza del controllo. Non è, infatti, possibile imporre direttive se non si dispone della maggioranza dei componenti del CdA e, quindi, se non si è in grado di influire sulla gestione dell’emittente.
In assenza di contratti o clausole statutarie che vincolino una società alle direttive di un altro emittente, come rappresentato da parte della dottrina, l’esistenza di un rapporto di controllo è il presupposto necessario ma non sufficiente per l’esercizio di un’attività di direzione e coordinamento, occorre infatti un quid pluris rappresentato dall’effettivo esercizio di una direzione unitaria ossia da un’ingerenza nella gestione societaria che va al di là del mero esercizio delle prerogative sociali in assemblea[20] [21].
Peraltro, affermare l’esistenza della direzione e coordinamento in un c.d. gruppo verticale non può che confermare l’esistenza di un controllo quantomeno relativamente stabile e non certamente occasionale o fortuito sulla società partecipata. Infatti in presenza di direzione e coordinamento si fa parte di un gruppo di società e sono richieste, a tutela delle minoranze e dei creditori sociali, forme di pubblicità dell’esistenza del medesimo gruppo (nel registro delle imprese, negli atti e nella corrispondenza, nella documentazione di bilancio[22]), obblighi di motivazione per gli atti e le operazioni eseguiti sulla base delle direttive della capogruppo[23], responsabilità in capo alla stessa capogruppo[24], nonché specifiche ipotesi di recesso per gli azionisti di minoranza[25]. Si ritiene, quindi, che in un gruppo di società la relativa stabilità del controllo esercitato sia da considerarsi in re ipsa.
1.4.3. Che il potere di controllo sia considerato un naturale presupposto dell’esercizio della direzione e coordinamento è confermato dalla legge delega sulla riforma del diritto societario (Legge 3 ottobre 2001, n. 366 “Delega al Governo per la riforma del diritto societario”).
Infatti, come noto, la disciplina della direzione e coordinamento è stata introdotta nel codice civile dalla riforma del 2003 (d.lgs n. 6/2003, c.d. Riforma del Diritto Societario), e l’art. 10 (“Gruppi”) della legge delega espressamente prevede: “1. La riforma in materia di gruppi è ispirata ai seguenti princìpi e criteri direttivi:
a) prevedere una disciplina del gruppo secondo princìpi di trasparenza e tale da assicurare che l’attività di direzione e di coordinamento contemperi adeguatamente l’interesse del gruppo, delle società controllate e dei soci di minoranza di queste ultime;
b) prevedere che le decisioni conseguenti ad una valutazione dell’interesse del gruppo siano motivate;
c) prevedere forme di pubblicità dell’appartenenza al gruppo;
d) individuare i casi nei quali riconoscere adeguate forme di tutela al socio al momento dell’ingresso e dell’uscita della società dal gruppo, ed eventualmente il diritto di recesso quando non sussistono le condizioni per l’obbligo di offerta pubblica di acquisto”.
Allo stesso modo nella relazione illustrativa del d.lgs. n. 6/2003 si legge “si è ritenuto che il problema centrale del fenomeno del gruppo fosse quello della responsabilità, in sostanza della controllante, nei confronti dei soci e dei creditori sociali della controllata”. In diversi altri punti di tale relazione illustrativa, nel fare riferimento alla direzione e coordinamento, si dà come presupposto che tale attività coinvolga un soggetto “controllante” e una società “controllata”[26].
1.4.4. Anche nel TUF, nel dettare i requisiti per l’ammissione a quotazione delle società soggette a direzione e coordinamento, si presuppone che tali società siano società controllate, a meno che non si voglia pensare che il legislatore abbia voluto distinguere e dettare regole per la quotazione solo per alcune tipologie di società soggette a direzione e coordinamento. In particolare, l’art. 62 del TUF (“Regolamento del mercato”) prevede: “3-bis. La Consob determina con proprio regolamento: … b) le condizioni in presenza delle quali non possono essere quotate le azioni di società controllate sottoposte all’attività di direzione e coordinamento di altra società”. In attuazione di tale norma, la Consob nell’art. 37 del Regolamento Emittenti ha previsto regole per le “società controllate sottoposte all’attività di direzione e coordinamento”[27].
1.4.5. Né a diverse conclusioni è possibile giungere facendo leva su alcuni passaggi di recenti pronunce giurisprudenziali[28] ove è stato affermato, essenzialmente per ragioni anti-elusive, che l’attività di direzione e coordinamento può derivare anche da relazioni di dipendenza diverse da quelle richiamate dall’art. 2497-sexies e dall’art. 2497-septies c.c. e, quindi, diverse dalle fattispecie di controllo partecipativo o contrattuale e da quelle derivanti da vincoli contrattuali o clausole statutarie. Tali sentenze, in particolare, valorizzano la ratio dell’istituto della direzione e coordinamento tesa ad estendere la responsabilità per la gestione sociale a persone fisiche/giuridiche diverse dalla società target ma, comunque, in grado di esercitare una sistematica ingerenza negli atti gestionali della stessa.
Va, infatti, sottolineato che, nonostante le affermazioni di principio sulla possibilità che l’applicazione degli artt. 2497 e ss. c.c. prescinda dal controllo ex art. 2359 c.c., in tutte le fattispecie esaminate nelle predette sentenze la decisione di accertamento dell’esercizio della direzione e coordinamento è sempre stata presa in situazioni in cui vi era una relazione di controllo partecipativo o contrattuale.
Peraltro, le predette sentenze non hanno riguardato società quotate tranne in un caso in cui non è stato comunque preso in considerazione il citato art. 62 del TUF.
Inoltre, con riferimento al caso di specie, non emergono in concreto relazioni diverse da quelle tipiche del controllo partecipativo o contrattuale che potrebbero giustificare l’esistenza della direzione e coordinamento sulla base di altri presupposti.
1.4.6. Quanto detto in materia di disciplina codicistica sui “gruppi” testimonia che la ricostruzione di carattere generale sulla configurabilità della direzione e coordinamento come pura scelta gestionale su base discrezionale, contenuta nei pareri forniti dalla Società, non appare condivisibile e che, al contrario, la dichiarazione dell’esistenza della direzione e coordinamento non può che derivare dall’esistenza di una relazione di controllo, che nel caso di specie si configura di tipo partecipativo.
In conclusione, fermo quanto rappresentato nei paragrafi precedenti, può ritenersi in ogni caso che i dati fattuali presenti nel caso di specie, analizzati alla luce della sopra esposta normativa in materia di direzione e coordinamento dettata dal codice civile, consentono di affermare la sussistenza di una relazione di controllo di fatto fra Vivendi e TIM rilevante ai sensi degli artt. 2359 c.c. e 93 del TUF.
1.5. Fatti che costituiscono indici del concreto esercizio del controllo su TIM da parte di Vivendi
Per completezza si segnala che, dopo la nomina della maggioranza degli amministratori nell’assemblea del 4 maggio u.s., il controllo è stato concretamente esercitato, come evidenziato dall’insieme degli eventi di seguito rappresentati, :
- in via preliminare, si segnala che tre amministratori dei dieci di designazione di Vivendi (sui quindici totali del CdA) ricoprono ruoli dirigenziali di vertice nel gruppo Vivendi. Si fa in particolare riferimento ai consiglieri: (i) Arnaud de Puyfontaine, membro del Consiglio di Gestione e Chief Executive Officer di Vivendi, Presidente del Consiglio di Sorveglianza di Universal Music France e membro del Consiglio di Sorveglianza di Canal Plus; (ii) Hervè Philippe, membro del Consiglio di Gestione e Chief Financial Officer di Vivendi, Vicepresidente del Consiglio di Sorveglianza di Canal Plus e membro del Consiglio di Sorveglianza di Universal Music France; (iii) Frèdèric Crépin, componente del Consiglio di Gestione e General Counsel di Vivendi, componente del Consiglio di Sorveglianza di Canal Plus e di Universal Music France;
- la delibera del CdA del 1° giugno 2017 di attribuzione al consigliere de Puyfontaine della carica di Presidente Esecutivo di TIM e il conferimento al medesimo di rilevanti deleghe attinenti le linee strategiche del gruppo[29];
- la ricostituzione, deliberata dal CdA del 1° giugno 2017, del Comitato Strategico[30], composto da due consiglieri appartenenti al vertice esecutivo di Vivendi (i consiglieri de Puyfontaine e Crépin) e dai consiglieri Recchi, Bernabè e Frigerio;
- la composizione dei Comitati interni al CdA (Comitato Strategico, Comitato per le Nomine e la Remunerazione e Comitato Controllo e Rischi), caratterizzata dalla presenza maggioritaria di consiglieri tratti dalla lista di Vivendi;
- l’impegno assunto da Vivendi - nell’ambito del procedimento avviato dalla Commissione Europea ai sensi del Regolamento Europeo n. 139/2004 e inerente la concentrazione Vivendi-TIM - a cedere le quote detenute da TIM in Persidera S.p.A. (come comunicato dalla stessa Commissione Europea a seguito dell’adozione della decisione del 30 maggio 2017), senza un preventivo coinvolgimento del CdA della medesima TIM (che ha ricevuto un’informativa su tale aspetto il 7 luglio 2017) e dopo che TIM aveva dichiarato nell’ultimo bilancio la strategicità di tale partecipazione;
- la risoluzione in data 24 luglio 2017 del rapporto di amministrazione e dirigenziale con l’Amministratore Delegato dott. Cattaneo, di recente confermato Amministratore Delegato dopo l’assemblea del 4 maggio, su esclusiva iniziativa del consigliere de Puyfontaine, a seguito di una discussione con il dott. Cattaneo avente ad oggetto cambiamenti nel management con il possibile coinvolgimento di Amos Genish (manager del gruppo Vivendi) quale direttore generale con deleghe;
- la decisione del CdA del 27 luglio 2017 di conferire temporaneamente le deleghe precedentemente attribuite al dott. Cattaneo al Presidente Esecutivo de Puyfontaine, fatta salva l’attribuzione ad interim delle deleghe relative alla Funzione Security e alla società Telecom Italia Sparkle S.p.A. al Vice Presidente, Giuseppe Recchi;
- la dichiarazione, da parte del Presidente de Puyfontaine, dell’avvio dell’attività di direzione e coordinamento da parte di Vivendi su TIM;
- l’ingresso nel management di TIM di Amos Genish, dirigente del gruppo Vivendi[31], quale direttore operativo del gruppo Telecom, come comunicato dalla Società il 28 luglio 2017;
- la sottoscrizione da parte del consigliere de Puyfontaine di un dettagliatissimo term sheet con Canal Plus [Omissis][32];
- la circostanza che rilevanti delibere del CdA di TIM in materia organizzativa a partire dal 4 maggio 2017 siano state adottate sempre a maggioranza, [Omissis] (conferimento delle deleghe al Presidente Recchi e all’Amministratore Delegato il 5 maggio u.s. e il conferimento dell’incarico di Presidente con deleghe a de Puyfontaine e di Vice Presidente a Recchi il 1° giugno u.s.; l’approvazione dell’accordo transattivo con l’Amministratore Delegato Cattaneo il 24 luglio u.s.).
2. QUALIFICAZIONE DI VIVENDI COME CONTROLLANTE DI FATTO AI SENSI DELLA DISCIPLINA SULLE OPERAZIONI CON PARTI CORRELATE
Con specifico riferimento alla disciplina parti correlate, questa Commissione ritiene che il rapporto di correlazione tra Vivendi e TIM rientri nella fattispecie di controllo ivi contemplata.
2.1. La definizione di controllo contenuta nel Regolamento Consob OPC
L’art. 3 del Regolamento Consob OPC, nel definire le “parti correlate”, fa rinvio all’Allegato 1 del medesimo Regolamento “Definizioni di parti correlate e operazioni con parti correlate e definizioni ad esse funzionali”.
L’Allegato 1 fornisce inoltre la definizione di controllo funzionale alle individuazione delle parti correlate stabilendo che il controllo “è il potere di determinare le politiche finanziarie e gestionali di un’entità al fine di ottenere benefici dalle sue attività”, così come previsto nello IAS 24 e nello IAS 27 vigenti all’epoca dell’emanazione del Regolamento Consob OPC.
L’Allegato 1 stabilisce inoltre che l’esistenza del controllo si presume quando un soggetto possiede, direttamente o indirettamente attraverso le proprie controllate, più della metà dei diritti di voto di un’entità (controllo di diritto), salvo che, in casi eccezionali, possa essere chiaramente dimostrato il contrario.
Laddove invece un soggetto possieda la metà, o una quota minore, dei diritti di voto in assemblea (fattispecie che interessa nel caso di specie), il controllo sussiste se quel soggetto ha:
a) “il controllo di più della metà dei diritti di voto proveniente da un accordo con altri investitori;
b) il potere di determinare le politiche finanziarie e gestionali in forza di una clausola statutaria o di un accordo;
c) il potere di nominare o revocare la maggioranza dei componenti del consiglio di amministrazione o dell’equivalente organo di governo societario, e il controllo dell’entità è detenuto da quel consiglio o organo;
d) il potere di esercitare la maggioranza dei diritti di voto nelle sedute del consiglio di amministrazione o dell’equivalente organo di governo societario ed il controllo dell’entità è detenuto da quel consiglio o organo”.
2.2 Qualificazione di Vivendi come controllante di fatto di TIM ai sensi del Regolamento Consob OPC
2.2.1. Per le ragioni esposte nel paragrafo 1 con riferimento alla sussistenza del controllo ai sensi degli artt. 2359 del codice civile e 93 del TUF, si ritiene che sussista in capo a Vivendi il controllo di fatto ai sensi della lett. c) della definizione di cui all’Allegato 1 del Regolamento Consob OPC, che individua tale fattispecie nel “potere di nominare o revocare la maggioranza dei componenti del consiglio di amministrazione o dell’equivalente organo di governo societario, e il controllo dell’entità è detenuto da quel consiglio o organo”.
2.2.2. In ogni caso, la fattispecie in esame rientra anche nell’ipotesi contemplata nell’Allegato 1 del Regolamento Consob OPC alla lett. d) - che individua il controllo nel “potere di esercitare la maggioranza dei diritti di voto nelle sedute del consiglio di amministrazione”.
Al riguardo, si evidenzia che la definizione del Regolamento Consob OPC prevede ipotesi di controllo che prescindono dalle dinamiche assembleari di voto e che consistono nella possibilità di indirizzare in via esclusiva e unilaterale la gestione della società. Il controllo ai sensi del Regolamento Consob OPC si fonda, quindi, non solo sul potere di determinare le deliberazioni assembleari, ma anche in via diretta sul “potere di determinare” le delibere del consiglio di amministrazione, organo a cui compete in via esclusiva la gestione della società (art. 2380-bis del codice civile) e quindi le scelte sulle “politiche finanziarie e gestionali” dell’impresa.
A seguito dell’Assemblea del 4 maggio 2017, la fattispecie in parola si è senza dubbio verificata in capo al socio Vivendi.
2.2.3. Tali conclusioni, così come le considerazioni espresse circa la sussistenza del controllo ai sensi dagli artt. 2359 del codice civile e 93 del TUF, non appaiono contraddette dalla presenza di una maggioranza di consiglieri indipendenti nell’organo amministrativo di TIM (tema affrontato nei pareri acquisiti dalla Società in argomento). La sussistenza del potere di esercitare la maggioranza dei diritti di voto in consiglio da parte di un socio non risulta infatti in alcun modo inficiata da tale circostanza.
Con particolare riferimento alla fattispecie di cui alla lett. d), essa si fonda su una presunzione in base alla quale il soggetto che ha designato la maggioranza dei consiglieri di amministrazione esercita la maggioranza dei voti nell’organo amministrativo. Ciò accade sempre nei consigli (come quello di Telecom) che funzionano secondo il principio maggioritario, senza che si prevedano particolari quorum rafforzati ovvero ipotesi di “casting vote”.
Tale presunzione si fonda su un dato oggettivo – la designazione della maggioranza degli amministratori – che prescinde dal dato “psicologico” costituito dall’espressione di volontà del singolo amministratore in occasione delle votazioni delle singole delibere consiliari e, in particolare, dalla circostanza che questi sia o si senta “influenzato” o meno dal socio che lo ha designato.
Al riguardo, occorre rappresentare infatti che, in capo a tutti gli amministratori - che siano essi esecutivi o non esecutivi, che rivestano o meno la qualifica di indipendente - vige l’obbligo generale di agire nell’interesse della società e senza vincolo di mandato, a prescindere dal socio che li abbia designati in consiglio.
Una presunzione analoga è contenuta nella definizione di influenza notevole prevista dal Regolamento Consob OPC. Tale fattispecie, consistente nel “potere di partecipare alla determinazione delle politiche finanziarie e gestionali di un’entità senza averne il controllo [anziché di determinare dette politiche, come accade nel caso di esercizio del controllo]”, si presume in caso di detenzione di una partecipazione pari al 20% del capitale. Di contro, se il soggetto possiede una partecipazione inferiore al 20% del capitale sociale, la fattispecie in parola può verificarsi se sussistono alcuni “indici fattuali” di influenza notevole. In particolare, tale situazione “è solitamente segnalata dal verificarsi”, tra l’altro, della “rappresentanza nel consiglio di amministrazione […] della partecipata” (cfr. definizione di “influenza notevole”, Allegato 1 del Regolamento Consob OPC). Anche in questa ipotesi, la “rappresentanza nel consiglio” è accertata sulla base di elementi fattuali oggettivi (vale a dire, l’avvenuta designazione dell’amministratore) e prescinde da un’analisi soggettiva circa l’espressione di volontà del singolo amministratore e dalla circostanza che tale amministratore sia definito o meno come indipendente.
In ogni caso, in linea generale e con riferimento a qualunque fattispecie di controllo che possa venire in rilievo, non sussiste alcuna incompatibilità tra la presenza nel consiglio di amministrazione di una maggioranza di amministratori indipendenti e l’esercizio del controllo medesimo su una società.
A riprova di ciò, si richiama anche quanto previsto dal già indicato art. 37 del Regolamento Mercati che impone: (i) alle società quotate sottoposte a direzione e coordinamento di altra società o ente di prevedere che i comitati interni al consiglio di amministrazione siano composti esclusivamente da amministratori indipendenti; (ii) alle società quotate sottoposte a direzione e coordinamento di altra società quotata di prevedere che il consiglio di amministrazione nel suo complesso sia composto in maggioranza da amministratori indipendenti, così contemplando un organo amministrativo in maggioranza indipendente in un emittente che è sottoposto ad un’influenza sulla gestione ancor più incisiva rispetto al controllo (la fattispecie della direzione e coordinamento). La ratio della scelta effettuata dall’Autorità nell’adozione delle regole di cui all’art. 37 del Regolamento Mercati è riportata negli esiti della consultazione al mercato del 2009, effettuata per l’adozione del Regolamento Consob OPC, ove si precisava che “le società soggette a direzione e coordinamento di un’altra quotata sono strutturalmente più esposte al rischio di comportamenti espropriativi. La composizione del CdA con una maggioranza di indipendenti, essendo già adottata da un terzo delle società interessate, non appare incompatibile con l’esercizio della direzione e coordinamento. Infatti, l’essere qualificato come amministratore indipendente non comporta che tale amministratore, qualora inserito in una realtà di gruppo, non possa attenersi alle direttive eventualmente espresse dalla società che esercita l’attività di direzione e coordinamento come farebbe un qualsiasi altro amministratore ma semplicemente che lo stesso – per l’assenza di alcuni specifici legami (patrimoniali, professionali, familiari) con la società, gli amministratori esecutivi e i soci di riferimento della società – abbia in astratto una maggiore autonomia di giudizio nel valutare l’interesse della società al compimento di un’operazione, soprattutto con parti correlate”.
La qualifica di indipendente di un consigliere è quindi un elemento oggettivo che si basa sull’assenza di legami diretti con il socio di controllo o con la società, atti a garantire, in astratto, una maggiore autonomia di giudizio. Ciò non esclude, in ogni caso, che un consigliere – se pur indipendente – debba essere preso in considerazione ai fini della verifica sulla sussistenza della fattispecie del controllo.
2.2.4. Alla luce delle considerazioni sopra illustrate, si ritiene che una qualificazione in via meramente volontaria di Vivendi quale soggetto controllante nell’ambito della Procedura OPC non risulta in linea con la disciplina in commento.
3. CONCLUSIONI
Per tutte le considerazioni sopra esposte, si ritiene che Vivendi eserciti il controllo di fatto su TIM ai sensi dell’art. 2359 c.c. e ai sensi dell’art. 93 del TUF, nonché ai sensi della disciplina parti correlate.
Avverso il presente atto è ammesso ricorso al Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio entro sessanta giorni dalla data di comunicazione.
IL PRESIDENTE
Giuseppe Vegas
Note:
[1] Al riguardo, si evidenzia che con riferimento alla parte IV del TUF (“Disciplina degli Emittenti”) la Consob, ai sensi dell’art. 91 (“Poteri della Consob”), esercita i poteri ivi previsti “avendo riguardo alla tutela degli investitori nonché all’efficienza e alla trasparenza del mercato del controllo societario e del mercato dei capitali”.
[2] L’art. 2359 del codice civile (“Società controllate e società collegate”) prevede: “Sono considerate società controllate:
1) le società in cui un’altra società dispone della maggioranza dei voti esercitabili nell’assemblea ordinaria;
2) le società in cui un’altra società dispone di voti sufficienti per esercitare un’influenza dominante nell’assemblea ordinaria;
3) le società che sono sotto influenza dominante di un’altra società in virtù di particolari vincoli contrattuali con essa. Ai fini dell’applicazione dei numeri 1) e 2) del primo comma si computano anche i voti spettanti a società controllate, a società fiduciarie e a persona interposta; non si computano i voti spettanti per conto di terzi.
Sono considerate collegate le società sulle quali un’altra società esercita un’influenza notevole. L’influenza si presume quando nell’assemblea ordinaria può essere esercitato almeno un quinto dei voti ovvero un decimo se la società ha azioni quotate in borsa.”.
[3] Così come quella prevista dall’art. 26 del d.lgs. n. 127/91 (“Attuazione delle direttive n. 78/660/CEE e n. 83/349/CEE in materia societaria, relative ai conti annuali e consolidati, ai sensi dell’art. 1, comma 1, della Legge 26 marzo 1990, n. 69”) - che definisce le “Imprese controllate” (con formulazioni pressoché coincidenti a quelle dell’art. 93 del TUF) ai fini degli obblighi di redazione del bilancio consolidato per le società che sono tenute alla redazione del bilancio secondo il diritto nazionale e non secondo i principi contabili internazionali.
[4] Tale ricostruzione è coerente, come rappresentato nella medesima Comunicazione, con quanto affermato dalla Consob nella Comunicazione DAC/98076144 del 28 settembre 1998 con riferimento al consolidamento della partecipazione nella Banca Popolare di Spoleto da parte della Spoleto - Crediti e Servizi. In tale fattispecie la Spoleto Crediti e Servizi, benché possedesse la maggioranza assoluta dei diritti di voto, non era stata ritenuta controllante della banca popolare, ai sensi dell’art. 26 del d.lgs. n. 127/91, in quanto erano stati stipulati dei patti parasociali che impedivano alla Spoleto Crediti e Sevizi stessa di esercitare un’influenza dominante sia nelle assemblee che nel Consiglio di amministrazione della banca popolare. Nella Comunicazione è inoltre citato il caso della società Edizione Partecipations (Gruppo Benetton) che all’epoca dichiarava di non controllare Autostrade S.p.A. in quanto, benché possedesse il 60% del veicolo che controllava Autostrade S.p.A. e nominasse la maggioranza dei consiglieri di amministrazione, in forza di clausole statutarie che prevedevano quorum rafforzati per le delibere del Consiglio di amministrazione del veicolo non era in grado di determinare da sola la volontà dell’organo gestorio. Infine, nella Comunicazione si concludeva rispetto alla qualificazione della partecipazione di Pirelli in Olimpia dopo una determinata data che, sebbene Pirelli disponesse sempre della maggioranza dei diritti di voto nell’assemblea ordinaria di Olimpia, non fosse più in grado di esercitare il controllo sulla partecipata in quanto in forza di clausole statutarie non poteva nominare più di 5 amministratori su un Consiglio di 10 membri.
[5] Si legge al riguardo nella Comunicazione: “Tale possibilità di esercitare l’influenza dominante - esaminando le assemblee intervenute fino alla data del 29.5.2002 - è stata poi di fatto utilizzata in due assemblee ordinarie di Olivetti (13.10.2001, 8.5.2002) che hanno adempiuto ai più importanti atti gestori di competenza dell’assemblea ordinaria: la nomina degli amministratori e l’approvazione del bilancio. Attraverso la nomina di tutti gli amministratori di Olivetti nell’assemblea del 13.10.2001, Olimpia ha di fatto concretamente confermato la stabilità del suo controllo sulla gestione almeno fino al momento dell’efficacia della ristrutturazione societaria del gruppo Olivetti/Telecom Italia di seguito esaminata”.
[6] Come noto, il voto di lista era già stato introdotto per l’elezione del collegio sindacale in via statutaria dalle società quotate a partire dal 1998 in forza di una specifica delega prevista nel TUF. Successivamente la Legge sul Risparmio ha introdotto per i collegi sindacali direttamente nel TUF la previsione del voto di lista (cfr. art. 148, comma 2, del TUF).
[7] Così previsto dalla Delibera Consob n. 15915 del 3 maggio 2007 che ha modificato il Regolamento Emittenti per dare attuazione alla disciplina del voto di lista. Per completezza si riportano le disposizioni dell’art. 147-ter del TUF (Elezione e composizione del consiglio di amministrazione) relative al voto di lista: “1. Lo statuto prevede che i componenti del consiglio di amministrazione siano eletti sulla base di liste di candidati e determina la quota minima di partecipazione richiesta per la presentazione di esse, in misura non superiore a un quarantesimo del capitale sociale o alla diversa misura stabilita dalla Consob con regolamento tenendo conto della capitalizzazione, del flottante e degli assetti proprietari delle società quotate. Le liste indicano quali sono gli amministratori in possesso dei requisiti di indipendenza stabiliti dalla legge e dallo statuto. Lo statuto può prevedere che, ai fini del riparto degli amministratori da eleggere, non si tenga conto delle liste che non hanno conseguito una percentuale di voti almeno pari alla metà di quella richiesta dallo statuto per la presentazione delle stesse; per le società cooperative la misura è stabilita dagli statuti anche in deroga all’articolo 135.
1-bis. Le liste sono depositate presso l’emittente, anche tramite un mezzo di comunicazione a distanza, nel rispetto degli eventuali requisiti strettamente necessari per l’identificazione dei richiedenti indicati dalla società, entro il venticinquesimo giorno precedente la data dell’assemblea convocata per deliberare sulla nomina dei componenti del consiglio di amministrazione e messe a disposizione del pubblico presso la sede sociale, sul sito Internet e con le altre modalità previste dalla Consob con regolamento almeno ventuno giorni prima della data dell’assemblea. La titolarità della quota minima di partecipazione prevista dal comma 1 è determinata avendo riguardo alle azioni che risultano registrate a favore del socio nel giorno in cui le liste sono depositate presso l’emittente. La relativa certificazione può essere prodotta anche successivamente al deposito purché entro il termine previsto per la pubblicazione delle liste da parte dell’emittente [...].
3. Salvo quanto previsto dall’articolo 2409-septiesdecies del codice civile, almeno uno dei componenti del consiglio di amministrazione è espresso dalla lista di minoranza che abbia ottenuto il maggior numero di voti e non sia collegata in alcun modo, neppure indirettamente, con i soci che hanno presentato o votato la lista risultata prima per numero di voti. Nelle società organizzate secondo il sistema monistico, il componente espresso dalla lista di minoranza deve essere in possesso dei requisiti di onorabilità, professionalità e indipendenza determinati ai sensi dell’articolo 148, commi 3 e 4. Il difetto dei requisiti determina la decadenza dalla carica. 4. [...]”.
[8] L’art. 2368, comma 1, c.c. prevede: “L’assemblea ordinaria è regolarmente costituita con l’intervento di tanti soci che rappresentino almeno la metà del capitale sociale, escluse dal computo le azioni prive del diritto di voto nell’assemblea medesima. Essa delibera a maggioranza assoluta, salvo che lo statuto richieda una maggioranza più elevata. Per la nomina alle cariche sociali lo statuto può stabilire norme particolari”.
[9] Il termine record date indica il meccanismo per determinare la legittimazione all’intervento e all’esercizio del diritto di voto nell’assemblea di una società quotata, che si fonda sulla sola dimostrazione della titolarità delle azioni ad una data predeterminata (la record date, pari al settimo giorno di mercato aperto precedente la data dell’assemblea cfr. art. 83-sexies del TUF). Tale meccanismo impedisce ogni limitazione alla trasferibilità delle azioni nella fase preassembleare: infatti le cessioni successive alla record date, ma antecedenti alla data dell’assemblea, non rilevano ai fini della legittimazione dell’intervento e dell’esercizio del diritto di voto. In sintesi, con la Shareholders’ Rights Directive, il legislatore comunitario ha inteso facilitare il diritto di voto e di intervento in assemblea dei soci di minoranza, specie quelli istituzionali, prevedendo un divieto alla possibilità di disporre un blocco alla circolazione delle azioni nella fase pre-assembleare. Infatti, i vincoli alla circolazione delle azioni al fine della partecipazione in assemblea, esistenti nella disciplina previgente, incentivavano l’astensionismo soprattutto degli investitori istituzionali i quali preferivano mantenere la libera disponibilità dei propri titoli anziché esercitare i relativi diritti di intervento e di voto. E in effetti, il 2011, primo anno di applicazione del meccanismo della record date, ha mostrato un aumento delle società quotate italiane interessate da fenomeni di attivismo per l’elezione degli amministratori.
[10] L’analisi della partecipazione alle assemblee delle società appartenenti all’indice FTSE MIB tra il 2010 e il 2011, cioè nella stagione precedente e successiva all’introduzione della record date, mostra un considerevole aumento della partecipazione assembleare: il quorum costitutivo medio delle adunanze è infatti passato dal 50% al 60% del capitale sociale e, in particolare, è aumentata la partecipazione media degli investitori istituzionali, che nel 2010 erano presenti in assemblea con poco più del 10% del capitale (un quarto dei voti assembleari) mentre nel 2011 rappresentavano quasi il 20% del capitale (un terzo dei voti). Negli anni successivi, la presenza degli investitori istituzionali in assemblea è ulteriormente cresciuta. Con particolare riferimento alle assemblee tenute nel 2016 dalle società del FTSE MIB, a fronte di un quorum costitutivo medio del 66% del capitale sociale, la presenza degli investitori istituzionali ha raggiunto il 25% del capitale sociale stesso (oltre il 40% dei voti assembleari; fonte: elaborazioni Consob su dati pubblicati nelle Relazioni Annuali e nel Report sulla Corporate Governance).
[11] Più specificamente, l’art. 44-quater, comma 2, del Regolamento Emittenti prevede: “2. I seguenti casi di cooperazione tra più soggetti non configurano di per sé un’azione di concerto ai sensi dell’articolo 101-bis, comma 4, del Testo unico: [...]
b) gli accordi per la presentazione di liste per l’elezione degli organi sociali ai sensi degli articoli 147-ter e 148 del Testo unico, sempreché tali liste candidino un numero di soggetti inferiore alla metà dei componenti da eleggere ovvero siano programmaticamente preordinate all’elezione di rappresentanti della minoranza; [...]
d) la cooperazione tra azionisti per: [...]
2) far confluire voti su una lista che candidi un numero di soggetti inferiore alla metà dei componenti da eleggere o sia programmaticamente preordinata all’elezione di rappresentanti della minoranza, anche tramite la sollecitazione di deleghe di voto finalizzata alla votazione di tale lista”.
[12] In particolare sono 4 i casi complessivamente verificatisi in cui la lista presentata da investitori istituzionali e volta alla nomina di una minoranza dell’organo amministrativo ha ottenuto la maggioranza dei voti assembleari: Telecom Italia nel 2014 (all’epoca in cui la partecipazione di maggioranza relativa era detenuta da Telco), Unicredit nel 2015, UBI e Snam Rete Gas nel 2016. In tutti i casi indicati, il completamento dell’organo amministrativo è avvenuto tramite l’approvazione, assunta con le maggioranze previste dal codice civile e grazie alla mancata partecipazione al voto della generalità degli investitori istituzionali, delle proposte del socio non istituzionale di maggioranza relativa di nominare i candidati non eletti della propria lista. Il medesimo fenomeno si è verificato in ulteriori 3 casi di elezione del collegio sindacale (Yoox, Snam e Banca Monte dei Paschi di Siena).
[13] Si tratta delle società Enel S.p.A., Terna - Rete Elettrica Nazionale S.p.A., Leonardo S.p.A. e BPER Banca S.p.A..
[14] Si fa riferimento alle assemblee del 14 aprile 2008, del 12 aprile 2011, del 16 aprile 2014 e del 5 maggio 2017.
[15] In particolare, l’osservazione dell’azionariato rilevante di TIM dal 2007 a oggi mostra che: (i) il socio di maggioranza relativa ha detenuto partecipazioni comprese tra il 20% e il 24% del capitale sociale; (ii) gli altri azionisti con partecipazioni rilevanti, in prevalenza istituzionali e mai legati da patti parasociali né titolari di partecipazioni superiori al 4,9%, hanno detenuto complessivamente partecipazioni comprese tra il 4% e il 16%; (iii) la quota di capitale detenuta dal mercato (azionariato polverizzato tra retail e investitori istituzionali) è variata tra il 62% e il 76% (elaborazioni su dati Consob relativi all’azionariato al 31 dicembre di ogni esercizio di TIM).
[16] Le evidenze sulla partecipazione alle assemblee di bilancio degli ultimi anni mostrano che gli investitori istituzionali - quali classificati ai fini della redazione del Report sulla Corporate Governance come fondi, banche e assicurazioni che per l’entità della partecipazione o l’attività svolta non rappresentano soci stabili dell’emittente - hanno costituito negli ultimi 3 anni la maggioranza del capitale presente in assemblea (tra il 58% e il 60%).
[17] Ai sensi dell’art. 2497-sexies (“Presunzioni”) c.c.: “Ai fini di quanto previsto dal presente capo, si presume salvo prova contraria che l’attività di direzione e coordinamento di società sia esercitata dalla società o ente tenuto al consolidamento dei loro bilanci o che comunque le controlla ai sensi dell’art. 2359”.
Le presunzioni “salvo prova contraria” di cui all’art. 2497-sexies, facendo leva su quella che può essere ritenuta la “normalità” nella casistica societaria, sembra considerare naturale ovvero altamente probabile che al potere di controllo segua nei fatti l’esercizio concreto dell’attività di direzione unitaria, introducendo in tal modo un’inversione dell’onere probatorio (sarà il soggetto controllante a dimostrare di non esercitare in concreto attività di direzione e coordinamento).
Con riferimento a tale presunzione dottrina e giurisprudenza hanno, pertanto, elaborato una serie di “indici” rivelatori di tale attività, che possono, all’occorrenza, comprovare o, al contrario, vincere la presunzione di cui all’art. 2497-sexies c.c.. Si distingue, in particolare, tra atti e/o fatti in cui si può ravvisare l’effettivo esercizio della direzione e coordinamento: si fa riferimento, ad esempio, alla “predisposizione o l’approvazione da parte di una società o ente dei piani industriali, finanziari, e strategici di altra società; l’approvazione dei budget, l’emanazione di direttive o istruzioni concernenti le decisioni in materia finanziaria e creditizia; la definizione i strategie commerciali o di mercato o comunque di un “piano globale” all’interno del quale inquadrare le decisioni imprenditoriali del gruppo; le direttive o istruzioni in materia di scelta dei contraenti o di operazioni dimensionali quali acquisizioni e dismissioni; l’accentramento della tesoreria (c.d. cash pooling) o di altre funzioni di assistenza finanziaria in capo alla controllante quali, ad esempio, il rilascio di fideiussioni e altre garanzie in favore della controllata anche all’interno di piani di garanzie infragruppo; il rilascio di autorizzazioni per iniziative della controllata di investimento superiori a determinate soglie o comunque per iniziative di investimento di ammontare notevole in relazione al business della controllata; la predisposizione o approvazione da parte della controllante di organigrammi della controllata relativi alle principali funzioni aziendali; la predisposizione di “regolamenti di gruppo” disciplinanti le relazioni funzionali delle società del gruppo con la controllante” (cfr. C. Picciau, sub art. 2497-sexies, in G. Sbisà, Direzione e coordinamento di società, Commentario alla riforma delle società, diretto da P. Marchetti, L.A. Bianchi, F. Ghezzi, M. Notari, Milano, 2012, p. 361. Una sentenza del Tribunale di Mantova del 2014 (Tribunale Mantova, sez. II, 16/10/2014) ha individuato, tra gli elementi sintomatici della direzione e coordinamento, anche “meri fatti, quali incontri sistematici tra i manager della capogruppo e di quelle eterodirette o scambi di comunicazioni aventi ad oggetto specifiche richieste e risposte relativamente alle decisioni gestionali di maggior rilevanza della società che si assume eterodiretta[...]”, in ogni caso “[...] dovendosi dimostrare un quid pluris, ossia il concreto ed effettivo esercizio (con esito positivo, nel senso di recepimento delle indicazioni ricevute) di un potere gestionale e strategico”.
[18] Ai sensi dell’art. 2497-septies (“Coordinamento fra società”) c.c.: “Le disposizioni del presente capo si applicano altresì alla società o all’ente che, fuori dalle ipotesi di cui all’art. 2497-sexies, esercita attività di direzione e coordinamento di società sulla base di un contratto con le società medesime o di clausole dei loro statuti”.
[19] Per G.F. Campobasso, Diritto Commerciale, II, Torino, 2010, p. 289, il gruppo di società è “un’aggregazione di imprese societarie formalmente autonome ed indipendenti l’una dall’altra, ma assoggettate tutte ad una direzione unitaria. Tutte infatti sono sotto l’influenza dominante di un’altra società (società capogruppo o società madre), che direttamente o indirettamente le controlla e dirige secondo un disegno unitario la loro attività di impresa, per il perseguimento di uno scopo unitario e comune a tutte le società del gruppo (c.d. interesse di gruppo)”. Il fenomeno dei gruppi è un fenomeno economico che, prima della riforma delle società di capitali del 2003, non trovava una compiuta disciplina nel codice civile. Il gruppo di società era riconosciuto già in precedenza dalla giurisprudenza (per tutte Cassazione civile, sez. I, 26/02/1990, n. 1439, c.d. sentenza Caltagirone). Sin dall’inizio degli anni ’90, la giurisprudenza ha affermato la legittimità dell’influenza extrassembleare del socio di controllo, anche persona fisica (con il limite dell’abuso). Tale influenza è concepita dalla giurisprudenza come un fenomeno “fattuale” caratterizzato da una maggiore incisività rispetto al mero controllo. Inoltre, in ambito di amministrazione straordinaria delle imprese in crisi, il legislatore aveva contemplato il concetto di “direzione unitaria” (art. 90 del d.lgs. n. 270 del 1999 in materia di amministrazione straordinaria delle grandi imprese in stato di insolvenza).
[20] Secondo Campobasso G.F., Diritto Commerciale, II, Torino, 2010, p. 295, per realizzare la direzione e coordinamento occorre un quid pluris rispetto al mero controllo, “anche se non è contestabile che il rapporto di controllo tende normalmente a risolversi in un rapporto di gruppo”.
[21] Secondo M. Lamandini, Commento all’art. 2497 sexies, in Le società per azioni, Diretto da P. Abbadessa- G. Portale, tomo II, 2016, 3131, “direzione e coordinamento e controllo sono, naturalmente, fattispecie distinte, nel senso che, come è stato correttamente affermato, la prima costituisce un sottoinsieme della seconda connotata da un quid pluris di potere sia in termini di contenuto (per tutti Montalenti e Picciau) [più in dettaglio si tratta di Montalenti, in Le Società per azioni, in Tratt. D. comm., a cura di Cottino, IV, 1, 2010, 1039, e di Picciau, op. cit., 345] “ove anche l’esatta precisazione che, viceversa, secondo un orientamento ormai consolidato e corretto, direzione unitaria e direzione e coordinamento sono espressioni nei fatti equivalenti; in giurisprudenza, riconosce che nonostante l’esistenza del controllo, per ritenersi sussistente la direzione e coordinamento occorra la prova del quid pluris sintomatico di un’ingerenza gestionale effettiva nell’attività di impresa Trib. Pescara, 16 gennaio 2009, in Riv. d. priv., 2009, II, 115; Trib. Palermo, 15 giugno 2010, F.it., 2011, c. 3184)”. Cfr. anche G. Scognamiglio, Autonomia e coordinamento nella disciplina dei gruppi di società, Torino, 1996, p. 30 e ss., secondo cui rispetto all’influenza dominante basata sul controllo la direzione unitaria è concepita in maniera più ampia e penetrante, come potere che si concreta, da parte del soggetto in posizione di controllo, nell’esercizio di un’attività di programmazione, coordinamento e indirizzo delle società controllate finalizzata al conseguimento di un vantaggio di gruppo.
[22] Cfr. art. 2497-bis c.c. (“Pubblicità”).
[23] Cfr. art. 2497- ter c.c. (“Motivazioni delle decisioni”).
[24] Cfr. art. 2497 c.c. (“Responsabilità”).
[25] Cfr. art. 2497-quater c.c. (“Diritto di recesso”). Si noti che il diritto di recesso è escluso in caso di applicabilità della disciplina sull’OPA obbligatoria (per le società con azioni quotate) proprio nel presupposto che l’acquisizione o perdita della direzione e coordinamento siano fenomeni assimilabili ad acquisizione o perdita del controllo. Nella relazione illustrativa della riforma del diritto societario può fra l’altro leggersi che “si è ritenuto di riconoscere il diritto al socio della società soggetta all’attività di direzione e coordinamento di recesso, innanzi tutto se cambia lo scopo del controllante […]; se muta l’oggetto della controllante, in modo da alterare in modo sensibile e diretto le condizioni economiche e patrimoniali della società soggetta al controllo, così da ridondare in un’alterazione del profilo di rischio, che è ciò che interessa il socio non controllante”.
[26] Nella Relazione è altresì chiarito che “nell’attuare la delega, […] si è innanzitutto ritenuto non opportuno dare o richiamare una qualunque nozione di gruppo o di controllo”. E ciò per due ragioni:
- le innumerevoli definizioni di gruppo esistenti nella normativa di ogni livello sono funzionali a problemi specifici;
- qualunque nuova nozione si sarebbe dimostrata inadeguata all’incessante evoluzione della realtà sociale, economica e giuridica.
[27] In particolare, l’art. 37 (“Condizioni che inibiscono la quotazione di azioni di società controllate sottoposte all’attività di direzione e coordinamento di altra società”) del Regolamento Emittenti prevede:
“1. Le azioni di società controllate sottoposte all’attività di direzione e coordinamento di un’altra società o ente non possono essere ammesse alle negoziazioni in un mercato regolamentato italiano ove le società controllate:
a) non abbiano adempiuto agli obblighi di pubblicità previsti dall’articolo 2497-bis del codice civile;
b) non abbiano un’autonoma capacità negoziale nei rapporti con la clientela e i fornitori;
c) abbiano in essere con la società che esercita la direzione unitaria ovvero con altra società del gruppo a cui esse fanno capo un rapporto di tesoreria accentrata, non rispondente all’interesse sociale. La rispondenza all’interesse sociale è attestata dall’organo di amministrazione con dichiarazione analiticamente motivata e verificata dall’organo di controllo;
d) non dispongano di un comitato di controllo interno composto da amministratori indipendenti come definiti dal comma 1-bis. Ove istituiti, anche gli altri comitati raccomandati da codici di comportamento in materia di governo societario promossi da società di gestione di mercati regolamentati o da associazioni di categoria sono composti da amministratori indipendenti. Per le società controllate sottoposte all’ attività di direzione e coordinamento di altra società italiana o estera con azioni quotate in mercati regolamentati è altresì richiesto un consiglio di amministrazione composto in maggioranza da amministratori indipendenti. Ai fini della presente lettera, non possono essere qualificati amministratori indipendenti coloro che ricoprono la carica di amministratore nella società o nell’ente che esercita attività di direzione e coordinamento o nelle società quotate controllate da tale società o ente. Per le società che adottano il sistema di amministrazione e controllo dualistico è, invece, richiesta la costituzione di un comitato per il controllo interno nell’ambito del consiglio di sorveglianza che soddisfi i seguenti requisiti: i) almeno un membro sia un consigliere eletto dalla minoranza, ove presente; ii) tutti i membri del comitato siano indipendenti ai sensi del comma 1-bis.
1-bis. Ai fini del presente articolo per “amministratori indipendenti” e “consiglieri di sorveglianza indipendenti” si intendono:
- gli amministratori e i consiglieri in possesso dei requisiti di indipendenza previsti dall’articolo 148, comma 3, del Testo unico e degli eventuali ulteriori requisiti individuati nelle procedure previste dall’articolo 4 del regolamento adottato con delibera n. 17221 del 12 marzo 2010 in materia di operazioni con parti correlate o previsti da normative di settore eventualmente applicabili in ragione dell’attività svolta dalla società;
- qualora la società dichiari, ai sensi dell’articolo 123-bis, comma 2, del Testo unico, di aderire ad un codice di comportamento promosso da società di gestione di mercati regolamentati o da associazioni di categoria che preveda requisiti di indipendenza almeno equivalenti a quelli dell’articolo 148, comma 3, del Testo unico, gli amministratori e i consiglieri riconosciuti come tali dalla società ai sensi del medesimo codice .
1-ter. Le società con azioni quotate che vengono sottoposte all’attività di direzione e coordinamento di un’altra società si adeguano alle disposizioni di cui all’articolo 37, comma 1, lettera d), entro i trenta giorni successivi alla prima assemblea per il rinnovo del consiglio di amministrazione o del consiglio di sorveglianza.
2. Le società controllate con azioni quotate che non ritengano di dover adempiere agli obblighi di pubblicità previsti dal comma 1, lettera a) forniscono nella relazione sulla gestione di cui all’articolo 2428 del codice civile puntuale indicazione delle motivazioni per cui non ritengono di essere sottoposte all’attività di direzione e coordinamento della controllante”.
[28] Cfr. sentenza del Tribunale Palermo del 3 giugno 2010, sentenza del Tribunale di Milano n. 42294-1/2013 del 20 dicembre 2013, sentenza del Tribunale di Roma, sez. III, del 22 gennaio 2014, sentenza del Tribunale Milano n. 13179/2014 del 23 ottobre 2014 e sentenza del Tribunale Milano n. 13636 del 14 dicembre 2016.
[29] Al consigliere de Puyfontaine sono state attribuite le seguenti deleghe operative: (i) l’identificazione delle linee guida dello sviluppo del Gruppo, d’intesa con l’Amministratore Delegato, e la supervisione dell’elaborazione e della realizzazione dei piani strategici, industriali e finanziari; (ii) la supervisione della definizione degli assetti organizzativi, dell’andamento economico e finanziario, del processo di definizione delle linee guida del sistema di controllo interno e gestione dei rischi; (iii) la responsabilità organizzativa di Legal Affairs, Institutional Communication, Public Affairs, Brand Strategy and Media e Corporate Shared Value, nonché il governo della Fondazione TIM; (iv) la rappresentanza della Società e del Gruppo nei rapporti esterni con le autorità, le istituzioni e gli investitori.
[30] Si rammenta che il Comitato Strategico di TIM: (i) “assicura un supporto in materie di rilevanza strategica”; (ii) “a richiesta del Presidente del Consiglio di Amministrazione e dell’Amministratore Delegato e in coordinamento con le prerogative delle loro funzioni e poteri, svolge valutazioni preliminari in materia di scelte strategiche del gruppo”; (iii) “fornisce pareri e formula raccomandazioni sulle proposte di piano industriale da portare in consiglio di amministrazione” (cfr. art. 8 dei Principi di Autodisciplina di TIM).
[31] Nel comunicato stampa di TIM del 28 luglio 2017 si precisa che il dott. Genish ricopre in Vivendi il ruolo di Chief Convergence Officer, con la responsabilità di sviluppare la strategia di convergenza del Gruppo fra contenuti, piattaforme e distribuzione.
[32] [Omissis].