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Crisi sistemiche e regolamentazione finanziaria

 

Crisi sistemiche e regolamentazione finanziaria.
Dai bulbi di tulipani ai mutui sub-prime

S. Alvaro, G. Siciliano

Quaderno giuridico n. 10 - luglio 2016 [formato PDF] 
 

Prefazione
a cura di Carlo Angelici, Università La Sapienza di Roma
Non vi è dubbio che l'importanza e la complessità dei temi che si pongono in materia di «derivati» richiedono un approccio metodologico adeguatamente articolato. E di esso è certamente un significativo esempio il lavoro di Simone Alvaro e Giovanni Siciliano.
Si tratta infatti di un'area tematica la quale, certamente non in via esclusiva, ma in termini di particolare attualità, evidenzia la confluenza di problemi sistemici e di tutela individuale, che perciò, come appunto avviene nell'opera qui presentata, richiede una considerazione complessiva e tale da dar conto della molteplicità delle questioni che si pongono sull'uno e sull'altro piano.
Per questo motivo è dedicato ampio spazio, più di quanto solitamente non avvenga, agli antecedenti storici di tali questioni. È con essi, infatti, che si apre il dibattito, evidentemente decisivo in materia, se e a quali condizioni possa riconoscersi la «meritevolezza», se si vuol dire l'utilità sociale e quella individuale, di operazioni in cui è comunque essenziale un momento «speculativo»: per tali intendendo quelle con le quali il guadagno o la perdita non conseguono al contributo che viene apportato alla produzione o distribuzione dei beni, ma alla (e solo alla) variazione del loro valore di mercato.
Ed è significativo che, come ci ricordano Alvaro e Siciliano, proprio nel momento in cui tale dibattito è stato iniziato in termini moderni e delle operazioni che ora vengono intese come «derivati» si è avviata l'analisi tecnico-giuridica, la seconda metà del diciannovesimo secolo, sia stato fondamentalmente impostato il problema ancor oggi centrale: se questa forma di «speculazione» sia tale da alterare in effetti l'andamento del mercato, oggi diremmo da pregiudicarne l'efficienza, per esempio e soprattutto in quanto ne può conseguire un eccesso della domanda e/o dell'offerta rispetto ai beni esistenti nella «realtà», oppure tale, al contrario, proprio per l'ampliamento della domanda e dell'offerta da consentire al mercato una più efficiente formazione del prezzo.
Di questa alternativa di fondo, e delle sue implicazioni politiche, in particolare per quanto concerne il conflitto fra i produttori di «beni reali» (all'epoca fondamentalmente gli agrari, preoccupati di possibili alterazioni dei loro prezzi) e gli operatori finanziari, erano ben consapevoli i contemporanei: come dimostra fra l'altro l'ampio saggio del 1898 di A.-E. SAYOUS (che significativamente si presenta come étude économique et juridique) e come ora risulta dalle ricostruzioni storiche di N. HISSUNG-CONVERT e D. J. DUDERSTEDT.
Pure è significativo, da un punto di vista più tecnico-giuridico, che già all'epoca si segnalasse come la prospettiva per comprendere la fenomenologia (oggi denominata) dei «derivati» fosse soprattutto quella che ora chiameremmo dell'«operazione», non del singolo contratto o negozio giuridico: come a ben guardare avvertiva nel 1895 MAX WEBER quando osservava che il Terminhandel si specifica come una forma di Spekulationsgeschäft caratterizzata fondamentalmente dalla possibilità di conseguire in modo diretto risultati altrimenti raggiungibili con una combinazione di contratti.
E segnalava anche MAX WEBER l'elemento creditizio implicito nel Terminhandel, quindi anche nei nostri «derivati», il loro appartenere a quella che si è modernamente proposto di chiamare le commerce des promesses.
Il che rende espliciti i fattori di rischio che ne possono derivare sia sul piano sistemico sia su quello individuale. Perciò nella storia del problema è costante, e costantemente considerato su entrambi i piani, il profilo del rischio: ponendosi per un verso il problema se ne possa derivare un accrescimento dei rischi sistemici, allora la ricerca dei modi in cui limitarli, e per un altro verso se non si ponga l'esigenza di circoscrivere le situazioni e condizioni in cui il singolo può con tali tecniche porre in pericolo la propria economia individuale.
Il che in termini ancora più ampi, e in definitiva ideologici, giunge a coinvolgere la stessa evoluzione dell'ordinamento nei confronti appunto dei fattori di rischio e di incertezza: la questione in definitiva dell'atteggiamento che esso deve assumere rispetto a essi, come in particolare inserirli in un sistema che alla base e a fondamento della libertà contrattuale pone la razionalità economica (una prospettiva che viene, fra l'altro, evidenziata in studi classici come quelli di BÈNABENT o KREITNER o ancora, di recente, di M. BARCELLONA).
Anche perciò, come ben segnalato da Alvaro e Siciliano, i tentativi di ricondurre a razionalità, allora circoscrivendo, la fenomenologia considerata si sono essenzialmente orientati nel senso di precisare il contesto in cui ammetterne l'utilizzazione (un profilo che, mi sentirei di osservare, potrebbe ancora sottolineare la prospettiva dell'«operazione», non del contratto singolarmente considerato).
Il che è avvenuto e avviene ponendo l'accento sul contesto di mercato e/o su quello dell'economia individuale in cui l'operazione viene compiuta (secondo prospettive che, seppur a fini soltanto analitici e senza poter trascurare la loro fondamentale convergenza, potrebbero dirsi corrispondere alle due finalità di tutelare il mercato ovvero il singolo). Prospettive che entrambe si sono chiaramente presentate già alla fine del diciannovesimo secolo e che ancora caratterizzano la discussione attuale.
La prima è emersa esplicitamente quando nel sistema statunitense si è giurisprudenzialmente risolto il conflitto fra il Chicago Board of Trade e i bucket shops e, prevalendo il primo, si è riconosciuto un suo sostanziale monopolio come luogo per la stipulazione di difference contracts come futures e options; o quando nello stesso periodo i legislatori francese, tedesco e italiano si orientarono a «esentare» dalla disciplina del giuoco e scommessa i contratti «differenziali» di borsa. Ma emerge ancora oggi quando si tenta di imporre tecniche di «compensazione» e di «margini» che in definitiva inducono a inserire l'operazione in un contesto di mercato in vario modo organizzato al fine di riduzione dei rischi sistemici e individuali per i partecipanti.
La seconda si coglie fra l'altro e soprattutto nel problema che contestualmente si poneva e ancora si ripropone se l'ordinamento debba distinguere (e come) fra operazioni soltanto «speculative» ovvero di «copertura» (e il tema, in effetti, già era stato individuato nel 1853 da P.-J. PROUDHON) o non si debba tener conto di un qualche rapporto di coerenza con la situazione professionale e/o patrimoniale di chi compie l'operazione. Il che, a ben guardare, rappresenta pur esso un modo per riconoscere la razionalità dell'operazione e si è a volte tradotto, come soprattutto avvenuto nell'ordinamento tedesco, nella ricerca di requisiti tali da «abilitare» al suo compimento (e in tale ordinamento, infatti, per lungo tempo si è discorso di una Termingeschäftsfähigkeit).
Ma non è questa certamente la sede anche soltanto per minimamente approfondire temi così complessi e articolati. Si voleva qui soltanto segnalare l'importanza delle questioni affrontate nel lavoro di Alvaro e Siciliano e l'esigenza di comprenderle in una dimensione storica, il contributo che a tal fine tale lavoro fornisce (confermando inoltre, fra l'altro per la constatazione che i principali passaggi storici sono avvenuti sostanzialmente in contemporanea nei diversi ordinamenti, non solo quello della fine dell'ottocento, ma anche l'altro delle liberalizzazioni alla fine del novecento e all'inizio del duemila, la dimensione di «lunga durata» delle questioni medesime).
E anche certamente importante e decisivo è il problema politico che Alvaro e Siciliano pongono. Esso riguarda una questione persino più generale di quella concernente i soli «derivati» e che si presenta in termini di stretta attualità: l'interrogativo se la predisposizione di assetti istituzionali finalizzati al buon funzionamento di specifici segmenti dell'economia (e forse si potrebbe aggiungere della società) non richieda poi un qualche momento di sintesi, in grado in definitiva di impedire che sia assicurato il funzionamento del singolo segmento e il raggiungimento della specifica finalità cui ogni istituzione è preposta, ma il sistema nel suo complesso ne risulti pregiudicato.

 

Abstract
Lo scoppio della bolla immobiliare del 2007 ha provocato una recessione simile a quella della Grande Depressione. A differenza del 1929, l'innovazione finanziaria ha avuto un ruolo importante nella crisi del 2007, come peraltro accaduto in occasione di altre crisi finanziarie legate allo scoppio di bolle speculative fra il XVII e gli inizi del XX secolo. Anche queste crisi provocarono gravissime recessioni e indussero alcuni paesi europei all'adozione dei primi provvedimenti volti a contrastare l'uso dei derivati per finalità speculative. Le riforme varate dopo la crisi del 1929 non hanno inciso in maniera specifica sull'innovazione finanziaria, mentre nel periodo post-bellico e fino a tutto il XX secolo è prevalso a livello globale un approccio regolamentare fortemente liberista, che ha contribuito alla crescita esponenziale del mercato dei derivati. Dopo il 2007 si è assistito ad una radicale inversione di tendenza che ha riflesso la consapevolezza del fatto che l'innovazione finanziaria e i derivati, pur non essendo la causa originante dei fenomeni di instabilità, possono esasperarne gli effetti sistemici, perché amplificano le crisi di fiducia e rendono il sistema più interconnesso. Questi aspetti hanno contribuito a portare all'attenzione dei regolatori internazionali la nuova prospettiva dei rischi sistemici e della vigilanza macro-prudenziale. Il lavoro evidenzia come l'implementazione della supervisione macro-prudenziale si fondi sia su strumenti attivabili intervenendo sui requisiti patrimoniali degli intermediari (ad esempio, la riserva anticiclica) sia su nuove regole in materia di derivati e prodotti complessi che investono profili di trasparenza e correttezza (obbligo di segnalazione delle operazioni in derivati alle trade repositories e regole di product governance) e che limitano alcuni ambiti dell'autonomia privata (clearing e trading obligation dei derivati OTC, possibilità di vietare l'uso di derivati per assumere posizioni corte, poteri di product intervention). Per tale motivo, come raccomandato anche dallo European Systemic Risk Board, la supervisione macro-prudenziale richiede una visione completa e integrata sul sistema finanziario e un meccanismo di coordinamento efficace nell'attivazione dei diversi strumenti macro-prudenziali, attraverso il coinvolgimento di tutte le Autorità di vigilanza settoriali. Il legislatore italiano ha recentemente fatto proprie tali raccomandazioni, delegando il Governo ad emanare norme per l'istituzione di un Comitato per le politiche macro-prudenziali.

 

Autori
Simone Alvaro - CONSOB, Divisione Studi (s.alvaro@consob.it)
Giovanni Siciliano - CONSOB, Divisione Studi (g.siciliano@consob.it)

Gli Autori ringraziano il Prof. Carlo Angelici, il Prof. Raffaele Di Raimo, il Prof. Raffaele Lener, il Dott. Salvatore Lo Giudice, il Prof. Carlo Mottura e il Prof. Francesco Vella per le osservazioni e gli utili commenti. Un ulteriore e particolare ringraziamento va al Prof. Angelici per i sempre stimolanti con-fronti e per la importante Prefazione al lavoro. Le opinioni espresse nel presente Quaderno sono attribuibili esclusivamente agli Autori e non rappresentano posizioni ufficiali della Consob, né impegnano in alcun modo la responsabilità dell'Istituto. Nel citare i contenuti del presente Quaderno, non è pertanto corretto attribuirli alla Consob o ai suoi vertici. Errori e imprecisioni sono imputabili esclusivamente agli Autori.

 

ISSN 2281-5236 [online]