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Rapporto 2014 sulla corporate governance delle società quotate italiane
La corporate governance delle società quotate italiane

 

RAPPORTO 2014

Assetti proprietari
La struttura proprietaria delle imprese italiane quotate continua a connotarsi per l'elevata concentrazione e la limitata contendibilità del controllo. A fine 2013, in particolare, la metà delle società quotate risulta controllata con partecipazioni superiori al 50 per cento del capitale, il 20 per cento circa con partecipazioni inferiori e il 16 per cento circa attraverso patti parasociali. Questi ultimi mostrano, rispetto al 2010, una riduzione significativa: il numero di società controllate da una coalizione di azionisti è passato da 51 a 38 (dal 12.4 al 10.4 per cento in termini di capitalizzazione). Solo 10 società possono essere definite a proprietà dispersa (cosiddette widely held companies).
Le famiglie continuano a rivestire un ruolo rilevante come azionisti di controllo (cosiddetto 'ultimate controlling agent'), in quanto ad esse sono riconducibili il 61 per cento delle società quotate, prevalentemente piccole e operanti nel settore industriale. Lo Stato è invece azionista di riferimento in imprese di maggiori dimensioni operanti nel settore dei servizi, mentre le società non controllate sono prevalentemente finanziarie.
L'utilizzo di meccanismi di separazione tra proprietà e controllo, in riduzione rispetto al 1998, appare stabile negli ultimi quattro anni. Le imprese appartenenti a gruppi piramidali o alla parte verticale di gruppi misti sono oggi poco meno del 20 per cento del totale delle società quotate (38,5 per cento nel 1998), mentre le imprese che emettono azioni senza diritto di voto sono solo 28 (32 nel 2012 e 120 nel 1992). Nelle società che ricorrono a strumenti di rafforzamento del controllo, in media i diritti di voto superano i diritti ai flussi di cassa del 19 per cento circa.
Dal 2009 a oggi è cresciuto da 92 a 96 il numero di società in cui è presente almeno un investitore istituzionale rilevante nel capitale. Tale trend è dovuto prevalentemente a soggetti stranieri, presenti a fine 2013 in 62 società (47 nel 2009). Inoltre mostrano un ruolo crescente nel mercato italiano gli investitori istituzionali con una strategia di portafoglio più attiva (in particolare, fondi di venture capital e private equity e fondi sovrani).

Governo societario e board diversity
A fine 2013 gli organi di amministrazione delle società quotate italiane sono composti in media da circa 10 membri, di cui 4,6 indipendenti e 1,7 eletti dalle liste di minoranza. In ogni impresa vi sono in media due amministratori interlockers, pari a circa un quinto del board. Il fenomeno interessa prevalentemente le società industriali e di maggiori dimensioni.
A seguito dell'emanazione della Legge 120/2011, la rappresentanza femminile è cresciuta in modo consistente. A fine giugno 2014, più del 22,2 per cento dei posti di consigliere risulta ricoperto da donne (11,6 per cento a fine 2012), mentre almeno una donna siede nel board in 220 imprese (169 a fine 2012). La composizione di genere è più equilibrata nelle società che hanno rinnovato il board dopo l'entrata in vigore della Legge 120/2011: in particolare, le donne sono in media 2,5 nelle 138 società che hanno proceduto al primo rinnovo dell'organo di amministrazione, 3,8 nelle sei società che hanno già effettuato il secondo rinnovo e 1,5 nelle 99 imprese per le quali, alla data del 30 giugno 2014, la legge non ha ancora trovato applicazione.
Le donne ricoprono principalmente cariche non esecutive: sono amministratori indipendenti nel 64 per cento dei casi, mentre rivestono il ruolo di amministratore delegato solo nel 3,1 per cento dei casi.
Oltre alla rappresentanza femminile, riveste un certo interesse anche l'analisi del grado di eterogeneità (cosiddetta diversity) degli organi di amministrazione delle società quotate italiane con riferimento a età, istruzione, nazionalità e profilo professionale.
A fine 2013 gli amministratori delle società italiane quotate hanno in media 57 anni e sono stranieri solo nel 6 per cento dei casi. Circa l'85 per cento è in possesso del diploma di laurea e, tra questi, il 16,5 per cento anche di un titolo di studio post-laurea (master, dottorato o entrambi). Prevalgono le lauree nelle discipline economiche (46,0 per cento), seguite da quelle in giurisprudenza (15,8 per cento) e ingegneria (13,6 per cento). Il profilo professionale più frequente è quello manageriale (75 per cento dei casi); i professionisti/consulenti rappresentano il 16,3 per cento mentre gli accademici costituiscono l'8,1 per cento del totale.
Le imprese operanti nel settore dei servizi presentano una maggiore percentuale di amministratori stranieri, laureati e in possesso di un titolo di studio post-laurea. Inoltre, come si evince dalla distribuzione delle società per la tipologia dell'azionista di controllo, i board degli emittenti controllati da un soggetto avente natura finanziaria mostrano una maggiore eterogeneità, connotandosi per una presenza più rilevante di membri più giovani, stranieri e con un livello di istruzione più elevato, nonché per una maggiore rappresentanza femminile. Le imprese controllate da famiglie e quelle non controllate hanno board meno istruiti, mentre donne e stranieri sono meno rappresentati nelle imprese statali.
Alcune interessanti evidenze emergono classificando gli amministratori in base alla relazione esistente con l'azionista di controllo. A fine 2013, poco più del 16 per cento degli amministratori (pari a 381 su un totale di 2.332) sono classificabili come family, ossia risultano essi stessi azionisti di controllo ovvero sono a questi legati da rapporti di parentela. Tra i non-family, il peso degli amministratori laureati e di coloro che hanno conseguito un titolo di studio post-laurea supera di 19 punti percentuali il dato per i family, raggiungendo l'88 per cento; inoltre, tra i laureati, il 17 per cento ha conseguito un master e/o un dottorato (12,9 per cento per i family). Per quanto riguarda il profilo professionale, risulta prevalente quello manageriale sia tra gli amministratori family sia tra i non-family. Tuttavia, mentre i primi sono quasi esclusivamente manager, i secondi sono spesso anche professionisti/consulenti o accademici, in particolare le donne.
Le nomine effettuate dopo l'entrata in vigore, nell'agosto 2012 della Legge 120/2011 hanno contribuito ad aumentare la board diversity. Gli amministratori nominati dopo il 31 dicembre 2012 sono più istruiti (in particolare, le donne) e sono raramente family. Inoltre, le donne neo assunte sono professioniste/consulenti più frequentemente delle altre (35,5 per cento versus 17,3 per cento).
Gli amministratori partecipano in media al 91 per cento delle riunioni del board. Il dato sale al 94,8 per cento nelle imprese controllate dallo Stato. Inoltre, la partecipazione alle riunioni è mediamente superiore per gli amministratori family rispetto ai non-family (rispettivamente, 92,7 e 90,9 per cento), prevalentemente per effetto degli uomini, poiché le donne family si caratterizzano per un tasso di partecipazione più basso delle non-family.
Come si evince dalle relazioni sulla remunerazione pubblicate per l'esercizio 2012 dalle società italiane quotate, 55 società prevedono indennità in caso di cessazione anticipata della carica di amministratore delegato (cosiddetto golden parachute). Nella maggior parte dei casi, il soggetto che ricopre la carica di amministratore delegato è anche direttore generale (23 società) o è comunque legato alla società da un rapporto di lavoro dipendente (10 società). In 36 imprese, benché non siano previsti benefici di fine rapporto, le politiche sulla remunerazione contemplano espressamente la possibilità per la società di riconoscere un'indennità nell'eventualità in cui l'amministratore delegato cessi anticipatamente dalla carica.
Tra le società che hanno previsto, anche in via facoltativa, un'indennità in favore del proprio amministratore delegato nel 50 per cento circa dei casi la maturazione del diritto è legata al presupposto della giusta causa di scioglimento del rapporto. Nel 46 per cento delle società che hanno previsto l'attribuzione o la facoltà di attribuire l'indennità, inoltre, la misura del trattamento di fine rapporto è definita in termini di un multiplo della retribuzione annuale o mensile dell'amministratore cessato. L'indennità è invece stabilita in valore assoluto o forfettario in circa il 9 per cento delle società; in altri casi, la misura del trattamento prende a riferimento i compensi spettanti fino al termine del mandato o di un'eventuale durata minima dell'incarico.
La presenza di golden parachute è più frequente nelle società di maggiori dimensioni (circa il 57 per cento delle società appartenenti all'indice Ftse Mib ha previsto ex ante tali accordi) e operanti nel settore dei servizi. Guardando alla struttura proprietaria delle società, i dati mostrano che la previsione di tali accordi (anche in via discrezionale) è più rara nelle società controllate di diritto (circa 31 per cento) e a controllo familiare (28 per cento) e più frequente nelle società a proprietà dispersa (circa 67 per cento) e dove il controllo è esercitato dallo Stato (68 per cento).
La previsione di accordi di severance è inoltre legata ad alcune caratteristiche degli amministratori. Distinguendo i manager in funzione degli eventuali rapporti di parentela con l'azionista di controllo, emerge che la previsione di trattamenti di fine mandato è frequente per manager non-family (33 per cento) e molto rara tra gli altri (3,8 per cento). Tali accordi sono altresì più frequenti per gli amministratori laureati e in possesso di un titolo di studio post-laurea.

Assemblee e politiche di remunerazione
L'evidenza relativa alle assemblee tenute nel 2014 dalle società a medio-alta capitalizzazione (indici Ftse Mib e Mid Cap) mostra un aumento della presenza degli investitori istituzionali, passata in media dal 15 per cento del capitale nel 2013 al 19 per cento. Tale aumento è riconducibile prevalentemente agli investitori istituzionali esteri, il cui peso ha raggiunto il 18 per cento del capitale, mentre la partecipazione degli istituzionali italiani rimane stabile attorno all'uno per cento. Le società del settore finanziario e dei servizi hanno registrato la più alta partecipazione degli investitori istituzionali, in media pari a circa un quinto dell'assemblea. In particolare, gli investitori istituzionali italiani sono maggiormente presenti nelle assemblee delle società di servizi (1,3 per cento del capitale contro 0,9 per cento negli altri settori).
Le rilevazioni sul say-on-pay mostrano che, in linea con il biennio 2012-2013, gli investitori istituzionali hanno espresso dissenso sulle politiche sulla remunerazione delle società a medio-alta capitalizzazione per circa il 30 per cento delle azioni complessivamente detenute. Il dissenso si è concentrato nelle società dell'indice Ftse Mid Cap, per le quali l'incidenza dei voti contrari espressi sia della generalità dei soci sia dai soli investitori istituzionali è raddoppiata rispetto agli anni 2012-2013. In tali società, inoltre, gli investitori istituzionali hanno espresso voto contrario sulle politiche sulla remunerazione per oltre un terzo delle azioni detenute (33,8 per cento); lo stesso dato era pari a circa il 26 per cento nel 2013. Le politiche retributive delle società appartenenti all'indice Ftse Mib hanno invece ricevuto minore dissenso rispetto agli anni precedenti da parte degli investitori istituzionali, i quali hanno espresso voto contrario per il 27 per cento delle proprie azioni, dato in riduzione rispetto al 32 per cento circa del 2013 e al 37 per cento del 2012.
Il dissenso è più elevato tra le società operanti nel settore dei servizi, dove in media il 12,9 per cento dell'assemblea ha votato contro la politica retributiva proposta. Il dato relativo al voto dei soli investitori istituzionali evidenzia, tuttavia, che il dissenso si è concentrato nelle società industriali, mentre è stato considerevolmente inferiore nelle società finanziarie.
Le rilevazioni mostrano inoltre che il dissenso generale dell'assemblea sulla politica sulle remunerazioni è più elevato nelle società in cui è presente (almeno) un amministratore di minoranza e gli amministratori indipendenti costituiscono la maggioranza dell'organo amministrativo. L'evidenza riferibile ai soli investitori istituzionali è tuttavia opposta, avendo tali investitori espresso per oltre un terzo delle proprie azioni voto contrario nelle società in cui la maggioranza dell'organo amministrativo non è indipendente e nessun componente è stato designato dalle minoranze.

Operazioni con parti correlate
In applicazione delle regole in materia di trasparenza sulle operazioni di maggiore rilevanza con parti correlate, introdotte dal Regolamento Consob n. 17221/2010, nel triennio 2011-2013 sono stati pubblicati quasi 80 documenti informativi l'anno; il dato per il primo semestre 2014 si attesta a 28 documenti. A porre in essere tali operazioni sono state principalmente società a bassa capitalizzazione e operanti nei settori finanziario e industriale.
La maggior parte delle operazioni di maggiore rilevanza comunicate a partire dal 2011 è rappresentata da contratti di finanziamento, di fornitura di beni o di prestazione di servizi che hanno interessato i flussi di cassa dell'impresa (circa 55 per cento del totale). In oltre un caso su quattro l'operazione ha comportato il trasferimento di asset ceduti o acquistati dalla parte correlata, mentre con minor frequenza (20 per cento circa dei casi) sono state realizzate fusioni, aumenti di capitale riservati o altre operazioni che hanno modificato la partecipazione relativa della parte correlata rispetto agli altri azionisti. La controparte delle operazioni è rappresentata nell'83 per cento dei casi dagli azionisti di controllo o da soci in grado di esercitare un'influenza significativa sulla società; in appena un caso su 10 le operazioni comunicate hanno avuto quale controparte società controllate o collegate e ancor più rari sono i casi di operazioni poste in essere con amministratori che non siano anche azionisti (5 per cento).
In applicazione della specifica facoltà di esclusione prevista dal Regolamento, le società hanno derogato agli obblighi di pubblicazione di un documento informativo per circa 30 operazioni l'anno, classificate come ordinarie e a condizioni di mercato e comunicate alla Consob. Le operazioni ordinarie hanno riguardato in prevalenza società a elevata capitalizzazione e utilities. Nella maggior parte dei casi, tali operazioni rientrano nell'attività operativa della società che le ha poste in essere (fornitura/prestazione di beni/servizi tipici per società non finanziarie e operazioni di finanziamento per le banche). In un terzo dei casi, si tratta invece di operazioni di finanziamento poste in essere da società non finanziarie, che beneficiano dell'esenzione in quanto strettamente connesse all'attività operativa core della società quotata.

 

Il Report è stato curato da:
Nadia Linciano (coordinatrice) - CONSOB, Divisione Studi (n.linciano@consob.it)
Angela Ciavarella - CONSOB, Divisione Studi (a.ciavarella@consob.it)
Rossella Signoretti - CONSOB, Divisione Corporate Governance (r.signoretti@consob.it)

Le opinioni espresse nel Report sono personali degli autori e non impegnano in alcun modo la Consob. Nel citare i contenuti del rapporto, non è pertanto corretto attribuirli alla Consob o ai suoi Vertici.

 

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ISSN 2281-535X [online]