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Rapporto 2016 sulla corporate governance delle società quotate italiane
La corporate governance delle società quotate italiane

 

RAPPORTO 2016

Modelli di controllo e assetti proprietari
A fine 2015, in linea con le evidenze raccolte per gli anni precedenti, l'84% delle società italiane quotate risulta controllato da uno o più azionisti. In particolare, su 234 imprese 115 sono controllate di diritto, ossia con una quota superiore alla metà del capitale ordinario, 52 attraverso partecipazioni inferiori al 50% e 30 attraverso un patto parasociale. Tra le società ‘non controllate' (pari a 37), 15 sono classificabili come imprese a proprietà dispersa, in quanto prive di un azionista di controllo e con un flottante superiore al 70% del capitale ordinario.
Sebbene si confermino le tradizionali caratteristiche del nostro sistema in termini di elevata concentrazione proprietaria e limitata contendibilità del controllo, questi dati attestano la prosecuzione di talune tendenze emerse negli ultimi anni.
In primo luogo, continua a ridursi il numero e il peso sulla capitalizzazione delle società controllate attraverso un patto parasociale. Le imprese a controllo coalizionale sono passate, infatti, da 51 a fine 2010, quando rappresentavano il 12,4% del valore di mercato, a 30 nel 2015, quando incidevano sulla capitalizzazione di mercato per il 6%. In secondo luogo, nello stesso periodo è cresciuto il numero (da 11 a 15) e il peso sulla capitalizzazione (dal 20 al 27% circa) delle società a proprietà dispersa. In parallelo, è proseguito l'incremento della quota media detenuta dal mercato, nel complesso in aumento di circa due punti percentuali (dal 36,1 nel 2010 al 38,3% nel 2015), mentre si è ridotta la quota di controllo (dal 49,6 al 48,5%; la riduzione è più marcata rispetto al 1998 quando si attestava al 51,7%). È rimasta, invece, sostanzialmente stabile (attorno al 47%) la quota media detenuta dal primo azionista (sebbene in calo di due punti percentuali rispetto al 1998).
I dati sull'identità dell'azionista di controllo (cosiddetto ‘ultimate controlling agent') ripropongono quanto già osservato negli anni precedenti. Benché in termini numerici risultino prevalenti le società quotate controllate da famiglie (61% circa), in termini di capitalizzazione predominano le imprese per le quali non è identificabile un ultimate controlling agent (36% del valore di mercato complessivo), ossia quelle non controllate o controllate da società a proprietà dispersa. Il dato è eterogeneo tra settori, essendo quello finanziario il comparto che annovera la maggiore presenza di società non controllate (più del 50%); il 75% delle imprese industriali sono invece di tipo familiare, mentre lo Stato e gli enti locali sono presenti per lo più nelle maggiori società di servizi.
A dicembre 2015, 24 imprese (pari al 10% del totale) sono controllate da un azionista straniero con una quota media del 47%, in crescita di circa 10 punti percentuali rispetto al 2010, quando le società controllate da un soggetto estero erano 23 (8,5% del totale). Dei 24 emittenti citati, la maggior parte opera nel settore industriale (15), seguiti da quelli appartenenti al settore dei servizi e finanziario (rispettivamente, cinque e quattro) ed è controllata da famiglie (13 società su 24).

Partecipazioni rilevanti degli investitori istituzionali
A fine 2015 gli investitori istituzionali sono azionisti rilevanti nel 36% circa delle società (83 imprese): il dato registra una lieve flessione rispetto ai valori massimi raggiunti nel biennio 2013-2014, quando partecipazioni superiori alla soglia di trasparenza proprietaria erano detenute in quasi il 40% del mercato (oltre 90 società). La quota media del capitale, viceversa, non si discosta in maniera significativa dal valore dell'anno precedente attestandosi attorno al 7%. Queste rilevazioni, tuttavia, mostrano una dinamica differente a seconda della nazionalità degli investitori. In particolare, la presenza di istituzionali italiani nell'azionariato rilevante delle imprese, già in declino dal 2011, è più nettamente diminuita nel 2015 portandosi al valore minimo di 21 società. Un'evoluzione opposta ha invece caratterizzato la partecipazione degli investitori istituzionali esteri, che dal 2014 è giunta a interessare circa il 30% del mercato. La quota media di capitale detenuta da investitori istituzionali rilevanti italiani è pari nel 2015 al 5,5%, valore minimo registrato negli ultimi cinque anni, mentre quella degli investitori istituzionali esteri ha raggiunto il 6,5% del capitale delle imprese partecipate.
Gli investitori istituzionali, in particolare quelli esteri, detengono più frequentemente partecipazioni rilevanti in società ad elevata capitalizzazione (più del 60% del Ftse Mib e del 40% delle società del Mid Cap) e nel settore finanziario (46% delle imprese).
La tendenza alla diminuzione della presenza di investitori istituzionali italiani nell'azionariato rilevante delle società quotate, delineatasi negli ultimi anni, è determinata dalla riduzione delle partecipazioni di banche e assicurazioni italiane (17 partecipazioni rilevanti nel 2015 rispetto alle 42 del 2014). Al contrario, e in linea con l'evoluzione più recente, le partecipazioni detenute da asset manager stranieri e da investitori quali private equity, venture capital e fondi sovrani esteri sono aumentate (da 44 quote a 49 per i primi e da 34 a 44 per i secondi).

Separazione fra proprietà e controllo
L'utilizzo di strumenti di separazione tra proprietà e controllo, quali gruppi piramidali e azioni senza diritti di voto, si è sensibilmente ridotto nel corso degli anni. Con particolare riferimento ai gruppi verticali, a fine 2015 solo il 18% delle società quotate italiane (56% circa della capitalizzazione di mercato) appartiene a un gruppo piramidale o alla parte verticale di un gruppo misto (essendo quest'ultimo un gruppo di imprese in cui è presente sia una componente verticale sia una orizzontale), a fronte del 38,5% nel 1998 (pari al 78% del valore di mercato). In linea con tale evidenza, anche il numero medio di società quotate per gruppo e la differenza media tra diritti di voto e diritti ai flussi di cassa (misurata da indicatori quali la leva e il wedge) si sono ridotti nel tempo, registrando a fine 2015 i valori più bassi nella serie storica considerata (rispettivamente 2,8, 1,6 e 12,8%).
Prosegue, inoltre, la netta contrazione del numero di società che emettono azioni senza diritto di voto (19 a fine 2015 da 70 nel 1998), rappresentate oramai unicamente da azioni di risparmio.
Nelle imprese che sono parte di gruppi verticali e/o che emettono azioni di risparmio, il wedge (ossia, la differenza tra diritti di voto e diritti ai flussi di cassa) è pari in media al 16,2%, valore inferiore di tre punti percentuali rispetto al 2014, e tocca il suo valore più basso nelle imprese finanziarie (8,6%).
Con riferimento, infine, agli strumenti di separazione tra proprietà e controllo introdotti dal Legislatore con il Decreto Competitività (d.l. 91/2014), a giugno 2016 26 società hanno previsto nel proprio statuto il meccanismo della maggiorazione del diritto di voto, fino a due voti per azione, in favore di coloro che sono azionisti da almeno due anni (azioni a voto maggiorato o loyalty shares), mentre una società ha emesso azioni a volto plurimo (multiple voting shares) in fase di quotazione. Tali fenomeni hanno coinvolto prevalentemente imprese di piccole dimensioni, operanti nel settore industriale e a controllo familiare.

Governo societario
A fine 2015, in sostanziale continuità con i dati relativi agli anni precedenti, 228 società su 234 adottano il modello tradizionale, due il monistico e le restanti quattro il dualistico.
Le caratteristiche dei consigli di amministrazione delle società quotate italiane sono nel complesso stabili nel tempo, a fronte di taluni cambiamenti nella board diversity guidati dall'applicazione della legge 120/2011 in materia di quote di genere.

Dimensione dei board, amministratori indipendenti e di minoranza
Con particolare riferimento alla dimensione, a fine 2015 i consigli di amministrazione delle società quotate che adottano il modello tradizionale sono composti in media da 9,8 membri, in lieve calo rispetto ai valori registrati a partire dal 2010. Nel consiglio di sorveglianza delle quattro società dualistiche siedono 17 membri (12,4 nel 2008), mentre il consiglio di gestione conta in media sei amministratori (7,7 nel 2008).
Il peso degli amministratori indipendenti ai sensi del Tuf e/o del Codice di Autodisciplina è pari al 46,6%, corrispondente a una presenza mediamente inferiore a cinque membri. Gli amministratori di minoranza, presenti in 98 emittenti (93 a fine 2012), pesano per circa l'8% del board e sono in media 1,8 (0,8 se si considerano tutte le società quotate.

Interlocking
La maggior parte delle imprese italiane quotate conta almeno un amministratore titolare di incarichi di amministrazione in altre società quotate (interlocker). Ad eccezione di 20 imprese di piccole dimensioni, nelle quali gli interlocker pesano più del 50 per cento dei membri del board, negli altri casi l'interlocking coinvolge solo una minoranza dell'organo amministrativo (in 79 società meno di un quarto e in 66 società una percentuale compresa tra il 25 e il 50%). In media, gli interlocker che siedono nei consigli delle società italiane sono due e rappresentano circa il 20% del totale dei membri. Il fenomeno è più significativo nelle società ad elevata capitalizzazione (dove gli interlocker arrivano a detenere 3,7 incarichi e a pesare quasi il 30%) e riguarda prevalentemente imprese che operano in gruppi differenti (133 casi; in nove casi l'interlocking è solo all'interno di uno stesso gruppo mentre nei restanti 23 le altre cariche sono ricoperte sia all'interno del gruppo sia in altre società).

Comitati interni al board
Continua a crescere il numero di emittenti che scelgono di istituire comitati all'interno del board. L'incremento è particolarmente evidente per il comitato nomine, che a fine 2015 è adottato dal 54% del listino a fronte del 20% nel 2011, mentre per il comitato remunerazioni e il comitato controllo e rischi, che già a fine 2011 erano presenti nel 90% circa delle imprese, si registrano variazioni contenute.
Dal 2011 al 2015 il numero di società che dichiarano di aver effettuato il processo di board evaluation è passato da 176 a 184, mentre nello stesso periodo le imprese che hanno adottato piani di successione per gli amministratori e/o per i dirigenti è aumentato da 7 a 30.

Board diversity
Come di consueto, sono stati analizzati anche i profili di board diversity delle società italiane, con riferimento alle sue diverse dimensioni legate a età, nazionalità, background professionale, istruzione e genere degli amministratori.
I dati a fine 2015 mostrano che l'età media degli amministratori è 56,7 anni, gli stranieri si attestano al 7% del totale e gli amministratori "family" (così classificati in quanto coincidono o hanno rapporti di parentela con l'azionista di controllo) rappresentano il 16% del board. Con riguardo al livello di istruzione circa l'86% degli amministratori è laureato e, tra questi, il 20,5% è in possesso di un titolo di studio post-laurea (un master e/o un dottorato). Circa 7 amministratori su 10 sono classificabili come manager, mentre i restanti sono qualificabili come consulente/professionista (21%) o accademico (8%). I profili di board diversity sembrano essere associati a settore di appartenenza e dimensione dell'impresa. In particolare, nelle società di servizi è più frequente la presenza di amministratori più giovani e stranieri; nelle imprese industriali i membri del board sono più spesso legati all'azionista di controllo; nel settore finanziario ricorrono un'età mediamente più alta, titoli di studio più elevati e una minore presenza di stranieri e di amministratori family. Per quanto concerne la dimensione dell'impresa, le società del Ftse Mib si caratterizzano per una maggiore presenza di amministratori più anziani, con titoli di studio più elevati e stranieri e una minore incidenza di membri legati all'azionista di controllo da rapporti di parentela. Diversamente, alle società incluse nello Star sono riconducibili amministratori meno frequentemente laureati, in gran parte italiani e qualificabili come family.
La board diversity risulta associata anche all'identità dell'azionista di controllo. Nei consigli delle società controllate da un'istituzione finanziaria sono più frequentemente rappresentate diverse nazionalità, gli amministratori sono mediamente più giovani, hanno titoli di studio più elevati e un profilo prevalentemente manageriale. Al contrario, le imprese familiari si caratterizzano per una minore percentuale di amministratori laureati e una maggiore presenza di consulenti/professionisti.
In linea con le rilevazioni degli anni precedenti, la laurea prevalente è quella in economia (46% dei casi, in lieve flessione rispetto al 2013 quando si riscontrava in poco più del 47% dei casi), seguita dalla laurea in giurisprudenza (17% circa) e in ingegneria (13% circa).

Diversità di genere
A fine giugno 2016, la presenza femminile ha oltrepassato la soglia del 30% del totale degli incarichi di amministratore, in continuo aumento anche grazie al criterio di riparto tra generi nella composizione degli organi sociali imposto per tre mandati dalla Legge 120/2011. Rispetto al 2012, vigilia dell'applicazione della nuova legge, la percentuale degli incarichi detenuti da donne è quasi triplicata e il numero di società in cui almeno una donna siede nel board è cresciuto dai due terzi del mercato fino alla quasi totalità delle imprese. La presenza femminile è maggiore nelle società del Ftse Mib, dove siedono in media 4 donne, con un peso di circa un terzo dell'organo, e nelle società finanziarie (in media 3,5 cariche esercitate da donne).
Con riguardo al ruolo svolto, sono 17 le donne che ricoprono l'incarico di amministratore delegato in altrettante società a ridotta capitalizzazione e 21 quelle che presiedono l'organo amministrativo in altrettante società, corrispondenti a quasi un terzo del valore complessivo di mercato. In circa due casi su tre le donne si qualificano come amministratore indipendente, mentre sono 49 le amministratrici nominate da azionisti di minoranza, attraverso il sistema del voto di lista, in 38 società ad elevata capitalizzazione. Infine, negli ultimi quattro anni è cresciuta l'incidenza delle donne interlocker, passando dal 18% registrato nel 2013 al 30% delle amministratrici a giugno 2015.
Le caratteristiche degli amministratori in termini di età, livello di istruzione e background professionale mostrano un certo grado di variabilità a seconda del genere. A fine 2015, mentre la percentuale di membri stranieri è simile per uomini e donne (rispettivamente, 7,5% e 7%), l'età media è maggiore per i primi (rispettivamente, 59 versus 51 anni circa) così come la percentuale di amministratori family (rispettivamente, 17% e 13%). Le donne posseggono più frequentemente titoli di studi più elevati (il dato vale soprattutto per i titoli post-laurea), mentre la proporzione di amministratori qualificabili come manager è significativamente superiore a quella riferibile alle amministratrici (rispettivamente, 77% e 54% circa).
Queste differenze sono in linea con le rilevazioni degli anni precedenti, dalle quali si evince tra l'altro come le amministratici nominate dopo il 2012 abbiano contribuito a modificare le caratteristiche dei board, determinando sia un incremento della percentuale di amministratori laureati (dall'84% nel 2012 all'86% circa nel 2015) e in possesso di un titolo post-laurea (dal 15% al 21% circa) sia una riduzione dell'incidenza del profilo professionale manageriale (di sei punti percentuali da poco più del 76%) a beneficio del profilo dei professionisti/consulenti (la cui presenza è passata da poco più del 15% al 21%). Anche l'età media si è ridotta (da 57,6 a 56,7 anni), grazie alla crescente presenza delle donne, in genere più giovani degli uomini. Sebbene l'incidenza degli amministratori con legami familiari con l'azionista di controllo risulti sostanzialmente stabile (attorno al 16%), la distribuzione in base al genere evidenzia una significativa riduzione della percentuale di donne family (dal 26% circa nel 2012 al 13% nel 2015).
Le caratteristiche degli amministratori si differenziano anche a seconda che esista o meno un legame con l'azionista di controllo. Nel dettaglio, tra gli amministratori family i laureati rappresentano il 70%, a fronte dell'88% circa degli amministratori privi di legami con l'azionista di controllo, mentre coloro che posseggono un master o un dottorato sono il 15%, a fronte del 21% dei non-family. Tali differenze sono particolarmente pronunciate nel caso delle donne, essendo le percentuali di laureate 64% e 92% rispettivamente per family e non-family. Per quanto concerne il profilo professionale, gli amministratori legati all'azionista di controllo sono classificabili come manager nella quasi totalità dei casi (94% circa) a fronte del 66% per l'altro gruppo.

Partecipazione degli amministratori alle riunioni del board
Con riferimento, infine, alla partecipazione alle riunioni del board, nel corso del 2015 il livello di attendance si è attestato in media attorno al 91%, registrando valori più elevati nelle società del Ftse Mib. Il tasso di partecipazione, inoltre, è minore nelle società controllate da istituzioni finanziarie (88,4%) e maggiore nelle società a controllo pubblico (97%).

Partecipazione degli azionisti alle assemblee
Nel corso delle assemblee tenute nel 2016 dalle 100 società italiane a più elevata capitalizzazione è intervenuto in media circa il 71% del capitale sociale. I dati evidenziano uno stabile incremento della presenza degli investitori istituzionali, pari nel 2016 al 19% del capitale (+ 8 punti percentuali rispetto al 2012).
Il più elevato numero di partecipanti si è registrato per le assemblee delle società di servizi, attestandosi in media a 751 azionisti, ai quali è riferibile il 71% del capitale, di cui 588 investitori istituzionali. Per contro, alle assemblee delle società industriali sono intervenuti in media 368 azionisti, corrispondenti al 73% circa del capitale, di cui 357 investitori istituzionali.
L'incremento della presenza degli investitori istituzionali è ascrivibile agli istituzionali esteri, che hanno partecipato a tutte le assemblee delle 100 società esaminate (di cui rappresentano in media il 18% del capitale sociale a fronte del 10% circa nel 2012) pesando per un quarto del capitale in assemblea. Anche la partecipazione degli investitori istituzionali italiani è lievemente aumentata rispetto agli ultimi anni, avendo riguardato le assemblee di un maggior numero di emittenti (69 società a fronte delle 40 nel 2012) e attestandosi in media all'1,2% del capitale (in crescita rispetto allo 0,9% del triennio precedente).

Say-on-pay
Le evidenze sul voto sulle politiche di remunerazione (cosiddetto say on-pay) delle 100 società italiane a più elevata capitalizzazione mostrano che nel 2016 il dissenso medio – comprensivo di voti contrari e astensioni – si è attestato al 9,5% del capitale rappresentato in assemblea, per l'8,6% ascrivibile agli investitori istituzionali (valore più elevato dalla prima applicazione del say-on-pay). In linea con gli andamenti passati, il dissenso continua a ridursi nelle società di maggiori dimensioni, in particolare per il comportamento degli investitori istituzionali che nel 2016 hanno espresso disaccordo sulla politica di remunerazione delle imprese del Ftse Mib per il 27% delle azioni complessivamente detenute, a fronte del 39% registrato nel 2012 (primo anno di applicazione del say-on-pay). Per contro, il dissenso degli investitori istituzionali è aumentato sia per le società del Mid Cap sia per le imprese di minori dimensioni, dove negli ultimi tre anni ha superato un terzo delle azioni complessivamente possedute dagli istituzionali stessi (registrando incrementi attorno ai 10 punti percentuali rispetto al 2012).
Il dissenso degli investitori, inclusi quelli istituzionali, è concentrato nelle società di servizi e industriali, dove si attesta attorno al 10% del capitale rappresentato in assemblea e quasi il 40% delle azioni detenute dagli investitori istituzionali, mentre è sensibilmente inferiore nelle società finanziarie (circa il 6% dei voti assembleari e un quarto delle azioni in mano agli investitori istituzionali).
Con riferimento alla relazione tra say-on-pay e caratteristiche del governo societario, il dissenso degli investitori istituzionali appare più accentuato nelle società caratterizzate dalla presenza di un azionista titolare dalla maggioranza assoluta dei diritti di voto o di una quota significativa rispetto agli altri azionisti rilevanti, attestandosi rispettivamente attorno al 40% e al 35% delle azioni detenute. La presenza di almeno un investitore istituzionale rilevante nella compagine azionaria sembra associarsi, per contro, a un minor dissenso: in particolare, in queste società gli istituzionali presenti in assemblea si sono espressi a sfavore ovvero si sono astenuti per il 28% delle azioni complessivamente detenute contro un dissenso di oltre il 44% nelle società in cui nessun istituzionale detiene una partecipazione superiore alle soglie di trasparenza proprietaria.

Operazioni con parti correlate
In applicazione del Regolamento Consob n. 17221/2010, a partire dal 2011 fino al primo semestre del 2016 sono stati pubblicati 366 documenti informativi per operazioni di maggiore rilevanza con parti correlate. Il numero di documenti informativi pubblicati annualmente è diminuito nel tempo, passando dai quasi 80 nel primo triennio di applicazione a circa 50 dal 2014 in poi (il dato si attesta a 25 nel primo semestre 2016). Tali operazioni sono state più frequentemente poste in essere da società di minori dimensioni, spesso operanti nel settore finanziario.
Con riferimento alla tipologia delle operazioni, complessivamente dal 2011 la maggior parte delle transazioni (54% circa) ha avuto ad oggetto contratti di finanziamento, forniture di beni e prestazioni di servizi; il 28% circa ha riguardato il trasferimento di assets (ceduti o acquistati dalla parte correlata) e il restante 19% circa dei casi aumenti di capitale riservati, fusioni e altre operazioni idonee a modificare il peso relativo della controparte correlata nel capitale della società quotata. I dati del primo semestre del 2016 sono in linea con le evidenze degli anni precedenti. Per quanto riguarda le controparti, nel complesso, oltre quattro operazioni su cinque sono state poste in essere con azionisti di controllo o soci in grado di esercitare un'influenza significativa sulla società, mentre con una minor frequenza le controparti sono state società del gruppo o amministratori (11% e 5% del totale, rispettivamente).

Operazioni esonerate dagli obblighi di comunicazione
A partire dal 2011, inoltre, 155 operazioni ordinarie e a condizioni di mercato hanno beneficiato dell'esenzione dagli obblighi di pubblicazione di un documento informativo, previsti per le operazioni di maggiore rilevanza con parti correlate, e sono state comunicate alla Consob in applicazione del Regolamento. Tali operazioni sono state poste in essere in prevalenza da società del Ftse Mib operanti nei settori industriale e dei servizi. Esse sono calate drasticamente nel primo semestre del 2016, in parte anche in conseguenza di operazioni di riassetto del controllo che hanno comportato una riduzione del numero di società quotate appartenenti a un medesimo gruppo.
Nella maggior parte dei casi, le operazioni ordinarie sono riconducibili all'attività operativa della società, quale la fornitura di beni e la prestazione di servizi tipici per le imprese non finanziarie e l'erogazione di finanziamenti per le banche (poco più del 34% e del 26% del totale, rispettivamente). Infine, circa il 37% delle operazioni ordinarie comunicate ha riguardato finanziamenti da o per imprese quotate non finanziarie, che beneficiano dell'esenzione solo in quanto connesse all'attività operativa core della società quotata.

 

Il Report è stato curato da:
Nadia Linciano (coordinatrice) - CONSOB, Divisione Studi (n.linciano@consob.it)
Angela Ciavarella - CONSOB, Divisione Studi (a.ciavarella@consob.it)
Rossella Signoretti - CONSOB, Divisione Corporate Governance (r.signoretti@consob.it)

Le opinioni espresse nel Report sono personali degli autori e non impegnano in alcun modo la Consob. Nel citare i contenuti del rapporto, non è pertanto corretto attribuirli alla Consob o ai suoi Vertici.

 

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ISSN 2281-535X [online]