Report corporate governance 2020 - AREA PUBBLICA
RAPPORTO 2020
Assetti proprietari A fine 2019 le società italiane controllate sono nel complesso 196 e pesano sul listino e sulla capitalizzazione di mercato ... leggi di più |
A fine 2019, le società italiane quotate sull'MTA (Mercato telematico azionario) sono 228, con una capitalizzazione complessiva che supera i 537 miliardi di euro. Le società controllate, di diritto ovvero da un azionista con una quota di capitale inferiore al 50% ovvero attraverso patti parasociali, sono nel complesso 196 (203 nel 2018) e pesano sul listino e sulla capitalizzazione di mercato rispettivamente per l'86% e il 72% (88% e circa 77% nell'anno precedente). Le società a proprietà dispersa sono 19 e rappresentano circa un quarto della capitalizzazione di mercato, raggiungendo i valori più alti dal 2010 (quando si contavano 11 emittenti rappresentativi di poco più del 20% del valore totale del listino). In linea con gli anni precedenti, il controllo è riferibile in prevalenza alle famiglie, seguite da Stato ed enti locali, mentre in termini di capitalizzazione complessiva le famiglie pesano meno delle imprese pubbliche e degli emittenti in cui non è possibile individuare un ultimate controlling agent. La presenza di investitori istituzionali nell'azionariato rilevante delle società italiane a fine 2019 mostra un incremento sia nel numero di imprese in cui essi detengono partecipazioni superiori alla soglia di trasparenza proprietaria (67 società, 5 in più rispetto al 2018), sia nel numero complessivo di partecipazioni in capo ad azionisti istituzionali (pari a 90, 11 in più rispetto al 2018). Gli investitori istituzionali italiani sono con maggior frequenza azionisti rilevanti di imprese di piccole dimensioni e sembrano non privilegiare uno specifico settore di attività, mentre quelli esteri sono presenti nel capitale di società la cui dimensione è più diversificata (con una frequenza più elevata tra quelle del Ftse Mib) e nelle imprese industriali. È inoltre aumentata la presenza di investitori stranieri (complessivamente 75 partecipazioni rilevanti, 10 in più rispetto al 2018), soprattutto asset manager, mentre si è interrotta la tendenza alla riduzione del numero di partecipazioni di investitori italiani osservata nell'ultimo decennio (in totale 15, rispetto al valore minimo di 13 nel 2017). A fine 2019 le società parte di un gruppo verticale (anche nell'ambito di un gruppo misto) rappresentano il 12,8% del listino, mentre la quota di imprese non appartenenti a gruppi si è portata a poco più dell'84% del mercato, confermando la tendenza positiva registrata negli anni precedenti. Negli emittenti appartenenti a gruppi verticali la differenza tra diritti di voto e diritti ai flussi di cassa è in media pari a 12,9%. Con riferimento alla deviazione dal principio ‘un'azione, un voto', prosegue il calo del numero di società che emettono azioni di risparmio (12 a fine 2019 a fronte di 14 nell'anno precedente). È aumentata invece la diffusione del voto maggiorato: le loyalty shares sono infatti previste nello statuto di 53 emittenti (7 in più rispetto alla fine del 2018) e, tra questi ultimi, le imprese in cui gli azionisti hanno maturato la maggiorazione dei diritti di voto sono 35. Rimane stabile a tre il numero di società che hanno emesso azioni a voto multiplo. |
Governo societario e board diversity A fine 2020 il modello tradizionale si conferma il più adottato dalle società quotate italiane, ... leggi di più |
A fine 2020 il modello tradizionale si conferma il più adottato dalle società quotate italiane, essendo solo tre le imprese che hanno scelto il modello monistico e solo una il dualistico. Come negli anni precedenti, i consigli di amministrazione sono composti in media da 10 membri, metà dei quali indipendenti ai sensi del Codice di Autodisciplina o del Testo Unico della Finanza (TUF). Gli amministratori di minoranza, presenti in media in oltre il 51% degli emittenti quotati, sono più frequenti tra le società del Ftse Mib (73,5% dei casi) e del Mid Cap (83,3%). Negli organi amministrativi delle società quotate siedono in media almeno due consiglieri titolari di incarichi di amministrazione anche presso altri emittenti quotati (interlockers). Il fenomeno, più significativo al crescere delle dimensioni delle imprese (nelle società del Ftse Mib il dato medio è di 3,6 interlockers), interessa nella maggior parte dei casi una minoranza del board (meno del 25% del board in 94 società e tra il 25% e il 50% in 59 emittenti). L'organo di controllo (rappresentato dal collegio sindacale nelle 223 società che adottano il modello tradizionale a fine 2019) risulta composto in media da tre membri, dato sostanzialmente stabile rispetto al 2011 (anno di inizio della rilevazione). Nell'arco di tempo considerato, le società in cui l'organo di controllo include almeno un esponente di minoranza sono passate da 90 a 120. A fine 2019, i componenti degli organi di amministrazione hanno un'età media di circa 57 anni, sono stranieri nel 6% dei casi e risultano collegati all'azionista di controllo da legami familiari in più del 16% dei casi (cosiddetti amministratori family); infine il 90% dei consiglieri è laureato e ha in prevalenza un profilo manageriale (66% dei casi). I membri degli organi di controllo sono in media più giovani di un anno, sono raramente stranieri, sono laureati in circa il 96% dei casi (quasi esclusivamente in discipline economiche) e sono professionisti/consulenti in più dell'85% dei casi). Le caratteristiche dei membri del board mostrano in media una certa variabilità a seconda del settore industriale, delle dimensioni della società e dell'azionista di riferimento. A fine 2019 gli amministratori delle società del Ftse Mib e delle imprese controllate da istituzioni finanziarie sono più frequentemente laureati e stranieri e hanno in prevalenza un profilo professionale manageriale. Il maggior numero di accademici siede invece nei board delle società finanziarie e nelle imprese non controllate. I consiglieri mediamente più giovani operano nel settore dei servizi e negli emittenti controllati da istituzioni finanziarie. Infine, gli amministratori family sono presenti più frequentemente nel comparto industriale e nelle società del segmento Star (22% circa), mentre la quota sul totale degli amministratori rimane costante intorno al 16%. Con riguardo all'organo di controllo, i membri con diploma di laurea figurano più frequentemente nelle società operanti nel settore dei servizi, negli emittenti a maggiore capitalizzazione e nelle imprese controllate da istituzioni finanziarie. Infine, per quanto riguarda i profili professionali, la quota maggiore di auditors con profilo manageriale è presente nelle Mid Cap, mentre gli accademici figurano più di frequente tra gli emittenti controllati da istituzioni finanziarie. A seguito dell'applicazione delle disposizioni in materia di quote di genere, ossia a partire dal 2012, le caratteristiche dei consigli di amministrazione hanno sperimentato alcuni cambiamenti. In particolare è aumentata in media la quota di membri con un diploma di laurea e studi di specializzazione post-universitari, si è lievemente ridotta l'età media ed è aumentata la diversificazione del background professionale dei consiglieri. La quota di società che hanno istituito un comitato per la remunerazione e un comitato per il controllo interno rimane stabilmente superiore al 90% e prossima al 100% in termini di capitalizzazione di mercato, mentre aumenta la diffusione del comitato nomine, che a fine 2019 è presente nel 67% degli emittenti (64% nel 2018), rappresentativi di più del 92% del valore totale del listino. Gli emittenti che hanno affidato la supervisione dei temi di sostenibilità a un comitato rappresentano il 35% del listino (24% nel 2018), corrispondente all'83% del valore complessivo di mercato (in decisa crescita rispetto al 67% nell'anno precedente). Nel settore finanziario, il comitato di sostenibilità è stato istituito da due terzi delle banche; nel settore industriale, escludendo la categoria residuale ‘altro', la presenza del comitato ricorre in una quota di imprese oscillante tra il 37% (comparto ‘prodotti e servizi industriali') e il 67% (‘oil & gas'); nei servizi il dato raggiunge il suo massimo per le utilities. La quota di membri del comitato ai quali sono riferibili competenze specifiche in materia di sostenibilità, così come emerge dalle informazioni riportate nella Relazione per il governo societario e nel sito web delle società, si attesta in media al 14,3% (18,6% nelle società del Ftse Mib); il dato sfiora un terzo dei componenti del comitato nelle società a controllo pubblico. Nei comitati endoconsiliari siedono in larga prevalenza amministratori indipendenti; inoltre la quota di donne si attesta in media al 52% circa, la presenza di stranieri al 4,7%, quella di membri con un background manageriale è pari a più del 51%. Nel confronto tra comitati, la quota di membri indipendenti e la presenza delle donne sono maggiori nel comitato di controllo interno (rispettivamente, quasi l'89% e il 54%), mentre il comitato di sostenibilità si distingue mediamente per una maggiore quota di presidenti e vice presidenti del consiglio di amministrazione (quasi il 9%), l'età dei membri più alta (57,5 anni in media), una minore quota di amministratori stranieri e family e una maggiore presenza di componenti con titoli di studio post-universitari, manager e accademici. In linea con l'anno precedente, nel 2019 le società che effettuano l'autovalutazione annuale del consiglio sono poco più dell'86%, mentre risulta in aumento il numero di emittenti che adottano un piano di successione (attestandosi a circa il 26,5% del listino dal 23,4% nel 2018). A fine 2020 la presenza femminile negli organi sociali degli emittenti quotati italiani raggiunge quasi il 39% degli incarichi di amministrazione e di controllo. I dati, che per gli organi amministrativi segnano il massimo storico, riflettono la prima applicazione della Legge n. 160/2019 che ha previsto di riservare al genere meno rappresentato i due quinti dell'organo per sei rinnovi a partire dal 2020, quota più elevata rispetto a quella di un terzo prevista dalla Legge Golfo-Mosca (legge 120/2011) per i tre rinnovi successivi all'agosto 2012. In applicazione della nuova legge, le 76 società che hanno rinnovato la composizione dell'organo amministrativo nel 2020 mostrano una presenza media di 4 donne, pari al 42,8% del board. La presenza femminile è in ogni caso solo marginalmente inferiore nelle altre società, non solo in quelle che hanno effettuato l'ultimo rinnovo in applicazione della Legge Golfo-Mosca (complessivamente 122 emittenti nei quali le donne rappresentano circa il 37% del board), ma anche in quelle che in tale occasione non erano tenute ad applicare alcun criterio di riparto di genere (26 imprese, in cui le donne rappresentano il 35% del board), in quanto neoquotate ovvero avevano completato i tre rinnovi previsti dalla Legge Golfo-Mosca. Con riguardo al ruolo svolto, nel 2020 si conferma estremamente contenuta la frequenza con cui le donne ricoprono il ruolo di amministratore delegato (accade in 15 società, rappresentative di poco più del 2% del valore totale di mercato) e di presidente dell'organo amministrativo (26 emittenti pari al 18% della capitalizzazione complessiva, quasi la metà del dato per il 2019). In circa tre quarti dei casi le donne sono consiglieri indipendenti, in linea con gli anni precedenti; è aumentata inoltre la presenza di donne nominate dai soci di minoranza in applicazione del voto di lista, registrando nel 2020 il numero massimo di 84 amministratrici, nominate in 67 società ad elevata capitalizzazione. Infine, le donne sono più frequentemente titolari di più di un incarico di amministrazione (interlocker), circostanza che si verifica in un caso su tre: il dato risulta relativamente stabile nell'ultimo triennio dopo aver registrato una crescita significativa nel periodo 2013-2018. |
Assemblee e politiche di remunerazione In considerazione della situazione di emergenza sanitaria causata dal Covid-19, nel 2020 il legislatore ha consentito che la partecipazione degli azionisti alle assemblee ... leggi di più |
In considerazione della situazione di emergenza sanitaria causata dal Covid-19, nel 2020 il legislatore ha consentito che la partecipazione degli azionisti alle assemblee delle società quotate potesse avvenire esclusivamente tramite il conferimento di deleghe a un Rappresentante Designato o tramite forme di voto a distanza (decreto legge del 17 marzo 2020, n. 18, cosiddetto Decreto Cura Italia). In particolare, la quasi totalità delle assemblee successive alla data di entrata in vigore del decreto (92% dei casi) si è svolta senza la partecipazione fisica degli azionisti, i quali hanno trasmesso la delega di voto al Rappresentante Designato. Meccanismi di voto a distanza, di cui il Decreto Cura Italia ha favorito l'utilizzo anche in assenza delle necessarie previsioni statutarie delle singole società, sono stati invece utilizzati in pochi casi. La stagione assembleare 2020 delle 100 società quotate a più elevata capitalizzazione ha fatto registrare una partecipazione degli azionisti più alta rispetto agli anni precedenti. In particolare, è intervenuto in media il 73,6% del capitale sociale e gli investitori istituzionali hanno rappresentato in media il 22,2% del capitale sociale, facendo registrare un incremento di quasi due punti percentuali rispetto all'anno precedente. Le banche e le assicurazioni e i fondi di investimento italiani, la cui partecipazione pari all'1,9% del capitale sociale è rimasta pressoché stabile rispetto al 2019, hanno preso parte al maggior numero di adunanze dal 2012 (86 assemblee, più del doppio rispetto al 2012-2013) e con un numero medio di azioni pari al 3% dell'assemblea. La partecipazione di investitori istituzionali esteri, pari al 20,3% del capitale sociale, è invece leggermente aumentata rispetto all'anno precedente, così come il numero medio di azioni possedute, pari al 29,3% di quelle rappresentate in assemblea, mentre il numero di assemblee a cui hanno partecipato è sceso a 98 (era pari a 100 nel 2019). Per quanto riguarda i settori di attività, i tassi di partecipazione più alti, pari rispettivamente al 76,3% e al 77,4% del capitale sociale, si riferiscono alle società industriali e di servizi. La presenza degli investitori istituzionali, pari al 24,4%, è tuttavia più alta nel settore finanziario mentre diminuisce nei settori industriale e dei servizi, dove è pari rispettivamente al 22,3% e al 20% del capitale sociale. Con il recepimento della Shareholder Rights Directive II (2017/828/UE) sui diritti degli azionisti, a partire dalla stagione assembleare 2020 il voto sulle politiche di remunerazione delle società quotate italiane è diventato vincolante. Fino alla stagione assembleare precedente, il voto aveva carattere consultivo per la generalità delle imprese quotate, fatta eccezione per quelle del settore finanziario, soggette alla regolamentazione di settore che già prevedeva un voto vincolante sulle politiche di remunerazione. Con riguardo al voto espresso sulle politiche di remunerazione, la stagione assembleare 2020 segna un aumento del consenso da parte degli investitori istituzionali, che hanno votato a favore con una percentuale pari al 63,1% dei loro voti, in aumento rispetto al 2019, quando il dato si attestava al 54,5%. In media, le politiche di remunerazione sono state approvate con voto favorevole da due terzi del capitale sociale (detenuto rispettivamente dal 15,6% degli investitori istituzionali e dal 50,4% dagli altri investitori) e da circa il 90% del capitale sociale rappresentato in assemblea (composto per il 22,3% dagli investitori istituzionali e per il 66,9% dagli altri investitori). La somma dei voti contrari e delle astensioni, classificata nel presente Rapporto come dissenso, ha raggiunto circa l'8% del capitale sociale ed è stato espresso in modo più rilevante dagli investitori istituzionali. In un caso, la politica di remunerazione non è stata approvata dall'assemblea. Con riferimento ai voti degli investitori istituzionali, il dissenso, pari al 9,6% dei voti rappresentati in assemblea, è leggermente diminuito rispetto all'anno precedente. Il calo è stato evidente soprattutto negli emittenti medi e grandi: in particolare, rispetto alle azioni detenute dagli azionisti istituzionali, il dissenso è sceso dal 36,5% al 30,2% nelle società del Ftse Mib e dal 49,2% al 42,8% nelle società a media capitalizzazione. Nel lungo periodo, confrontando i dati con quelli del 2012, il dissenso risulta nel complesso minore nelle società più grandi e maggiore nelle altre. Per la prima volta dall'introduzione nel 2012 del voto sulla politica di remunerazione, si riscontra, inoltre, un dissenso più elevato nelle imprese del settore finanziario rispetto alle altre, sebbene nel 2020 il dissenso degli investitori istituzionali, pari al 34,9% dei voti da loro rappresentati, sia diminuito rispetto all'anno precedente. Ai sensi della nuova normativa sui diritti degli azionisti, dalla stagione assembleare del 2020 è previsto anche un voto consultivo sulla sezione della relazione sulla remunerazione che illustra i compensi corrisposti per l'esercizio precedente (cosiddetto remuneration report). Al proposito, i voti a favore sono stati il 66,4% del capitale sociale e il 90% dei voti rappresentati in assemblea. Gli investitori istituzionali hanno mostrato consenso sui compensi corrisposti dalla società nel 66,3% dei casi; le manifestazioni di dissenso, pari al 34,8% dei voti rappresentati dagli stessi, si sono concentrate, in particolare, negli emittenti con la capitalizzazione più bassa e nei settori finanziario e industriale. Nel complesso, per 52 società quotate su 100 il dissenso è stato più alto con riferimento alla politica di remunerazione rispetto al report sui compensi corrisposti, con differenze pari, in media, al 4,9% dell'assemblea e al 16,4% dei voti degli investitori istituzionali. Per 32 società il dissenso sui compensi è stato, invece, più alto rispetto a quello sulla politica di remunerazione. Infine, in 16 casi i risultati nelle due votazioni sono stati coincidenti. Con riferimento alla distribuzione per modello di controllo, nelle società ad azionariato diffuso il dissenso degli investitori istituzionali sul totale delle azioni possedute è risultato minore per entrambe le votazioni rispetto a quello rilevato nelle società in cui è presente un azionista o una coalizione di soci di controllo, attestandosi rispettivamente al 19,9% sulla politica di remunerazione e al 15,1% sui compensi corrisposti. |
Operazioni con parti correlate Dal 2011 al 2020 le società quotate hanno pubblicato 629 documenti informativi per operazioni di maggiore rilevanza con parti correlate (OPC) ... leggi di più |
In applicazione della disciplina CONSOB, le società quotate hanno pubblicato, dal 2011 al 2020, 629 documenti informativi per operazioni di maggiore rilevanza con parti correlate (OPC). La maggior parte di tali operazioni ha avuto ad oggetto finanziamenti o altri contratti per la fornitura di beni o la prestazione di servizi (52%), mentre con minor frequenza le operazioni hanno riguardato un trasferimento di attività da o verso la parte correlata (31%), ovvero hanno accresciuto il peso relativo della partecipazione al capitale della parte correlata rispetto agli altri azionisti (17%). Inoltre, dal 2011 al 2020 la CONSOB ha ricevuto comunicazione di 235 OPC di maggiore rilevanza ordinarie e a condizioni di mercato, escluse dall'applicazione delle regole di trasparenza e procedurali previste dal Regolamento Consob. Tali operazioni, poste in essere in maggioranza da società a elevata capitalizzazione (Ftse Mib), afferiscono in circa due casi su tre all'attività operativa core della società che le ha poste in essere (fornitura/prestazione di beni/servizi tipici per imprese non finanziarie, finanziamenti per le banche). |
Il Report è stato curato da:
Nadia Linciano (coordinatrice) - CONSOB, Divisione Studi (n.linciano@consob.it)
Angela Ciavarella - CONSOB, Divisione Studi (a.ciavarella@consob.it)
Giovanna Di Stefano - CONSOB, Divisione Studi (g.distefano@consob.it)
Rossella Signoretti - CONSOB, Divisione Corporate Governance (r.signoretti@consob.it)
Lucia Pierantoni - CONSOB, Divisione Studi (l.pierantoni@consob.it)
Eugenia Della Libera - CONSOB, Divisione Studi (e.dellalibera@consob.it)
Elena Frasca - CONSOB, Divisione Studi (e.frasca@consob.it)
Le opinioni espresse nel Report sono personali degli autori e non impegnano in alcun modo la Consob. Nel citare i contenuti del rapporto, non è pertanto corretto attribuirli alla Consob o ai suoi Vertici.
ISSN 2281-535X [online]