L'età corrente

L'età corrente

 

"Accordi di Bretton Woods"

Nel 1944 alla conferenza di Bretton Woods, nel New Hampshire, fu approvato un accordo internazionale che portò all'istituzione del Fondo Monetario Internazionale (FMI) e della Banca Mondiale. Il medesimo accordo condusse alla definizione del sistema di regolazione dei cambi e delle relazioni commerciali tra i principali paesi industrializzati che ha funzionato a partire dal secondo dopoguerra e fino al 1971.

  Premessa

Le profonde devastazioni arrecate dalla Seconda Guerra Mondiale avevano generato l'esigenza, ampiamente condivisa, di conferire un ordine duraturo alle relazioni internazionali. La storia economica dei principali paesi avanzati era stata inoltre segnata dalla grande depressione degli anni 30, periodo durante il quale le diffuse pratiche protezionistiche, unite alle svalutazioni competitive dei tassi di cambio, avevano causato un rapido declino del commercio internazionale e dell'economia globale.

  L'accordo

In tale contesto, gli Stati Uniti si fecero promotori di un accordo che garantisse il monitoraggio dei flussi di pagamento, degli scambi commerciali e dei movimenti di capitali internazionali.

Nel 1944, 730 delegati di 44 nazioni, riuniti nella città di Bretton Woods per la conferenza monetaria e finanziaria delle Nazioni Unite, dopo un dibattito durato tre settimane, raggiunsero l'accordo che condusse all'istituzione di un sistema basato su rapporti di cambio fissi tra le valute, con il dollaro come moneta di riferimento. In estrema sintesi, l'accordo prevedeva che tutte le valute dovessero essere convertibili in dollari e che le banche centrali dovessero mantenere un cambio stabile con il dollaro attraverso operazioni di mercato aperto. La svalutazione era ammessa solo in caso di gravi squilibri strutturali della bilancia dei pagamenti.

L'accordo stabiliva, inoltre, la creazione del Fondo monetario internazionale (FMI) e della Banca internazionale per la ricostruzione e lo sviluppo (la Banca Mondiale). Entrambe queste istituzioni sarebbero diventate operative solo nel 1946, una volta raccolta la ratifica dell'accordo da parte di un numero considerevole di paesi.

Tra i compiti assegnati al FMI vi erano quelli di promuovere la cooperazione monetaria internazionale, facilitare l'espansione del commercio internazionale, promuovere la stabilità e l'ordine dei rapporti di cambio evitando svalutazioni competitive, offrire (dietro adeguate garanzie) risorse per affrontare difficoltà derivanti dai disavanzi della bilancia dei pagamenti. In termini più generali, il Fondo aveva dunque il compito di vigilare sulla stabilità monetaria e l'obiettivo di contribuire a ricostituire un commercio internazionale aperto e multilaterale. Al suo interno ogni Stato aveva un potere decisionale proporzionale alla quota del capitale del Fondo sottoscritta (una quota era versata in oro e una in valuta nazionale).

Tra gli obiettivi della Banca Mondiale, vi era il sostegno alla ricostruzione di Europa e Giappone dopo la seconda guerra mondiale, sebbene negli anni sessanta l'Istituzione si occupò anche dello sviluppo economico dei paesi di Africa, Asia e America Latina in via di decolonizzazione.

Nel 1947, infine, fu firmato l'Accordo generale sulle tariffe e il commercio, il cosiddetto GATT (General Agreement on Tariffs and Trade) teso alla liberalizzazione degli scambi internazionali di beni commerciali.

  La fine dell'accordo

In seguito alla guerra del Vietnam, l'aumento della spesa pubblica statunitense e l'ingente emissione di dollari da parte del governo degli Stati Uniti spinsero ripetutamente i paesi aderenti all'accordo a richiedere la conversione delle riserve in oro, mettendo a rischio le riserve auree del Tesoro degli USA. Il 15 agosto 1971, a Camp David, il presidente statunitense Richard Nixon si vide costretto ad annunciare la sospensione della convertibilità del dollaro in oro. Successivamente, a dicembre, i paesi del G10 (Germania, Belgio, Canada, Stati Uniti, Francia, Italia, Giappone, Paesi Bassi, Regno Unito, Svezia) firmarono lo Smithsonian Agreement, che poneva fine agli accordi di Bretton Woods, svalutando il dollaro e dando inizio alla fluttuazione dei cambi.

  Dopo Bretton Woods

Le istituzioni create a Bretton Woods sopravvissero, pur nella revisione dei relativi obiettivi. In particolare, per quanto riguarda il FMI sull'obiettivo di controllare il rispetto degli accordi prevalse quello di finanziare gli squilibri della bilancia dei pagamenti dei paesi in via di sviluppo, a fronte del rispetto di specifiche condizioni e dell'implementazione di piani di stabilizzazione macroeconomica. Tale funzione costituisce tuttora la priorità del Fondo, come dimostrato dai recenti interventi messi in atto durante la crisi del debito.

La Banca Mondiale negli anni ha orientato la propria azione verso la riduzione della povertà.

Il GATT, infine, fu sostituito nel 1995 dal WTO (World Trade Organization - Organizzazione mondiale del commercio), organizzazione tesa all'abolizione delle barriere tariffarie agli scambi internazionali di beni, servizi e proprietà intellettuali.

"Il sistema monetario europeo"

Prima della costituzione dell'eurozona e dell'introduzione dell'euro la Comunità Economica Europea (CEE) " stabilì un accordo di cooperazione monetaria, il "Sistema Monetario Europeo" (detto anche SME), che entrò in vigore il 13 marzo 1979. A tale accordo prese parte anche il Regno Unito, seppure in una posizione marginale.

Lo SME, che seguiva di pochi anni il tentativo fallito del "serpente monetario" aveva come principale obiettivo quello di realizzare un mercato finanziario unico, con libera circolazione di capitali, e creare una zona di stabilità monetaria in Europa, alla luce del decennio precedente caratterizzato da profonde crisi valutarie. A tal fine vennero approntati vari strumenti, tra i quali spiccavano:

  • l'istituzione dell'ECU (ossia l'European Currency Unit), un'unità di conto comune calcolata coma la media ponderata delle valute dei Paesi membri della CEE, ognuna relazionata all'importanza economica del Paese corrispondente; l'ECU fu usata come una sorta di valuta (virtuale), ossia un'unità di conto per la redazione del budget interno della Comunità europea, nonché per la regolazione delle posizioni debitorie tra le banche centrali;
  • la definizione dei cosiddetti Accordi Europei di Cambio (AEC), attraverso i quali si definiva il cambio delle valute partecipanti in termini di un tasso centrale rispetto all'ECU che veniva poi utilizzato per determinare una griglia di tassi di cambio bilaterali tra le stesse valute. I tassi di cambio potevano fluttuare intorno a questi tassi centrali bilaterali entro i margini di oscillazione stabiliti dagli AEC. Nel caso di eccessiva rivalutazione o svalutazione di una moneta rispetto a quelle del paniere, il governo nazionale doveva adottare le necessarie politiche monetarie (acquisti o vendita delle valute) per ristabilire l'equilibrio di cambio entro la banda d'oscillazione;
  • la centralizzazione, presso il FECoM (Fondo Europeo di Cooperazione Monetaria), del 20% delle riserve auree e del 20% delle riserve in dollari detenute da ciascuna banca centrale in cambio della creazione di conti in ECU. Tale centralizzazione rispondeva all'obiettivo di creare una banca centrale europea per il raggiungimento dell'Unione Economica Monetaria (UEM), che, in seguito, sarebbe state codificata con la conferenza intergovernativa di Maastricht del febbraio 1992 (il ben noto "Trattato di Maastricht").

Gli AEC prevedevano la possibilità di modifiche delle tassi di cambio centrali (riallineamenti) da parte del Consiglio dei ministri finanziari delle Comunità europee nel caso di andamenti fortemente divergenti delle economie. Di questa facoltà fu fatto uso frequente dal 1979 al 1987.

Nei primi anni '90 venne alla luce tutta la debolezza dello SME, messo a dura prova dalle diverse politiche economiche e dalle differenti condizioni dei Paesi membri, specialmente la Germania riunificata.

I tassi di interesse tedeschi furono aumentati per contenere le pressioni inflazionistiche dovute all'aumento della spesa pubblica interna, inducendo gli altri paesi europei aderenti allo SME a innalzare a loro volta i tassi, in modo da rispettare le bande di oscillazione previste dall'accordo.

In un regime di cambi flessibili, un incremento repentino dei tassi di interesse tedeschi si sarebbe riverberato immediatamente sul tasso di cambio del marco, che si sarebbe apprezzato rispetto alle altre valute. Il relativo deprezzamento delle valute degli altri paesi europei, caratterizzati in quel periodo da elevata disoccupazione e bassa crescita, avrebbe favorito un recupero di competitività senza creare spinte inflazionistiche preoccupanti. Tale aggiustamento, tuttavia, non era possibile in un regime di tassi fissi entro bande di oscillazione.

I mercati finanziari cominciarono a speculare sulla rottura dello SME, favoriti anche dall'assenza di limiti ai movimenti di capitale tra i paesi aderenti. Nel 1992 il sistema dei cambi fissi venne duramente colpito dalla speculazione. La maggior parte delle banche centrali, in particolare quelle di Italia e Regno Unito, intervennero per impedire la svalutazione delle monete nazionali nei confronti del marco tedesco. Tali interventi si intensificarono anche a seguito dei massicci flussi di capitali che si diressero verso la Germania, associati a dei tassi di interesse decisamente elevati in relazione a quelli praticati nel resto dello SME. Il 16 settembre 1992 la Banca d'Inghilterra annunciò il distacco dallo SME. Il giorno dopo, a seguito dell'intensificazione degli attacchi speculativi, anche l'Italia abbandonò lo SME.

Questi fenomeni condussero, nel 1993, al cosiddetto "Compromesso di Bruxelles" che revisionava il sistema monetario, stabilendo una più ampia banda di fluttuazione (dal 2,5% si passò al 15%) per i tassi di cambio delle diverse valute europee rispetto al tasso centrale di parità. Questa nuova ampiezza rese praticamente inoperante lo SME, in quanto essa aveva finito con l'esentare ogni banca centrale nazionale dall'obbligo di intervenire per mantenere il cambio entro la fascia di oscillazione precedente, più vincolante.

Nel 1994 fu costituito l'Istituto Monetario Europeo (IME), con sede a Francoforte, antenato dell'odierna Banca Centrale Europea, con il compito di accentuare il coordinamento delle politiche monetarie che rimanevano ancora sotto la responsabilità dei singoli paesi.

Nel 1995 entravano a far parte dello SME anche la Finlandia e la Svezia, in quanto ammesse quali nuovi membri dell'Unione Europea, mentre l'adesione dell'Austria al sistema fu ritardata e preceduta da alcuni interventi del governo austriaco. L'Italia rientrò nello SME il 24 novembre 1996, dopo un'intensa trattativa sul cambio della lira italiana rispetto al marco.

La fine dello SME fu dichiarata ufficialmente a fine dicembre 1998.

L'ECU "visse" ufficialmente fino al 1º gennaio 1999, quando venne sostituito dall'euro, in un rapporto 1:1, per cui un euro al 1º gennaio 1999 aveva lo stesso valore di un ECU al 31 dicembre 1998. A differenza dell'ECU, l'euro non aveva più la caratteristica di un paniere e venne cambiato con le varie monete nazionali secondo dei rapporti di conversione fissi.

Sempre dal 1° gennaio 1999 entrò in funzione il successore dello SME, lo SME II, ossia  il nuovo Accordo Europeo di Cambio che costituì l'assetto per la cooperazione nelle politiche del cambio valutario tra gli stati dell'area dell'euro e quelli dell'Unione Europea che non facevano parte dell'UEM.

 

Comunità Economica Europea

La Comunità Economica Europea (CEE) fu istituita con il Trattato di Roma del 25 marzo 1957. L'accordo fu stipulato dai sei paesi fondatori della cosiddetta Piccola Europa: Italia, Francia, Repubblica Federale di Germania, Belgio, Paesi Bassi e Lussemburgo.

Con un altro trattato, nella stessa data, venne costituita la Comunità Europea dell'Energia Atomica (CEEA o Euratom), che si affiancò alla Comunità Europea del Carbone e dell'Acciaio (CECA, creata con il Trattato di Parigi del 18 aprile 1951)

I Trattati di Roma entrarono in vigore il 1° gennaio 1958. CEE, CEEA e CECA insieme formavano le cosiddette Comunità Europee.

Nel 1992, con l'ampliamento degli obiettivi e delle competenze della CEE, si passò alla nuova denominazione in Comunità Europea (CE), formalmente adottata con il Trattato di Maastricht del 7 febbraio 1992 (entrato in vigore il 1º novembre 1993).

Con il Trattato di Lisbona del 2007 (in vigore dal 2009) la CE è stata sostituita dall'Unione Europea (UE).

 

IL SERPENTE MONETARIO

Il "Serpente Monetario" era l'accordo, concluso nel 1972 tra i paesi della CEE, che stabiliva i margini di oscillazione rispetto al marco tedesco delle monete europee all'interno una fascia, mantenendo contemporaneamente uno spazio di movimento nei confronti del dollaro statunitense. Proprio per queste caratteristiche il Serpente Monetario viene considerato l'antenato dello SME, il Sistema Monetario Europeo.

L'idea di base era quello di creare un sistema simile al progetto Bretton Woods (fallito alla fine degli anni '60), che prevedeva un sistema di cambi fissi per tutte le monete e che aveva come punto di riferimento il valore del dollaro, al fine di raggiungere una stabilità nei cambi che favorisse gli scambi commerciali e contribuisse al loro sviluppo. Il Serpente Monetario non durò a lungo in quanto le diverse valute che ne facevano parte non riuscivano a rispettare le regole.

In particolare, con la crisi petrolifera del 1973 (che innescò un forte e generale aumento dei prezzi, determinando fluttuazioni nei cambi oltre i margini prestabiliti) molti Paesi membri uscirono dall'accordo. Nel 1973 l'Italia uscì dal sistema e ne rimase fuori fino all'entrata in funzione del Sistema Monetario Europeo, nel 1979. Solo il marco tedesco, il fiorino olandese, il franco belga e la corona danese restarono vincolati al Serpente Monetario fino al 1979.

"La finanza diventa globale"

L'economia mondiale è sempre più interdipendente: questa non è una novità degli ultimi decenni. Anche in altre epoche storiche le nazioni economicamente più avanzate presentavano forti elementi di integrazione delle attività commerciali (per esempio, nei secoli XVI° e XVII°) e industriali (nel cinquantennio che ha preceduto la Grande Guerra ossia dal 1870 al 1914).

Il fenomeno realmente nuovo è dato dalla portata della globalizzazione finanziaria che si è realizzata a partire dai primi anni '90 del XX° secolo.

Proviamo a fornire un quadro degli elementi strutturali e causali della globalizzazione finanziaria:

  • il rafforzamento dell'interdipendenza economica e finanziaria delle diverse aree geopolitiche (Unione Europea, America del Nord, Cina, Sud-Est asiatico, Giappone, Australia, Brasile, India, Russia e Sud Africa);
  • la libertà di movimento dei capitali finanziari a breve a seguito dell'abbattimento di barriere legali nazionali nei paesi ad economia avanzata;
  • il forte processo di deregolamentazione delle transazioni finanziarie (a partire dal 1996);
  • la diffusione capillare di una sofisticata tecnologia di comunicazione telematica (di cui. Internet è la prova evidente);
  • l'integrazione dei diversi segmenti dei mercati finanziari internazionali (azioni, obbligazioni, derivati e valute).

In particolare, la mobilità del capitale finanziario, grazie all'esistenza di mercati dei capitali aperti e internazionalizzati, si è avvantaggiata di una tecnologia che consente di operare investimenti e disinvestimenti finanziari da qualsiasi luogo geografico in modo rapido e con costi di transazione ridottissimi.

Questa rapidità di movimento dei capitali su scala planetaria accresce i rischi di eccessiva variabilità dei prezzi delle attività finanziarie, creando condizioni potenziali di minore stabilità dei sistemi finanziari, in assenza di presidi istituzionali sovranazionali in grado di regolarli e controllarli.[1]

Da qui il detto "il batter d'ali di una farfalla in Brasile sia in grado di provocare un uragano dall'altra parte del mondo", con ciò intendendo come una variazione delle aspettative circa l'andamento dei dati macro-economici di un paese possa portare repentinamente ad alterare i flussi di investimento/disinvestimento finanziario in quel paese - e nei paesi ritenuti con caratteristiche omogenee - da parte degli operatori finanziari internazionali (banche, fondi comuni d'investimento, fondi sovrani, compagnie d'assicurazione, fondi pensione, altri investitori istituzionali) che, agendo sincronicamente, producono conseguenze destabilizzanti delle sottostanti economie interessate (c.d. effetto "gregge").

La recente crisi – originata negli Stati Uniti d'America – ha dimostrato ancora una volta, con i suoi effetti su scala globale, l'interdipendenza bidirezionale tra economia (produzione e scambio di beni e servizi) e finanza (offerta e utilizzo di risorse finanziarie) e l'instabilità delle loro componenti interne per squilibri macroeconomici, per scelte (reazioni) di tipo emotivo (eccesso di ottimismo/pessimismo), per la presenza di cattivi incentivi ai comportamenti individuali, ma anche per i limiti e le fragilità strutturali del funzionamento del sistema finanziario, per le rilevanti deficienze della regolamentazione dei rischi sistemici e l'inadeguatezza delle forme e delle modalità di vigilanza su basi nazionali.

I meccanismi microstrutturali della c.d. economia dell'informazione (e le c.d. forze di mercato) non hanno prodotto sufficienti anticorpi a salvaguardia del sistema così come congegnato.

Si è posto a livello internazionale il tema delle azioni da prendere per contenere l'ampiezza e la profondità dei fallimenti del mercato e per mitigarne gli effetti sull'economia reale, dando luogo ad una complessa e articolata strategia pubblica sovranazionale per la protezione degli investitori e per l'integrità del funzionamento dei mercati, presupposti indispensabili per un'allocazione efficiente delle risorse nell'economia. Ma è un lavoro difficile e paziente con risultati visibili nel lungo periodo.

Emerge dalla storia della crisi finanziaria degli ultimi anni una necessità di avere regole efficaci del sistema finanziario e una loro applicazione omogenea nei diversi paesi e per i diversi operatori. Condizione questa realizzabile solo in presenza di forme di controllo sovra-nazionali.

 

[1] Cfr. Dani Rodrik, La globalizzazione intelligente, Ed. Laterza (2011), pagg. 261-279.

 

"L'euro e l'eurozona"

L'area dell'euro (brevemente detta anche "eurozona") è quell'insieme costituito dagli Stati Membri dell'Unione Europea (UE) che hanno adottato l'euro come valuta ufficiale. L'euro, introdotto il 1° gennaio 1999 come moneta "virtuale" per effettuare transazioni interbancarie e pagamenti senza contanti e a fini contabili, è diventato una moneta "reale" solo a partire dal 1° gennaio 2002, quando iniziò a circolare sotto forma di monete e banconote, sostituendo così le monete nazionali, che hanno perso il loro corso legale a partire dal 1° marzo di quello stesso anno.

Attualmente l'euro è la valuta ufficiale di 19 dei 28 paesi membri dell'UE ed è utilizzata in altri sei stati europei.

Inizialmente l'euro entrò in vigore in undici degli allora quindici stati membri dell'Unione. Nel 2001 si aggiunse la Grecia; nel 2007 la Slovenia; nel 2008 Malta e Cipro; nel 2009 la Slovacchia; nel 2011 l'Estonia; nel 2014 la Lettonia e, dal 1º gennaio 2015 anche la Lituania ha adottato la moneta unica.

Quattro microstati, (Andorra, Città del Vaticano, il Principato di Monaco e San Marino) hanno adottato l'euro in virtù delle preesistenti condizioni di unione monetaria con paesi membri della UE. Infine anche il Montenegro e il Kosovo hanno adottato unilateralmente l'euro.

L'euro ha un forte peso sulla scena economica internazionale. Dalla sua introduzione nel 1999 esso si è affermato come una delle principali divise internazionali, seconda soltanto al dollaro statunitense. Inoltre esso rappresenta la realizzazione di quel processo di integrazione europea che aveva avuto lo SME come antenato.

I tassi di cambio tra l'euro e le valute nazionali dei Paesi dell'Eurozona, sono irrevocabilmente fissi e costituiscono il risultato di una procedura di rilevazione che i Paesi concordarono nel definire l'Unione Economica e Monetaria (UEM). L'euro ha sostituito l'ECU con un tasso di cambio di 1 a 1. Il 31 dicembre 1998 le Banche Centrali Europee fecero una sorta di fixing della quotazione delle valute e ne derivarono il valore dell'ECU a quella data; questo valore fu fissato come valore dell'euro.

Essendo l'Ecu una "valuta paniere" il cui valore dipendeva dalle quotazioni sui mercati monetari delle singole monete che facevano all'epoca parte dell'UE, comprese le monete esterne all' UEM che facevano comunque parte dell'ECU (come la sterlina inglese), il tasso di conversione dalle divise locali all'Euro variò sensibilmente da Paese a Paese. Per l'Italia il tasso di conversione fu pari a 1936.27.

Le politiche monetarie dell'eurozona sono regolate esclusivamente dalla Banca Centrale Europea (BCE), con sede a Francoforte.

Istituita il 1º giugno 1998 la BCE è dotata di personalità giuridica e gode di un'indipendenza assoluta rispetto alle istituzioni nazionali ed europee. Gli obiettivi principali della BCE sono:

  • il mantenimento della stabilità dei prezzi, mediante la definizione della politica monetaria dell'Unione (ottenuta tenendo sotto controllo l'inflazione),
  • la stabilità del sistema finanziario, assicurandosi che i mercati finanziari e le istituzioni siano controllati in modo appropriato.

La BCE lavora in collaborazione con le banche centrali nazionali dei 28 paesi dell'UE. Insieme costituiscono il Sistema europeo delle banche centrali (il "SEBC").

Tra le funzioni monetarie della BCE vanno evidenziate:

  • il diritto esclusivo di autorizzare l'emissione di banconote e monete. Le banche centrali nazionali possono emettere monete, ma è la BCE che autorizza previamente i quantitativi;
  • fissare i tassi d'interesse di riferimento per l'area euro e controllare la massa monetaria;
  • gestire le riserve in valuta estera dell'area euro e comprare o vendere valute quando si presenta la necessità di mantenere in equilibrio i tassi di cambio;
  • accertarsi che le istituzioni e i mercati finanziari siano adeguatamente controllati dalle autorità nazionali, e che i sistemi di pagamento funzionino correttamente.

Vale la pena evidenziare che l'Unione europea non è una federazione come gli Stati Uniti, perché i suoi Stati membri rimangono nazioni sovrane indipendenti, e non è nemmeno un'organizzazione intergovernativa come le Nazioni Unite, perché i Paesi membri dell'UE raggruppano la loro sovranità adottando decisioni comuni mediante istituzioni condivise come il Parlamento europeo (eletto dai cittadini dell'UE), il Consiglio europeo (che riunisce i capi di Stato e di governo all'incirca quattro volte l'anno per discutere le priorità politiche dell'Unione) e il Consiglio dell'Unione europea (l'istituzione in seno alla quale i ministri di tutti i paesi dell'UE si riuniscono per adottare le normative e coordinare le politiche).

Il bilancio dell'UE è finanziato da varie fonti, tra le quali una percentuale del reddito nazionale lordo di ciascun paese membro. Le entrate dell'UE non derivano solo dai contributi dei paesi membri, ma anche da dazi all'importazione sui prodotti provenienti dall'esterno dell'Unione e da una percentuale dell'IVA riscossa da ciascun paese.

In questo contesto gli appartenenti all'eurozona discutono l'armonizzazione delle politiche economiche e fiscali attraverso le periodiche riunioni dell'Eurogruppo, organismo composto dai ministri dell'economia e delle finanze degli Stati aderenti alla valuta comune.